
In occasione di un incontro di due federazioni di Carmelitane scalze ho avuto l’occasione di una bella chiacchierata di conoscenza con suor Margherita, priora a Venezia e presidente della federazione carmelitana «Mater Carmeli» e con suor Teresa Benedetta, priora a Bologna e prima consigliera della federazione «Regina Pacis».
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Il primo elemento da sottolineare mi sembra proprio il tema delle federazioni, che all’interno dello stesso ramo delle Carmelitane scalze, si sono andate formando da quando, nel 1950 con la Costituzione Apostolica Sponsa Christi Ecclesia, Papa Pio XII raccomandò ai diversi monasteri di confederarsi. Allora era solo per far fronte alla povertà che colpiva i diversi monasteri. Essi vivevano delle donazioni dei fedeli, ma in un tempo economicamente affaticato come quello post bellico evidentemente era difficile assicurare un livello di vita dignitoso per tutte.
Poi man mano il senso della confederazione è andato allargandosi. Alla necessità di reciproco aiuto si è aggiunta man mano la consapevolezza che «troppa clausura» può fare male. Quando la clausura, che è un modo di essere prima che una serie di regole, diventa isolamento anche dei singoli monasteri, allora fa male. Non confrontarsi mai con i diversi modi di vivere il carisma, ad esempio, oppure pensare di poter esaurire la formazione delle più giovani in totale autonomia è un errore.
La storia ora ci mette lo zampino. Per la formazione, il calo delle vocazioni rende difficile a una sola federazione organizzare percorsi qualificati. Inoltre, l’invecchiamento delle sorelle, con la cura che esse richiedono, e la complessiva diminuzione numerica sta portando sempre più spesso alla chiusura di monasteri, con la conseguente necessità di ricollocare le suore in altre comunità. Quest’ultimo aspetto chiede un cammino comune, di amicizia, vivibile per la singola suora, perché sino a poco tempo fa si entrava in un monastero con la certezza che non lo si sarebbe più lasciato e – al pari di ogni famiglia – ciascun monastero ha il proprio volto.
Così il documento di papa Francesco ha dato l’accelerata definitiva a questo processo di costruzioni di federazioni. Il documento del 2018 Cor orans (Istruzione applicativa della Costituzione apostolica Vultum Dei querere sulla vita contemplativa femminile) obbliga alla federazione di modo che nessun monastero sia più isolato dagli altri.
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Le federazioni sono diverse, in Italia sono 5 e hanno diversi criteri di affiliazione: alcune per territorio, per storia dei diversi monasteri o anche per visione «ideologica» – diciamo così – circa il modo di vivere oggi la vita claustrale.
Il cambiamento impresso da Papa Francesco però va più in profondità, consegnando alla presidente e al suo consiglio un ruolo di maggior autorevolezza. Ora le visite canoniche sono svolte dal priore – là dove c’è – e dalla presidente, con una relazione congiunta. E comunque la presidente ha lo spazio per poter condividere con il monastero momenti di vita, sempre per costruire rapporti veramente sororali. Ma la di là del momento delle visite canoniche, che restano un momento istituzionale nella vita della comunità, alla presidente della federazione resta il compito di accompagnare le comunità, aiutandole a risolvere le loro difficoltà, accompagnando i monasteri là dove si renda necessaria la chiusura o anche segnalare situazioni «in cui ci siano disguidi». Come detto sopra, la chiusura è oggi una questione particolarmente delicata. Il criterio è quello del numero minimo di 5 monache, ma al criterio numerico si aggiunge quello qualitativo: non ci possono essere «5 monache e 8 badanti».
Le relazioni con il Dicastero, di fatto, le tiene la presidente. È la presidente a inviare la relazione e verrebbe da dire: finalmente! Ma è pur vero che essa è redatta dal provinciale e da quest’ultima dopo una visita contestuale. Qui si inserisce un fattore interessante, che per un ambiente monosessuale adotta uno sguardo capace di diversi punti di vista. Ce ne offre conferma anche l’apprezzamento di suor Margherita a proposito di questo sguardo congiunto di «padre e madre», una vera esperienza di collaborazione, ricca sia dal punto di vista umano sia spirituale.
Mentre ascolto mi viene da sottolineare che il contrario non è dato. Siamo troppo abituati al rilievo dato alle figure maschili per notarlo ma sarebbe da sottolineare, perché la ricchezza delle visite canoniche dei monasteri femminili possa diventare anche quella delle visite ai monasteri femminili.
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Per tornare alla realtà, è bene ricordare quanto questa presenza di ascolto e di accompagnamento, da una parte, è preziosa perché fa emergere più facilmente vissuti faticosi, d’altra parte, ha chiesto e chiede a ogni singola monaca e monastero molta disponibilità per lasciarsi interpellare da uno sguardo che è altro, ma che sa ben riconoscere – perché vive la stessa vita ed è donna – i piccoli segnali di distonia tra il detto e il vissuto.
Le mie interlocutrici sottolineano con entusiasmo la positività: è proprio in questo alternarsi di passi di aperura reciproca che si mostra un tessuto monastico carmelitano desideroso di camminare in fedeltà alla propria vocazione e carisma, e – a dispetto delle chiusure – anche la convinzione e la determinazione di preparare un buon ambiente monastico per chi vorrà parteciparvi.
E poi c’è il percorso della collaborazione tra le diverse federazioni, che – per così dire – eleva alla seconda tutte le ragioni per cui i diversi monasteri si sono confederati. Per l’Italia non è ancora prassi consueta, ma almeno due – a nostra conoscenza – si sono ritrovate. Così parlando con le due suore si ha la sensazione di un tessuto che cresce sempre più fitto e sororale.
Il colpo d’occhio del gruppo lo confermava: due confederazioni, 10 suore tra presidenti e delegate e una buona varietà di abiti: dall’abito corto e decisamente di taglio contemporaneo a quello identico alle immagini di santa Teresa, passando per quello che ha solo il velo un poco diverso.
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Gli argomenti principali che abbiamo toccato sono quelli trasversali. In primis la questione degli abusi, realtà da cui purtroppo carmelitani e carmelitane non sono esenti. Interessante è il taglio chiesto dalle sorelle per approfondire il tema: per loro si è trattato di affrontare la questione delle dinamiche che in una comunità femminile possono diventare abusanti. Se l’abuso sessuale può avere una sua evidenza, quello legato all’esercizio dell’autorità è molto più subdolo e difficile da riconoscere, sia per chi lo esercita sia per chi lo subisce. All’inizio il tema era uno dei temi dei diversi incontri, poi – proprio quest’anno – il desiderio di un momento specifico e prolungato sul tema: da qui una serie di incontri comuni accompagnati da esperti.
L’altro grande tema è il lavoro, che da una parte è necessario oggi ma non è così ovvio organizzarlo. Dipende dalla collocazione geografica, dalle capacità delle monache, deve poter rispettare i tempi della vita monastica. Le comunità teresiane poi per definizione non sono numerose perciò è impossibile pensare ad attività che in qualche modo possano essere definite «industriali» E d’altra parte la vita del monastero ha le sue esigenze: la preghiera, i tempi di formazione, la cura delle sorelle più anziane e infine la cura degli edifici.
A fronte ancora della presenza di aiuti da parte della comunità c’è poi l’impegno delle suore a un attento e continuo discernimento per una vita che sia semplice, che sappia accontentarsi.
E così mentre anche la cucina dei monasteri è coinvolta in programmi televisivi, pubblicazioni e così via, il monastero cerca anche di semplificare proprio per una generale economia di tempo, oltre che di spesa. A conti fatti, coltivare una zucchina è più dispendioso che acquistarla, in certi contesti, e occupa maggior tempo.
Tutto questo, però, mi sembra che rispetti l’impegno alla vita povera non per l’eventuale economia, ma per la scelta di gratuità che comporta. Infatti, se parte del giorno è ovviamente destinata al lavoro, il resto è dedicato alla formazione. Per dare sempre più profondità e spessore alla vita spirituale così da rendere sempre più ricca la personale testimonianza monastica e poter offrire parole che parlino al cuore dei molti che ancora oggi bussano alle porte di un monastero per ricevere confronto nella propria esistenza.






Non mi ritrovo molto in questo articolo e ci sono varie inesattezze. Sr. Margherita ocd