
Nel volume di recente pubblicazione «L’amore del Cristo ci possiede» (2Cor 5,14): miscellanea in onore di Vincenzo Battaglia, a cura di Mary Melone e José Manuel Sanchis Cantó (Antonianum, Roma 2025), appare per la prima volta la traduzione ad opera di Lorenzo Cappelleti dal francese in italiano dello studio di Yves Congar, «Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet», in Revue historique de droit français et étranger, 36 (1958), pp. 210-259. Riprendiamo un estratto dalla introduzione di padre Pietro Messa («Consiglio e consenso nella Chiesa secondo Yves Congar», in «L’amore del Cristo ci possiede» (2Cor 5,14), pp. 403-408)
La Commissione Teologica Internazionale fra il 2014 e il 2017, ossia nei primi anni del pontificato di papa Francesco, ha condotto uno studio sulla sinodalità, i cui risultati sono stati pubblicati non solo con l’approvazione del presidente Luis F. Ladaria quale prefetto dell’allora Congregazione per la dottrina della fede, ma soprattutto con il parere favorevole e l’autorizzazione dello stesso Pontefice: il tutto a sottolinearne l’importanza.
Tale documento La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, che è stato pubblicato, come detto, con parere favorevole e specifica autorizzazione di papa Francesco il 2 marzo 2018, afferma fra l’altro:
«La pratica di consultare i fedeli non è nuova nella vita della Chiesa. Nella Chiesa del Medioevo si utilizzava un principio del diritto romano: Quod omnes tangit, ab omibus tractari et approbari debet (ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti). Nei tre campi della vita della Chiesa (fede, sacramenti, governo), la tradizione univa a una struttura gerarchica un regime concreto di associazione e di accordo, e si riteneva che fosse una prassi apostolica o una tradizione apostolica».
Si tratta della citazione letterale di un brano già presente in un precedente documento della medesima Commissione Teologica Internazionale pubblicato nel 2014, Il sensus fidei nella vita della Chiesa, dove si leggeva:
«La pratica di consultare i fedeli non è nuova nella vita della Chiesa. Nella Chiesa del Medioevo si utilizzava un principio del diritto romano: Quod omnes tangit, ab omibus tractari et approbari debet (ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti). Nei tre campi della vita della Chiesa (fede, sacramenti, governo), “la tradizione univa a una struttura gerarchica un regime concreto di associazione e di accordo”, e si riteneva che fosse “una prassi apostolica” o “una tradizione apostolica”».
In questo testo, come si può ben vedere, alcune parole sono poste fra virgolette (che non si ritrovano nella citazione del medesimo brano fatta nel successivo documento sulla sinodalità). Ebbene sono parole tratte da un articolo del domenicano Yves Congar (1904-1995) pubblicato nel 1958 nella Revue historique de droit français et étranger.
Il richiamo al suddetto principio secondo cui «ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti» papa Francesco lo fece anche in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi affermando:
«Il cammino sinodale inizia ascoltando il Popolo, che “pure partecipa alla funzione profetica di Cristo”, secondo un principio caro alla Chiesa del primo millennio: Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet».
Quindi è la sinodalità la prospettiva secondo cui è usato quello che viene denominato come il principio «concreto di associazione e di accordo» studiato da Congar. […]
Precedentemente all’articolo del 1958 Congar aveva già menzionato la massima Quod omnes tangit nel suo volume Jalons pour une théologie du laicat, pubblicato nel 1953, ma la cui introduzione è datata dicembre 1951, con l’ulteriore specificazione che la bibliografia citata è ferma al novembre precedente.
Il contesto storico-teologico nel quale si cita la massima è quello della partecipazione dei laici alle decisioni del governo della Chiesa, alle deliberazioni dei concili e alle elezioni a uffici ecclesiastici. Congar osserva che l’antico regime di governo ecclesiale non prevedeva decisioni solitarie, ma di consiglio: il vescovo era coadiuvato dal consiglio del presbyterium; e i laici, che non facevano parte di esso, ne diventavano partecipi ogni volta che potevano contribuire con informazioni valide nelle materie che li riguardavano.
Egli per restaurare il posto del laicato nell’ecclesiologia cerca di provare che i laici partecipano anche loro con il carattere proprio alle tre funzioni classicamente attribuite alla Chiesa e ai chierici al suo interno: sacerdotale, regale e profetica; il tutto però senza estremismi. Oltre al loro ruolo d’informazione e di consiglio, i laici, pur non partecipando ai concili, avevano una funzione di consenso, nonché di pubblicità e di diffusione delle deliberazioni. A essi spetta pronunciare un Amen rispetto alle decisioni della Chiesa gerarchica e questo esige che le loro richieste legittime siano esposte, difese e discusse. È a questo punto che Congar aggiunge una frase di rinvio utile per comprendere la genesi del saggio che pubblichiamo in traduzione. […]
Dopo l’articolo di Congar sulla massima Quod omnes tangit sono apparsi altri studi specialistici che hanno approfondito l’origine, la diffusione e il significato di essa. Alcuni, pubblicati negli anni immediatamente seguenti, furono indicati da Congar stesso in appendice alla riedizione del suo saggio, altri risalgono ad anni più recenti.
Il significato della massima Quod omnes tangit messo in luce da Congar nell’articolo è chiaramente quello di sottolineare la necessità, avvertita nella prassi delle istituzioni collegiali della Chiesa medievale e più in generale delle aggregazioni sociali medievali, di rispettare la regola del consenso (o del principio maggioritario, in subordine). Nel documento della Commissione Teologica Internazionale sulla sinodalità, quella massima viene citata, in un senso esteso, tanto da poter risultare persino improprio, in relazione al principio sinodale.





