L’emergenza sicurezza non esiste

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L’emergenza sicurezza non esiste, neppure nelle grandi città. È il risultato di un modo impressionistico di maneggiare i dati e dell’avversione molto italiana per la statistica. Si prende un fatto di cronaca, si cerca un qualunque dato che lo confermi e se ne traggono le conseguenze politiche: i sindaci di sinistra dicono che la colpa è della destra che non manda abbastanza poliziotti sul territorio, la destra dice che sono i sindaci di sinistra buonisti che non prendono sul serio la minaccia dell’immigrazione, regolare o irregolare.

«Città da paura», titola per esempio La Verità: lo spunto è che un uomo con chiari disturbi mentali ha accoltellato una sconosciuta in piazza Gae Aulenti, a Milano. Anche dieci anni fa aveva commesso una violenza analoga.

Se ne potrebbe dedurre che bisogna investire in salute mentale e in assistenza a persone con disagi che possono portare alla violenza, La Verità ne inferisce invece che servono «subito i militari nelle strade». Forse per sparare ai potenziali violenti?

È tutto sbagliato in questo approccio, che non ha alcuna base nei dati.

Prendete qualunque indicatore di criminalità e scoprirete che l’Italia non è mai stata così sicura come oggi. Se guardiamo gli omicidi volontari, per esempio, sono stati 475 nel 2015, sono scesi a 287 nell’anno del Covid, il 2020, poi sono un po’ risaliti ma nel 2024 sono stati comunque 319. Oltre il 30 per cento in meno. Perfino i femminicidi sono in calo, 113 nel 2024, mai così pochi tranne che nel 2019. Nel 2015 erano 145. Il fatto che calino più lentamente degli omicidi senza una connotazione di genere indica comunque che c’è un problema specifico.

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Esiste però un problema di micro-criminalità, soprattutto nelle grandi città?  Dipende da come si guardano i dati. Il ministero dell’Interno cura un Rapporto intersettoriale sulla criminalità predatoria assieme a varie associazioni di categoria, dalle Poste a Confcommercio, ai distributori di benzina.

Tutti gli indicatori confermano anche per questo tipo di reati un drastico calo rispetto a un decennio fa: le rapine erano 43.754 nel 2013, sono scese a 28.067 nel 2023. Certo, c’è stata una ripresa dopo la pandemia, ma anche i rapinatori sono stati frenati dal Covid e dalla riduzione di opportunità con l’economia in lockdown.

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Il dato del 2023 è in linea con quello del 2018. Possiamo dire che dopo anni di drastico calo, però, ora sembra di assistere a un’inversione di tendenza.

Da qui a stabilire con qualche precisione le cause, ce ne passa: una possibile spiegazione potrebbe essere la rapida ripresa economica post-Covid che ha offerto più opportunità, o magari l’aumento di immigrati irregolari nel 2023, potrebbe suggerire qualcuno da destra. O forse, per qualche ragione, l’arrivo della destra a palazzo Chigi nel 2022, potrebbe suggerire qualche maligno da sinistra altrettanto spannometrico.

Molte di queste analisi hanno il limite di partire dalle denunce. L’Istat intervista invece le vittime, così da raccontare i crimini dal punto di vista di chi li ha subiti a prescindere che poi siano stati denunciati o no.

Anche da questa indagine, risulta in Paese più sicuro: la percentuale di cittadini che dichiarava di aver subito reati contro la proprietà, come scippi, borseggi o furti di oggetti nei dodici mesi prima dell’intervista è scesa dal 3,7 per cento nel 2015-2016 al 2,3 per cento nel 2022-2023.

La quota di chi ha subito aggressioni o rapine dall’1,6 all’1,1 per cento, mentre la percentuale di famiglie che hanno subito reati contro abitazione o veicoli è crollata dal 14,6 per cento al 5,5 per cento.

Si tratta di riduzioni impressionanti nell’arco di un solo decennio, che certo incorporano anche l’effetto Covid ma questi sono i dati che abbiamo.

Il chiacchiericcio di questi giorni prende spunto da un’analisi del Sole 24 Ore che fa una specie di classifica della criminalità tra le città in base al crimine. In testa c’è Milano, con 6.952,4 denunce per 100.000 abitanti, ammesso che abbia un qualche senso cumulare denunce per reati molto diversi.

In ogni caso, risulta che il numero di denunce nel 2024 – 225.786 – è perfino inferiore a quello del 2018, quando ce ne sono state 228.084. Il 2018 è l’anno più remoto indicato dalle analisi del Sole 24 Ore.

Tra 2024 e 2023, le denunce sono addirittura in calo di 4.608 unità. Dunque dove sarebbe l’emergenza?

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I dati sulle denunce poi vanno guardati con una certa diffidenza, specie nelle grandi città turistiche: non tutti i turisti a cui rubano magari cellulare e portafoglio denunciano, ma certo è molto più facile che rubino cellulare e portafoglio a turisti in una città turistica piuttosto che in una dove turisti ce ne sono pochi.

E i turisti non figurano tra gli abitanti, dunque il solo fatto che ci siano molte persone in transito esposte a rischio microcriminalità ma poco inclini a denunciare, anche solo perché magari hanno un treno o un volo di rientro da prendere, rende queste statistiche che rapportano le denunce al numero di abitanti di dubbia utilità.

C’è poi un altro aspetto problematico nelle analisi del Sole: le infografiche permettono di individuare le percentuali di minori e stranieri nelle segnalazioni relative a persone denunciate o fermate dalle forze di polizia nel 2024.

A uno sguardo superficiale, può sembrare che ci siano aree di Italia, tipo Milano, dove c’è un problema particolare con gli stranieri: a Milano il 55,8 per cento dei fermati o denunciati o arrestati è straniero. Ma, di nuovo, non è un dato parametrato al numero di stranieri presenti.

È ovvio, per esempio, che a Trieste o Bolzano, zone di frontiera, ci siano molte denunce contro stranieri, così come non stupisce a Prato (62 per cento) dove c’è una vasta e turbolenta comunità cinese.

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L’idea che ci sia un problema specifico con gli stranieri, insomma, è tutta da dimostrare, specie perché le classifiche non distinguono tra stranieri regolari e irregolari: chi non ha un permesso di soggiorno, è quasi costretto a commettere reati, visto che non ha alternativa a cercare redditi nell’economia sommersa. Nel migliore dei casi viene remunerato e paga un affitto in nero, nel peggiore si dedica alla criminalità.

I dati smentiscono poi anche la propaganda dei sindaci progressisti delle grandi città, che reclamano un aumento degli organici delle forze di sicurezza. I vertici dei vari corpi reclamano assunzioni, la Polizia di Stato nel 2024 lamentava di essere sotto organico di 10.271 unità, i carabinieri di 12 mila persone.

Ma quelle sono le differenze tra quanto i vertici ritengono ottimale e quanto hanno in organico. Se guardiamo il quadro complessivo e comparato a livello europeo, le cose cambiano parecchio.

La media europea è di 353,9 membri delle forze dell’ordine per ogni 100.000 abitanti. L’Italia ne ha ben 450,3. Pochissimi paesi sono sopra il livello italiano, tipo la Grecia, un altro Paese che ha sempre un po’ esagerato con l’assunzione di dipendenti pubblici, che è a quota 543.

La Francia è sotto quota 360, la Germania a 317, la Polonia a 263, la Spagna a 378.

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Insomma, l’Italia non sembra avere poco personale dedicato alla sicurezza, anzi. Al massimo, è troppo frammentato tra i molti corpi che compongono l’apparato italiano, da polizia a carabinieri a Guardia di Finanza.

Il problema del dibattito sulla sicurezza è che si basa quasi sempre su impressioni e percezioni, alle quali la politica risponde con altre misure destinate a influenzare le impressioni e le percezioni, invece che i veri problemi, che ovviamente non mancano.

Nel 2008, sull’onda delle paure per gli attacchi del terrorismo islamico, l’allora governo Berlusconi si è inventato l’operazione Strade sicure: oltre 3000 soldati dell’esercito, saliti poi fin quasi a 8000, precettati a far bella mostra di sé nelle strade, con fucili, camionette e tutto il resto. Ma col preciso mandato di non fare assolutamente niente.

Ogni governo successivo ha confermato l’impiego di quelle risorse, previste fino al 2027, la cui attività più incisiva sono i controlli di documenti dei passanti. E stiamo parlando di militari in teoria formati per operazioni all’estero, in teatri di guerra, esposti dalla politica in una specie di vetrina permanente per trasmettere una illusione di sicurezza: le loro regole di ingaggio non prevedono in alcun modo che possano usare le armi automatiche di cui sono dotati per intervenire in caso di violenze. Al massimo chiamano il poliziotto più vicino.

Il risultato di Strade sicure è di avere al contempo meno militari disponibili dove servirebbe e di forze dell’ordine sotto organico perché ci sono i soldati in strada e dunque non servono poliziotti e carabinieri.

La politica della sicurezza fondata sulle percezioni, però, impedisce a governi di qualunque schieramento di cancellare questa assurdità che dura – e costa – da quasi quindici anni.

Insomma, il vero problema per la sicurezza degli italiani forse non sono gli stranieri e neppure gli occasionali pazzi violenti, ma sono i politici ostaggi dei sondaggi e delle reazioni ai loro post sui social.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 5 novembre 2025

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