La bellezza, la giustizia e Dio 

di:

passione

Lo scorso 22 settembre si è tenuto nel Nuovo Palazzo di Giustizia di Brescia, nell’ambito del Festival LeXGiornate[1], un dialogo tra il teologo Vito Mancuso e il Procuratore di Brescia Guido Rispoli. L’incontro, dal titolo «La Bellezza, la Giustizia e Dio», imperniato sul rapporto fra giustizia umana e giustizia divina, è stato sviluppato in forma di intervista, con il magistrato preposto alla giustizia terrena che si interroga e interroga il teologo riguardo alla possibilità di parlare di giustizia divina.

  • Considerato che un uomo di legge è legittimato a parlare di giustizia terrena, che cosa giustifica un teologo a parlare di giustizia divina?

Domanda pertinente, perché un Procuratore è legittimato a parlare di giustizia umana da un corredo di leggi, codici, palazzi, simboli, il teologo no. E nessuno l’avrebbe posta solo nel secolo scorso dal momento che “la morte di Dio” era di dominio comune. Delle tre discipline – diritto, medicina e teologia – all’origine delle prime Università, solo la teologia ha perso potere. Nata in ambito filosofico, Platone conia questo termine nel Libro 2 della Repubblica, in seguito al tragico destino di Socrate, che aveva messo in luce l’insufficienza della giustizia umana e indotto, in nome della coscienza, a fare appello ad un’altra giustizia, affidata all’iperuranio e all’anima.

  • Facendo il confronto con il concetto di legalità, fondato sulle leggi che sono belle perché creano legami, secondo la radice della parola, e brutte perché vincolanti, quali sono le leggi di riferimento della giustizia divina?

Le leggi divine sono leggi umane, fatte da uomini che si sono sentiti legittimati in quanto parlanti in nome di Dio. Le 613 Mitzvot ne sono la prova. Dio, somma intelligenza, non ha fatto questi precetti, ma una sola legge dell’armonia e dell’amore: libertà che si «lega» ad altra libertà. La legge dell’amore è presente nella giustizia umana e Platone la mette al centro del suo pensiero.

Dio la immette in tutta la sua creazione: tutto si muove in nome e per opera dell’amore. «Ama et fac quod vis», dice Agostino. Quella dell’amore è l’unica legge che permea il nostro corpo; tutte le altre discendono da essa e senza di essa si crea ingiustizia.

  • Riguardo alla creazione, l’umanità, in nome della sopravvivenza e della continuità della specie, ha applicato la legge del più forte. Tuttavia, un mondo senza la natura non sarebbe possibile, mentre un mondo senza uomini sì. Perché allora nelle Sacre Scritture si legittima il dominio dell’uomo sugli animali e sul creato?

Stiamo pagando l’antropocentrismo: la crisi ecologica lo dimostra. La centralità dell’uomo nel creato è un prodotto culturale che ne ha legittimato lo sfruttamento.  Oggi si capisce che questa prospettiva non è più sostenibile e che, in nome di una «ecologia integrale», occorre una conversione profonda volta a recuperare il rapporto con gli altri esseri per ricreare una sorta di nuovo «Paradiso», originato anche da un’armonia geopolitica che, sulla base del diritto internazionale, riscatta le popolazioni più deboli dal dominio di quelle più forti. Ma che fine ha fatto il diritto internazionale in occasione dei tragici eventi in Palestina? Come giustificare l’inerzia dell’Europa e degli USA che del diritto internazionale sono stati i promotori?

  • Rispetto all’inefficienza del diritto internazionale, la risposta è nell’espressione hegeliana «Contradictio est regula veri», nel senso che è proprio la contraddizione «fabbricazione armi di sterminio meno guerre» che ha permesso al diritto internazionale di sussistere e di migliorare rispetto al passato. Ma a proposito di giustizia umana e divina la domanda è relativa alla cosiddetta «maledizione del libero arbitrio». Per il sistema giuridico umano e divino l’individuo, secondo il principio di responsabilità, risponde delle proprie azioni. Per Schopenhauer il libero arbitrio non esiste in quanto le nostre azioni non soddisfano la nostra volontà. Anche le neuroscienze dimostrano che il più delle volte l’agire è contrario alla volontà del soggetto. Perché allora il libero arbitrio, dal momento che, secondo la giustizia divina, esso destina l’individuo alla dannazione eterna, in quelle «tenebre» in cui «sarà pianto e stridore di denti», come dice Gesù in Mt 8,12?

Il libero arbitrio costituisce il punto centrale del pensiero filosofico e teologico.  Secondo Schopenhauer non esiste ed esponenti della teologia come Calvino e Lutero concordano. Nel De servo arbitrio quest’ultimo sostiene che, essendo la libertà «incurvata» – tendente, cioè, a soddisfare i propri desideri e cupidigie – l’uomo non è libero.

San Paolo in Rm 8 afferma che Dio ha autonomamente «predestinato», «chiamato», «giustificato» e «glorificato» e se il cuore è indurito – come quello del Faraone (Es 4) – ciò è voluto da Dio. Anche in Isaia 45,7-9 si dice: «Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo». Se Dio è questo, come dice Schopenhauer, non esiste libero arbitrio.

Diversa la prospettiva di Gesù che, in Lc 12,57, sottolinea: «perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?». Il giusto risiede nella coscienza che, attraverso la saggezza e l’intelligenza (phronesis), – come afferma Erasmo nel De libero arbitrio – guida l’individuo a comprendere la situazione e ad agire di conseguenza.

Tuttavia il problema del libero arbitrio non è solo la dannazione, ma la storia.

Se fossimo eterodiretti compiremmo solo il bene, ma il segreto dell’esistenza è l’autodeterminazione, la possibilità di scelta che, se anche se errata, ci rende creativi e responsabili. Diversamente, che senso avrebbe l’esistenza? Libero arbitrio, poi, non è libertà capricciosa, bensì capacità di capire che il «dominio» da esercitare è su noi stessi, sulle nostre passioni al fine di realizzare relazioni di fraternità.

  • Le Scritture parlano della promessa della «terra di Canaan», nonostante questa fosse già abitata da altri. La Regola aurea recita «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te»; principio significativo, pur nell’autoreferenzialità. Nelle aule di giustizia, invece, valgono il libero arbitrio e la responsabilità personale, per cui per chi delinque il criterio perseguito è il timore della pericolosità e la salvaguardia della comunità.

Nella terra di Canaan c’erano altri popoli e Gerusalemme fu fondata dai Gebusei. Gli Ebrei erano un popolo nomade che, secondo il racconto della Bibbia, ha preso via via possesso del territorio; verità in seguito smantellata dall’archeologia.

Nel Deuteronomio la narrazione della conquista mette in primo piano la ferocia: i vinti sono passati a fil di spada e genocidi e massacri sono giustificati in nome dell’elezione di un popolo. Il termine ebraico per descrivere lo sterminio totale è herem, ricorrente nel racconto della distruzione di Gerico da parte di Giosuè (Gs 6).

«Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te» è presente in tutte le religioni e testimonia una grande sapienza nell’aver reso essenziale una realtà umana fondamentale. Chi si oppone al «fine pena mai» ed è nemico del carcere non tiene conto della pericolosità di chi delinque e della necessità di salvaguardare la collettività. Il carcere va migliorato, non abolito.

  • Il nostro ordinamento non prevede il «fine pena mai»: il concetto di riabilitazione e di reinserimento nel consorzio sociale è contemplato nell’articolo 27 della Costituzione. Se questo vale per la giustizia umana, com’è possibile che la giustizia divina applichi regole più barbare concependo, in una prospettiva eterna, un «fine pena mai»? E se la vita è «un battito d’ali» perché questa sproporzione, per quanto orribile sia il crimine commesso?

Il filosofo del diritto Luigi Lombardi Vallauri dice che l’inferno è «anticostituzionale». C’è infatti una sproporzione fra il reato commesso e la pena inflitta.

Questo dogma pesa nella dottrina cattolica: Gesù fa più volte riferimento ad un luogo di tormenti e Isaia prevede questa condanna in nome del peccato. Il perdono è per chi si pente, anche all’ultimo istante. San Paolo parla di misericordia e, secondo il principio «Dio sarà tutto in tutti», di reintegrazione (apokatástasis).

Se per sant’Agostino e Dante l’inferno c’è; per la filosofia di oggi l’inferno esiste ma è vuoto, una metafora per dire che la libertà esiste, va vagliata e compensata con un cambiamento di vita.

Gli Egizi prevedevano l’esame dell’anima e il costo dell’errore era essere divorato dal dio sciacallo; ma una punizione eterna, oltre a essere crudele, è una sconfitta sul piano divino.

  • In relazione alla pena eterna ci si chiede se coloro che sono nati prima di Cristo, non essendosi avvalsi del suo insegnamento, secondo il giudizio controfattuale debbano essere ritenuti responsabili di condotte peccaminose. Chi è nato prima potrebbe rivendicare che si sarebbe comportato diversamente se avesse avuto indicazioni sulla condotta corretta; diversamente chi muore da giovane gode della possibilità di peccare di meno e in questa condizione privilegiata ha più facile accesso al paradiso.

Se la salvezza dipendesse da un evento storico, accaduto in un momento preciso, che ha determinato un prima e un poi, difficile sarebbe per la dottrina consolidata dare una risposta. Pensare che la salvezza dipenda da un evento di 2000 anni fa è un’idea non riscontrabile neppure nei Vangeli: infatti Gesù in Mt 25 non dice che ci si salverà grazie alla sua morte, al sangue di una vittima, ma la lega alla logica del bene e alla giustizia. Tutti gli esseri umani sentono il richiamo del bene e avvertono lo sdegno morale contro il male. Questa legge è inscritta dentro di noi; è la legge primaria da cui promanano tutte le altre.

  • La scienza non si pone problemi spirituali anche se la fisica quantistica dimostra l’esistenza di un’armonia, di un equilibrio. Rispetto all’anima il Cristianesimo prevede due fasi giudizio: il primo al momento della morte e il secondo, universale, con la resurrezione dei corpi.

La Scienza ipotizza l’esistenza di una terza dimensione al di là dello spazio e del tempo. La Teologia l’ha sempre pensato.

Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus dice che «la soluzione all’enigma della vita… si manifesta vivendo al di fuori dello spazio e del tempo». Si tratta di un’esperienza mistica, l’unica che ci permette una pista di ricerca fruttuosa nella «diavoleria» chiamata «groviglio», «mistero».

La dottrina cattolica pensa esistano due giudizi: uno «mox post mortem», secondo la bolla del 1336 Benedictus deus di Giovanni XXII e uno universale. Ma l’anima è «irriducibile» – come dice nel suo libro omonimo il fisico Faggin – e rimane per l’eternità. La materia si dissolve, ma l’anima – il «nous» di Anassagora – da cui è derivata quell’armonia che ha reso possibile questo mondo e che ha condotto dal caos all’ordine, non sarà ridotta in polvere. Tutte le religioni pensano che l’anima sia immortale, mentre la scienza non avrà mai l’ultima parola sul destino della vita perché continuamente in costruzione. Per questo pensare che l’anima sussista dopo la morte è plausibile più dell’idea di un giudizio universale.


[1] Il titolo prende il nome dalle storiche Dieci Giornate di Brescia, una rivolta popolare del 1849 contro il dominio austriaco. Il Festival, curato dalla Fondazione Soldano, dal 2006 dedica dieci giorni ad incontri culturali di varia natura, destinati in modo particolare ai giovani.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto