Claudia Fanti: post-teismo e ricerca spirituale

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Claudia Fanti – giornalista – scrive per Adista, Il Manifesto, MicroMega e altre testate. Attenta ai movimenti popolari, ecologici ed ecclesiali, i suoi testi sono dedicati ai temi sociali, scientifici e ambientali in connessione con la spiritualità e la teologia. È autrice del volume A casa nel cosmo. Qui risponde alle domande di Giordano Cavallari riguardo al post- o trans-teismo.

  • Cara Claudia, ti definisci post-teista. Come e perché?

Pur sostanzialmente diffidente verso qualsiasi etichetta, mi riconosco, sì, nel post-teismo, ma intendendolo, più che come un traguardo, come il punto di partenza di una ricerca spirituale svincolata da ogni pretesa di verità e da ogni appartenenza che non sia quella alla nostra casa comune e alla nostra comune umanità. Anziché guardare a un nuovo punto di arrivo, credo insomma che sia necessario accettare di trovarsi permanentemente in viaggio, in un cammino spirituale destinato a non giungere da nessuna parte ma ad arricchirsi ad ogni passo.

Una ricerca maturata – nel mio caso – in maniera graduale e senza strappi, attraverso tappe successive e incontri decisivi, come quello con l’eco-teologo della liberazione Leonardo Boff, di cui ritengo determinante il contribuito non solo allo sviluppo di quella coscienza ecologica – quella terrestre spiritualità, quell’etica della cura, che costituisce indubbiamente un aspetto rilevante del post-teismo – ma anche a quel fecondo rapporto con le scienze da cui è derivato il nuovo racconto cosmico, a cui si richiama tanta teologia post-teista e sicuramente il mio percorso umano.

Mi sento debitrice anche nei confronti di tanti altri compagni e compagne di cammino, alcuni dei quali autori e autrici di quella collana, dal titolo “Oltre le religioni”, che ho avuto la fortuna di curare insieme a Ferdinando Sudati prima e a José María Vigil poi.

  • Cosa significa essere post-teista? Quale l’idea-guida?

Non essendo una dottrina, il post-teismo accoglie al suo interno, nella più ampia creatività spirituale, molte e variegate posizioni, accomunate però dal superamento dell’immagine teista di Dio, come un essere dal potere soprannaturale e dai tratti antropomorfi e patriarcali, onnipotente e onnisciente, creatore, signore e giudice, che dimora al di fuori di questo mondo imperfetto e passeggero e che esercita il suo governo su di noi intervenendo “miracolosamente” nel dominio della natura; con tutto ciò che tale superamento comporta rispetto ai dogmi della tradizione cristiana, anche cristologici.

Ma con Dio non si intende più – e questo è un passaggio più difficile da accettare – nemmeno un padre amorevole e giusto che ascolta le nostre suppliche, viene in nostro soccorso e ci ricompenserà per il male che abbiamo sofferto in questa vita, per quanto dolorosa e persino traumatica possa risultarci questa rottura dell’adesione affettiva alla rassicurante figura di un dio personale.

Dire Dio come persona sul modello di ciò che siamo noi, appare, nell’ambito del paradigma post-teista, una modalità di pensare antropomorfica: perché di Dio non possiamo dire nulla, né che è Padre, né che è Madre, né che è personale e neppure che è impersonale.

Già Margarita Porete affermava, nel XIII secolo, che «l’unico vero Dio è quello di cui non si può pensare nulla». Per quanto mi riguarda, preferisco tralasciare qualsiasi definizione della realtà divina, inchinandomi semplicemente di fronte a un Mistero che va oltre – immensamente oltre – la nostra capacità di comprenderlo.

  • Quindi, come pensi Dio?

Ora che sappiamo che il mondo non ha un sopra e non ha un sotto, che non ci sono dualismi né trascendenze, che non ha senso parlare di naturale e di soprannaturale, è nella realtà stessa che finalmente possiamo cogliere quella sacralità che avevamo trasferito in una divinità separata, esterna, collocata su un piano superiore.

Per questo mi ritrovo nell’invito del biologo Stuart Kauffman ad usare l’antico e potente «simbolo di riverenza» che abbiamo chiamato Dio: quale altro simbolo umano, si chiede, è altrettanto possente, per indicare l’incessante creatività dell’universo in cui siamo immersi e di cui siamo a nostra volta co-creatori?

Una meravigliosa creatività – riflessa nei tre grandi misteri che ci troviamo di fronte, ossia l’origine dell’universo, l’origine della vita, la natura della coscienza – può diventare, al di là del riduzionismo scientifico e del dogmatismo religioso, uno spazio spirituale ed etico condiviso da tutti, credenti e non credenti, per educarci al rispetto di tutte le forme di vita e del pianeta che le accoglie, senza fare distinzioni.

Kauffman lo definisce «un Dio sufficiente», un’idea non così lontana da quella di un Dio immanente che si rivela nel dispiegarsi dell’universo. Si tratta di una rilettura di straordinaria portata, essendo davvero enorme la distanza che separa l’universo mentale delle rappresentazioni cristiane tradizionali (secondo cui il nostro mondo sarebbe completamente dipendente dall’altro mondo e dalle sue prescrizioni) dalla nuova visione in cui esiste solo un mondo, il nostro, che è un mondo santo, in quanto autorivelazione di quella Realtà originaria che intendiamo con la parola Dio.

  • Come si rapporta tale idea di Dio con le conoscenze scientifiche?

Tale immagine è decisamente più plausibile dal punto di vista scientifico e più credibile per la società contemporanea rispetto a quella di un Dio tappabuchi attivo solo in quelle aree che la scienza deve ancora spiegare oppure di un Dio trascendente che interviene violando le leggi naturali, così da sottrarre alla creazione l’autonomia di cui essa è dotata: un’immagine che non contribuisce affatto alla comprensione della realtà, limitandosi a spiegare un mistero (l’origine dell’universo) con un altro mistero (Dio).

Ritengo, del resto, che, per la teologia, il dialogo con la scienza – dalla nuova cosmologia alla fisica quantistica fino alla neurobiologia – non sia più una scelta, ma una necessità. Se, infatti, il cristianesimo vorrà continuare a parlare al mondo postmoderno, salvandosi così da un’altrimenti sicura irrilevanza, lo dovrà fare sulla base di idee e di parole radicalmente nuove. Idee e parole che non possono in alcun modo prescindere da quanto sappiamo oggi dell’universo e dei suoi processi.

Tanto più che quella scienza che il poeta inglese John Keats aveva giudicato colpevole di tagliare «le ali di un angelo», di «disfare un arcobaleno» derubandolo della sua magia, oggi ci appare invece come una riserva inesauribile di meraviglia di fronte alla misteriosa bellezza di tutto ciò che è.

Sono convinta che, attraverso un’alleanza inedita tra scienza e spiritualità, sia possibile recuperare il senso di connessione con il tutto che noi Sapiens abbiamo spezzato, con le conseguenze tragiche che sono sotto gli occhi di tutti.

  • In che modo questa idea post-teista di Dio risulterebbe salvifica?

Quello che più mi sta a cuore di questo cammino di riflessione sul divino è che, attraverso di esso, può passare la nostra salvezza, come umanità. Perché è stato in buona parte proprio a causa dell’immagine del Dio teista, con tutta la catena di dualismi che si è portata dietro, che ci siamo sentiti – quali umani – qualcosa di separato e di superiore rispetto alla natura, alle altre specie, alla comunità di vita, al cosmo.

Ed è così che abbiamo dimenticato – pagando per questo un prezzo altissimo – quanto tutto sia interrelato e interdipendente, quanto tutto sia imparentato con tutto; e abbiamo iniziato a remare contro quella che il teologo Matthew Fox ha giustamente definito la «legge morale» dell’universo, quella dell’interconnessione.

Ad essere in discussione, cioè, è quell’idea strettamente trascendente della divinità che desacralizza e spoglia di dimensione divina la natura, riducendola a un contenitore inerte di risorse su cui l’essere umano può esercitare liberamente il suo dominio. Quell’essere umano ora non è chiamato ad andare oltre la materia per divinizzarsi, perché non viene “da fuori”, bensì, al contrario, viene “da dentro”, formato com’è dagli stessi atomi che compongono le stelle dell’universo: letteralmente e non metaforicamente siamo “polvere di stelle”.

Non smetteremo di distruggere la natura finché non scopriremo la sua stessa dimensione divina e non ci sentiremo parte di essa, superando il nostro radicato antropocentrismo, in direzione di una visione biocentrica e cosmocentrica.

C’è una frase bellissima che Gilbert Fowler White ha attribuito negli anni ’40 ad Albert Einstein: «Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: uno come se niente fosse un miracolo; l’altro come se tutto fosse un miracolo»: è questo il bivio di fronte a cui ci troviamo. Mentre appare evidente come, in pieno Antropocene, stiamo trattando il pianeta, la natura, gli altri e noi stessi come se niente fosse un miracolo. Dovremmo provare a imboccare l’altra strada. Dopotutto, nel miracolo siamo immersi permanentemente. Solo che non suscita più in noi alcuna meraviglia.

Non a caso il monaco buddhista vietnamita, poeta e attivista per la pace Thich Nhat Hanh, ha posto l’accento sulla necessità di una «rivoluzione spirituale» per affrontare le sfide ambientali che abbiamo di fronte, aggiungendo che «il vero cambiamento può avvenire solo quando ci innamoriamo del nostro pianeta».

  • E Gesù – il Cristo – che “posto” conserva in questa visione?

La “buona novella” di Gesù conserva intatta tutta la sua forza di attrazione anche all’interno del paradigma post-teista. Perché, se, per chi ha superato la concezione teista di Dio, non ha più senso vedere Gesù come incarnazione di una divinità soprannaturale che vive al di là dei cieli, né immaginarlo come il vertice definitivo dell’evoluzione, tutto ciò non solo non toglie nulla alla centralità del suo messaggio e al suo sogno del “Regno di Dio”, anzi rende ancora più vivo e attuale lo straordinario modello di umanità che la sua figura incarna.

Dopo averlo liberato dai panni mitologici con cui è stato rivestito in epoca premoderna, ciò che emerge pienamente è il ritratto di una vita in cui – come afferma Spong – «ciò che è umano si apre al divino»: una vita così integra e piena da consentire di abbattere qualsiasi barriera che impedisce e limita la nostra umanità, così da aprirci ad una nuova dimensione di ciò che significa essere veramente umani.

  • Quale speranza, dunque, secondo la tua proiezione?

Tra l’esplosione dei sovranismi, la crescita dell’autoritarismo, la corsa al riarmo, le guerre, i genocidi – di cui quello contro i palestinesi che Israele sta consumando nella più totale impunità è il caso più eclatante –, le crescenti disuguaglianze, le incognite dell’intelligenza artificiale, le minacce del transumanesimo e, soprattutto, l’imminente collasso ambientale e climatico, a cui l’umanità sembra andare incontro senza quasi più opporre alcuna resistenza, conservare speranza non è un compito facile.

Ma speranza è una parola ambigua. Non a caso, in spagnolo e in portoghese esperar significa sia sperare che aspettare. Tant’è che il grande pedagogista brasiliano Paulo Freire preferiva far derivare la parola dal verbo esperançar, nel senso di sollevarsi, resistere, fare le cose in un altro modo. L’ottimismo della volontà di Gramsci contrapposto al pessimismo della ragione.

Forse, a noi che è capitato in sorte di abitare questi tempi così difficili e dolorosi, non resta molto altro che tenere accesi dei fiammiferi nella notte. Ma più alto sarà il numero di questi piccoli punti di luce, maggiore sarà il chiarore a disposizione di quelli che verranno dopo di noi, chiamati a costruire sulle macerie della vecchia civiltà un mondo nuovo.

E di queste piccole luci ve ne sono davvero tante. Quanto amore, quanta amicizia, quanta solidarietà, quanto coraggio, quanto eroismo, quanta bellezza abbiamo incontrato nel cammino della nostra vita?

C’è poi un secondo elemento di speranza. La vita si è rivelata sorprendentemente resiliente durante tutta la storia del pianeta, sopravvivendo già a cinque grandi estinzioni di massa. Quando, circa 66 milioni di anni fa, un asteroide ha provocato la scomparsa dei dinosauri, insieme a tre quarti delle specie animali che allora abitavano il pianeta, la vita è nuovamente sbocciata con rinnovata magnificenza, fino a produrre, appena 300.000 anni fa, quegli esseri così sorprendenti e contraddittori che hanno saputo dare un nome a tutto, ma ne hanno scelto uno per sé stessi così poco adeguato.

E questo senza in nessun modo sottovalutare la gravità della sesta estinzione che incombe, o è già in corso, causata da noi stessi. Anche perché, dopo la quinta estinzione, ci sono voluti centinaia di migliaia di anni perché la vita riprendesse tutto il suo slancio.

Siamo una specie giovanissima e abbiamo ancora tutto da imparare. A partire dalla lezione più importante: prenderci cura della nostra Casa, con tutti i suoi abitanti umani e non umani. Resta solo da vedere se avremo il tempo di farlo prima di estinguerci. Nel caso di fallimento, però, la vita saprà forse sostituirci nel modo migliore: ciò che di bello, di grande, di luminoso abbiamo generato troverà forse una nuova fioritura in altre specie. Dopotutto, la creatività dell’universo è incontenibile.

Vi è, infine, un terzo elemento di speranza, sicuramente il più incerto, il più azzardato. E che riguarda le vittime, tutte quelle che il processo evolutivo ha lasciato indietro, ma anche ciascuno di noi. La speranza che la nostra essenza più profonda, l’essenza di ciascun essere passato anche fuggevolmente su questo pianeta, non sia andata perduta, ma abbia fatto ritorno nella coscienza infinita in cui tutti siamo uno: infinita o fondamentale – o comunque la si voglia chiamare – senza escludere neppure il termine Dio, per chi ne sente ancora il bisogno.

La speranza è che questo – la vita oltre la vita – sia il destino di ognuno e ognuna di noi. Ed è una speranza di cui, nel mio ultimo libro A casa nel cosmo, ho cercato di mostrare la plausibilità.

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33 Commenti

  1. Francesco 25 ottobre 2025
    • Giuseppe Savagnone 26 ottobre 2025
  2. Paola 19 ottobre 2025
    • Giuseppe Savagnone 20 ottobre 2025
      • Paola 21 ottobre 2025
        • Angela 21 ottobre 2025
          • Paola 21 ottobre 2025
  3. Massimo Salustri 18 ottobre 2025
  4. Mauro Pastore 18 ottobre 2025
    • Angela 19 ottobre 2025
  5. Giuseppe Savagnone 18 ottobre 2025
    • Paolo Gamberini 18 ottobre 2025
      • Angela 18 ottobre 2025
      • Giuseppe Savagnone 19 ottobre 2025
        • Claudia Fanti 19 ottobre 2025
          • Giuseppe Savagnone 20 ottobre 2025
  6. Non credente 17 ottobre 2025
  7. Dimitri Colombo 17 ottobre 2025
    • Pietro 17 ottobre 2025
  8. Sandro Cominardi 16 ottobre 2025
  9. Paolo Costa 15 ottobre 2025
    • Claudia Fanti 19 ottobre 2025
  10. Paola 15 ottobre 2025
    • Mauro Pastore 18 ottobre 2025
      • Paola 19 ottobre 2025
  11. Marco C. 14 ottobre 2025
    • Anima errante 15 ottobre 2025
      • Angela 15 ottobre 2025
  12. 68ina felice 14 ottobre 2025
    • Anima errante 15 ottobre 2025
  13. Pietro 14 ottobre 2025
  14. Giuseppe Savagnone 14 ottobre 2025
    • Claudia Fanti 14 ottobre 2025

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