
Dopo un incontro introduttivo, lo scorso 22 settembre 2025, su I 10 anni della Laudato si’, nutrire la speranza con l’ecologia integrale, il 6 ottobre scorso ha preso avvio il V corso nazionale di formazione sull’ecologia integrale, promosso da FOCSIV, Caritas Italiana e Fondazione Lanza. Presentiamo di seguito una sintesi delle relazioni tenute durante il meeting intitolato: Dal Green Deal al riarmo in Europa: ripartire dalla fratellanza umana.
Attualità di Laudato si’
Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della CEI, ricorda che i temi educativi sono strettamente legati all’ecologia integrale. Nella scuola c’è grande interesse per i temi ambientali.
Papa Francesco nella Laudato si’ al n. 202, afferma:
«Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione».
E al n. 210 esorta «a recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con sé stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio». Da qui risulta che l’educazione è interpretata come un mutamento di sguardo per vedere l’altro, il creato e la storia con occhi particolari, in tutti i contesti: il lavoro, la scuola, la famiglia, i gruppi di aggregazione.
Queste considerazioni sono state riprese recentemente da papa Leone XIV: «È solo con un ritorno al cuore che può avvenire una vera e propria conversione ecologica. Occorre passare dal raccogliere dati al prendersi cura». Passare quindi da discorsi ambientalisti ad una conversione ecologica che trasformi lo stile di vita personale e comunitario. E così, riprendendo papa Francesco, papa Leone auspica che ciascuno possa crescere in queste quattro direzioni: con Dio, con gli altri, con la natura e con sé stesso.
Matteo Mascia, coordinatore del progetto etica e politiche ambientali presso Fondazione Lanza, ha ricordato invece che il 2015 è stato l’anno della Laudato si’, ma anche quello di Agenda 2030 e degli Accordi di Parigi alla COP 21.
A dieci anni di distanza, la Laudato si’ è ancora un documento di incredibile attualità e ci spinge a rinnovare il nostro impegno. Oggi il quadro geopolitico internazionale è molto cambiato e dobbiamo ricordare che non c’è alcuna transizione ecologica senza la pace e non c’è pace senza un diverso sguardo nei confronti della natura e senza una diversa economia. Il green deal e la decarbonizzazione non sono un lusso ma una necessità, se vogliamo costruire un pianeta di pace e di giustizia.
Costi e benefici del green deal
Grammenos Mastrojeni, vicesegretario generale aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo, fa presente che il valore di cui vogliamo parlare è quello della pace. Da un lato vi è la massima si vis pacem para bellum; dall’altro si vis pacem, para pacem. Nel secondo caso rientra la cura della casa comune. E non pare che sia possibile conciliare queste due visioni delle cose.
Dietro il rilancio della spesa per le armi non c’è solo l’esigenza di dissuadere i nemici, ma c’è dell’altro. L’economia mondiale sta soffrendo, in particolare nel settore dell’automotive. Da qui la necessità di spostare la produzione in un settore più conveniente, quello dell’industria per la difesa. Ma l’industria della difesa non produce effetti di benessere sociale su larga scala; magari funziona sul breve termine, tampona un po’ le perdite di lavoro, ma si tratta di un episodio, non strutturale per l’economia. Mentre il riarmo rischia di portarci ad una nuova guerra mondiale.
Dall’altra parte vi è il green deal, definito non come un piano che crea sacrifici pesanti, ma come un progetto di crescita, rispettoso e protettivo verso la natura, perché sostiene l’economia e ha un carattere strutturale. Una riconversione verde non è accettata dall’economia classica, perché è ritenuta capace di annullare la competitività. Secondo l’economia classica bisogna espandere la propria azienda, riducendo i costi, per diventare competitivi e prevalere sugli altri perché, se non domini gli altri non sopravvivi. Secondo questa logica, sei bravo se crei ingiustizia, sei furbo e competitivo se ti liberi dei costi per l’ambiente e per la salute delle persone.
La sostenibilità, invece, richiede una visione generale e non settoriale in cui vengono introitati i costi per l’ambiente e per la salute. E alla fine le imprese che scelgono la sostenibilità risultano più competitive.
Infatti, i costi sostenuti per essere costruttivi e attenti alla vita delle comunità sono ampiamente compensati da un buon rapporto territoriale, evitando il rischio ambientale che verrebbe da uno sfruttamento delle risorse e delle persone; proteggono una catena di approvvigionamento favorevole all’ambiente; favoriscono relazioni equilibrate all’interno delle imprese, con dipendenti che si sentono parte di una missione positiva per la società, perché vengono favorite le innovazioni interne all’impresa senza ricorrere a società esterne, peraltro molto onerose.
Sostenibilità e pace
È questa un’utopia? La finanza, di solito, non ha a cuore la salute del pianeta; tuttavia, sta favorendo la sostenibilità non tanto e non solo per salvare il pianeta, ma perché conviene. Nel 2000 gli interventi caratterizzati da sostenibilità erano meno dell’1%, nel 2024 erano il 27%.
Il benessere individuale, il rispetto dei diritti umani è sostenibile, questa sostenibilità crea giustizia e la giustizia porta, strutturalmente, alla pace.
Faccio esempi. Se vogliamo nutrirci in modo corretto dobbiamo rispettare la cosiddetta piramide alimentare: poca carne rossa, tante fibre da frutta e verdura. Quanto più un cibo fa male alla mia salute tanto più fa male all’ambiente. Così per le scelte di trasporto: se usiamo di più la bicicletta e meno l’auto, spendiamo meno, miglioriamo in salute e manteniamo ritmi più umani, non inquiniamo. Basti pensare che più del 75% degli spostamenti che si fanno in Italia sono inferiori ai 2,5 km, distanza che si copre in 4 minuti di bicicletta e in 20 minuti a piedi, mentre spesso si usa l’auto. Tanti altri sono gli esempi che mostrano che ciò che fa veramente bene a me, a noi, fa bene anche al pianeta.
Nel 2050 le previsioni dicono che saremo in 9,5 miliardi di persone sulla terra: come faremo? Oggi, nel settore alimentare, seguendo l’idea di competitività dell’economia classica − ossia creando poli di concentrazione della ricchezza − produciamo cibo per 12 miliardi di persone. Ma ci sono 2 miliardi di persone obese che mangiano troppo e male, ammalate di patologie che costano alla collettività quanto il PIL dell’Italia. D’altro canto, ci sono un miliardo di persone affamate.
Se mangiamo in maniera corretta, godiamo di migliore salute, lavoriamo meglio e ne traiamo vantaggio per l’ambiente e le persone che non hanno da mangiare a sufficienza. Se rifiutiamo il mercato che si vanta di vendere un milione di hamburger al minuto, stiamo meglio noi e possiamo salvare 70 miliardi di animali che vivono in allevamenti intensivi che usano e liberano ampiamente nell’ambiente agenti chimici dannosi e inquinanti, che incrementano i trasporti su gomma dei prodotti e delle materie prime, che favoriscono il salto di specie dei virus, che producono la continua deforestazione e combustione dell’Amazzonia, che tolgono terra, acqua e sovranità alimentare alle popolazioni povere, dal momento che nei paesi ricchi non vi è terreno sufficiente per questi allevamenti; dalla creazione di questa insicurezza economica nei paesi poveri nascono migrazioni e conflitti.
Il nostro vero benessere è legato al consumo di ciò che ci fa bene e si trasforma in sostenibilità. E sostenibilità è dare agli altri il nostro eccesso, che ci fa male. Se costruiamo un mondo in cui non c’è prevaricazione alimentare, dove i bambini possono andare a scuola, dove ognuno ha la sua dignità di persona, allora siamo sostenibili perché siamo giusti e abbiamo la soluzione strutturale per la pace.
Il riarmo e il rischio della guerra
La guerra può scoppiare non solo a causa di alcuni psicopatici che sono a capo di Paesi importanti, ma è anche dovuta a un certo consenso della popolazione verso costoro. Con la politica del riarmo rischiamo fortemente la guerra e favoriamo la distruzione dell’ambiente.
Il degrado ambientale destabilizza innanzi tutto le popolazioni più povere, che sono così indotte a trascurare e a depredare le proprie risorse, favorendo così un ulteriore degrado ambientale. Occorre spezzare questo ciclo perverso, evitando di arrivare ad un punto di non ritorno, cosa che probabilmente accadrebbe se la temperatura globale media superasse i 2°C rispetto all’era preindustriale.
Infatti, quanto più si accelera il riscaldamento, tanto più fonde il ghiaccio col permafrost che immette in atmosfera metano, gas climalterante più potente della CO2. E ciò incrementa ancor di più il riscaldamento e così via.
In tale eventualità si produrrebbero scenari naturali del tutto incompatibili con le società organizzate. Le prime a soccombere sono le popolazioni più povere, costrette a depauperare, ancor più, il loro ambiente o a migrare in cerca del minimo necessario per la sopravvivenza. Ma poi la sofferenza arriva ovunque.
È la madre terra che ci dice che, se non ci occupiamo dei poveri, andremo verso il tracollo della natura e verso un gigantesco conflitto. Il ciclo ecosistema/ecosistema innesca il ciclo ecosistema-umanità-ecosistema: più fa caldo più le società si destabilizzano e più si rafforza l’idea di depredare gli altri e l’ambiente per mantenere il proprio tenore di vita.
Benessere individuale, rispetto della natura, giustizia e pace sono elementi strutturali strettamente connessi tra loro.
La crisi della pace
Mauro Bossi, filosofo, teologo, gesuita e redattore della rivista Aggiornamenti sociali osserva che oggi siamo molto meno ottimisti e speranzosi di 10 anni fa, quando uscì la Laudato si’. La pandemia prima e il deterioramento delle relazioni internazionali poi, hanno portato ad una perdita di fiducia nel dialogo tra le nazioni, con l’indebolimento dell’Unione Europea e dell’ONU, spesso impotenti e umiliate da ciò che sta accadendo.
È consigliabile, a questo proposito, ritornare sull’esortazione apostolica Laudate Deum di papa Francesco, indirizzata alla COP 28 del 2023 a Dubai. È un documento che affronta due crisi contemporanee: la crisi climatica e quella delle relazioni tra i popoli: la crisi della pace.
La Laudate Deum denuncia un vuoto nella politica, aspirando a darle il posto che le spetta, per garantire le buone relazioni tra i popoli. Dice papa Francesco al n. 2:
«Il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti».
Si connette quindi la questione ambientale con quella sociale. La politica deve ricomporre i conflitti e garantire gli interessi delle parti più deboli: i poveri e anche le persone che non sono ancora nate, che non hanno possibilità di far valere i propri diritti.
Un’altra evidenza è l’iniziativa unilaterale dei gruppi militari più violenti che si fanno beffe del diritto internazionale e dell’ONU. Assistiamo così al passaggio dall’esercizio politico del potere da parte del consorzio umano − ancora capace di darsi delle regole per vivere insieme − all’impiego della pura forza che legittima il potere di chi impone la propria volontà. Tale uso del potere appartiene a quello che papa Francesco definisce il «paradigma tecnocratico», accompagnato dall’idea che dall’uso della forza e della violenza possa scaturire qualcosa di utile per il bene comune, sopravanzando qualsiasi mediazione politica. Il fine del paradigma tecnocratico è la fine della politica.
La crisi seria del multilateralismo con il risultato di una «terza guerra mondiale a pezzi» − così, come noto, definita da papa Francesco − e la possibile prospettiva di una distruzione della vita sulla terra è la logica conseguenza del motto si vis pacem, para bellum. Le armi non garantiscono la pace, anzi sono proprio le armi che minacciano la vita dell’ecosistema.
Dove e come possiamo ricostruire il multilateralismo? Le politiche e i negoziati climatici sono il luogo privilegiato nel quale può riaprirsi una speranza di dialogo multilaterale: dobbiamo crederci. La convenzione 4 della COP di Rio de Janeiro del 1992 era in linea col multilateralismo, con la fiducia nella adozione di impegni comuni per la salvaguardia del nostro mondo. Le COP nascono con l’obiettivo di democratizzare le relazioni internazionali e di raggiungere decisioni condivise da tutti i paesi partecipanti.
Il risultato più alto è stato quello della COP 21 del 2015 con gli Accordi di Parigi, che possono ancora funzionare nella misura in cui si possa sviluppare la sintonia tra il Nord e il Sud globale. Papa Francesco ha creduto fortemente nel multilateralismo scaturito dagli Accordi di Parigi. In Laudate Deum, al n. 37 dice:
«Più che salvare il vecchio multilateralismo, sembra che oggi la sfida sia quella di riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale. Vi invito a riconoscere che “tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani”. […] La società civile e le sue organizzazioni sono in grado di creare dinamiche efficienti che l’ONU non raggiunge. In questo modo, il principio di sussidiarietà si applica anche al rapporto globale-locale».
La transizione ecologica non può essere imposta dall’alto, richiede partecipazione e un lavoro paziente di coordinamento dei soggetti sociali, di democrazia dal basso. In Laudato si’, al n. 219 papa Francesco afferma che:
«Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali […] La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria».
Qui entriamo in gioco noi, come cattolici. La Chiesa dispone ancora di forti reti sociali, specialmente in alcuni territori che sono luoghi di conversione ecologica.
Già all’inizio degli anni Novanta Alex Langer diceva che la conversione ecologica sarà realizzabile soltanto se sarà socialmente desiderabile, se incontrerà una società capace di orientare i propri valori in quella direzione.
Le reti sociali sono il luogo della conversione ecologica: conversione della persona alla comunità e conversione della comunità al bene comune.






Nel contesto delle encicliche di Papa Francesco, a partire dalla Laudato sii, è stata senz’altro assai importante l’immissione della tematica ecologica, al di fuori della quale il problema dell’uomo attualmente neanche si può porre. Lo stravolgimento che il dilagare delle guerre, comprese le meno lontane dai nostri confini e interessi, sulla base di analoghi presupposti di brutale sopraffazione e annullamento del più debole e prospettive di “asfaltamento” territoriale e conformazione sociale a un’autocratica legge del più ricco e, dopo la soluzione in senso cinico della questione della minoranza palestinese in terra di Israele da parte della religione ebraica che teologicamente è sempre stata mantenuta egemone dalla tradizione della propria elezione divina, politicamente vidimata dalla fondazione dello Stato con il suo apriori di negazione delle altre realtà, contemporanee e preesistenti. Ciò ha portato con sé un gioco all’incremento delle armi come soluzione economica al traino delle grandi potenze, ancora più di tutte la statunitense, come progetto solo apparente necessitato dall’ autodifesa. Del rispetto dell’ambiente anche la compassione umana e la sottomissione alla volontà del Dio creatore anche le visioni teologiche e le credenze non cristiane dell’ Oriente estremo sono culturalmente inclini a giovarsi: forse possiamo prendere l’ invito alla lode dell’enciclica successiva dovuta al medesimo Pontefice, che l’ articolo non manca di citare) come un richiamo universale al timor di Dio e all’ arresto del presente verificarsi negli stessi teatri internazionali di un esponenziale soprammettersi di aggressioni a “cessazioni delle ostilità” già ostentatamente ratificate, che come fine non remota non fa che presagire la sparizione dell’ ambiente stesso (come già segnalava A. Einstein a proposito dell’escalation militare in chiave di “deterrenza” ai tempi della guerra fredda del XX sec.).
Mi pare che l’articolo manchi di realismo.
Se potessimo convertire le politiche globali basandoci soltanto sui buoni argomenti ambientalisti, su sani principi morali pacifisti, sulla forza dei numeri e degli studi scientifici le tesi qui sostenute sarebbero largamente convincenti.
Non mi pare, purtroppo, che il mondo funzioni in questo modo.
E’ per questo che l’Unione Europea, sostengono – credo in buona fede – gli europeisti pragmatici, dopo decenni di sostanziale inettitudine militare (27 piccoli eserciti inefficienti e incapaci) giustificata dall'”ombrello” americano, dovrebbe puntare su una seria programmazione di difesa comune. Altrimenti nel mondo, nonostante tutte le nostre prediche moralistiche e la bella utopia del Green Deal europeo, continueranno a comandare gli USA, la Russia, la Cina che, sfruttando la loro forza economica e militare, si fanno beffe del diritto internazionale e della giustizia per i popoli.
A meno che riteniamo che il disarmo unilaterale europeo (in parte già in atto) ci porti a far prevalere nel mondo i grandi principi di civiltà propri della nostra vecchia Europa.
Analisi troppo cinica o realismo minimo di fronte agli insegnamenti della storia?
Mentre la conversione a Dio può aspettare.