
Sembra che tutta la vicenda della Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università Carlo di Praga (KTF) si sia ormai trasformata anzitutto in una lotta tra cavilli legali – come deve essere interpretata la legge che riguarda l’università? Cosa significa esattamente questa o quella formulazione dei regolamenti interni?
Per chi opera nel campo giuridico, seguire e studiare questa serie di situazioni senza precedenti può diventare un hobby nuovo. I profani, comprensibilmente, cominciano però a perdersi in questo gioco ad alto livello.
Ciò che viene oscurato, però, è qualcosa di più importante: come alcuni di noi siano finiti in questo gioco e quale esperienza abbiano avuto con il potere e l’impotenza, non solo nell’ambiente accademico, ma soprattutto in quello ecclesiale.
Al cuore del Vangelo c’è un messaggio di libertà – ma solo fino al punto in cui non entra in conflitto con gli interessi politici dei gruppi di potere.
A ragione, quindi, possiamo chiederci: è mai esistito uno spazio di vera libertà oppure si è trattato solo di un’illusione creata da sorrisi condiscendenti, belle frasi e una finta apertura?
Porte aperte, cuore aperto
Come molti sanno, alla Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università Carlo di Praga (KTF) il semestre invernale del 2024 è iniziato tra grandi incertezze e imbarazzo.
Il cambio del tipo di contratto di alcuni colleghi – da contratti accademici a contratti da lettori – avvenuto proprio alla loro scadenza, non è stato certo un buon presupposto per un inizio sereno.
Formalmente era tutto in regola, ma dentro di noi risuonava con forza come una voce che diceva: così non si fa. Una decisione del genere andrebbe presentata in anticipo al responsabile del dipartimento, e anche gli interessati dovrebbero esserne informati prima di trovarsi in un punto di non ritorno, quando ormai non c’è più spazio per negoziare.
Non si tratta di una banalità – la riduzione degli incarichi accademici ha messo seriamente a rischio, per esempio, la riaccreditazione del programma “Storia della cultura europea” e la realizzazione di un progetto europeo già approvato.
Cosa fare in una situazione del genere, se non ricorrere alla possibilità di parlare con il preside, persona nota per la sua mitezza e sensibilità? Sfruttare quella porta aperta che lui stesso ha dichiarato essere sempre disponibile?
E così gli esponi la situazione del dipartimento. Lo preghi di riconsiderare la sua decisione. E sì, trovi un cuore aperto, comprensione, un sorriso gentile… ma nessun cambiamento.
La tua voce suona più come quella di un penitente, una voce che ogni buon uomo di Chiesa sa dimenticare subito dopo che esci dal confessionale.
I biscotti di pan di zenzero natalizi non sono sufficienti per risollevare il morale
Il tempo passa e davvero non si riesce più a capire cosa stia succedendo.
Perché il vostro progetto, di cui il decano si vantava nel suo programma elettorale, viene ora messo in discussione?
Dove è finito il pagamento mensile che vi era stato promesso quando avete accettato di assumere altri corsi senza un aumento dell’orario di lavoro?
Perché improvvisamente si lanciano attacchi contro i vostri colleghi e si annunciano tagli ai posti di lavoro nel dipartimento, dove ormai siete rimasti in pochi?
Ma ovvio che è possibile porre queste domande – le porte sono sempre aperte. E così entrate nel loro ufficio e, di nuovo, in un ambiente che ricorda una confessione, esprimete le vostre preoccupazioni.
Le risposte generali non vi danno molta fiducia. L’affermazione che “tutto dipende dai capi dipartimento” non vi rassicura, perché sapete bene che oggi i capi dipartimento non sono che nomi messi in evidenza sul sito web, con poteri che si esauriscono con un clic sul report mensile delle ore lavorate.
Alla fine, vi riducete a una supplica disperata: «Per favore, fate qualcosa. Non è più sostenibile. Questa situazione ci sta distruggendo psicologicamente e fisicamente!»
La risposta glaciale e disarmante del decano, che è di solito molto gentile, vi lascia senza parole: «L’Università Carlo offre un centro di supporto psicologico, che ogni dipendente può utilizzare liberamente».
Ciò che poi mi ha davvero stupito è stata la doppia faccia del decano, quella che ha messo in atto in un istante, appena ha cambiato ruolo: una stretta di mano, il sorriso familiare e la consegna di un pacchetto di biscotti di pan di zenzero natalizi.
Ho capito che, attraverso le porte aperte, possono entrare solo gli eletti, mentre per quelli che non hanno dimostrato abbastanza lealtà, le porte sono aperte solo verso l’uscita.
Avremmo dovuto giudicare le nostre azioni dal punto di vista della vita eterna
I problemi si accumulano, le persone sono sempre più confuse, e il Senato accademico, insieme ad altri responsabili, comincia a rendersi conto di esser ormai una mera decorazione e che la facoltà è davvero nelle mani di persone i cui intenti sono chiari solo a loro e al loro ristretto circolo.
La storia continua con una trama ormai ben conosciuta: il decano viene rimosso, per un breve periodo la facoltà è gestita dal vice-decano Prázný e, alla fine, su ordine del tribunale, il decano ritorna nel suo ufficio con tutti i suoi poteri. Per molti alla facoltà, che speravano in tempi migliori, l’ordinanza del tribunale e il conseguente divieto di eleggere un nuovo decano sono stati una grande delusione.
Era chiaro che i problemi non avrebbero fatto altro che accumularsi. Questo l’ho osato formulare – forse, per alcuni, in maniera troppo diretta – in un messaggio personale al decano, con l’avviso che tornava a dirigere la facoltà senza la fiducia del Senato accademico, che lo aveva rimosso, e senza la fiducia di gran parte della comunità accademica, non avendo fatto alcun passo per riconquistarla. Per questo motivo, gli ho chiesto di dimettersi e so che in quel momento non ero l’unica.
La risposta non tardò ad arrivare. Invece di una spiegazione o di un tentativo di ricostruire i ponti distrutti, risuonò un tono autoritario: accuse di escalation dei conflitti, invito al rispetto della decisione del tribunale e una lezione moralizzante: «Avremmo dovuto giudicare le nostre azioni dal punto di vista della vita eterna».
In quel momento ho cominciato a rendermi conto che, se una persona è semplicemente disperata e chiede aiuto, le viene offerto un sorriso e l’illusione di una vicinanza umana – ovviamente senza una risposta concreta, poiché i giochi di potere sono ormai fatti e le decisioni prese.
Se però osa opporsi e mettere in discussione quel potere, allora diventa necessario far capire chiaramente chi comanda e come vengono trattati quelli che si permettono il raro lusso, nella Chiesa, di stabilire un limite e dire di no.
Siamo determinati, e siamo la maggioranza
Le ingiustizie aumentano e, con esse, sorgono nuove domande. Inizia un altro capitolo ben noto della storia. Il decano bandisce una serie di concorsi proprio prima delle elezioni del Senato accademico della Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università Carlo di Praga.
Gradualmente vi rendete conto che sempre più persone hanno lo stesso vostro sentimento, fino a quando la situazione non raggiunge un punto in cui, insieme a una maggioranza di più della metà dei dipendenti, firmate una dichiarazione in cui il sentimento prevalente di tutti è espresso in modo esplicito: «Noi stessi e i nostri colleghi siamo stati spinti nella posizione dei più deboli e manipolati. Tuttavia, non vogliamo rassegnarci al fatto che questa situazione sia inevitabile».
Cambierà qualcosa? Vi chiedete. Qualcuno ci ascolterà? La direzione inizierà a interessarsi del nostro punto di vista e più della metà delle persone avrà abbastanza forza per farsi ascoltare?
La risposta arrivò di mercoledì, in un orario simbolico – prima dell’inizio del Triduo pasquale. Da un lungo testo che metteva in discussione la motivazione dei dipendenti e mostrava chiaramente che qualsiasi critica o opposizione li rendeva nemici della facoltà, spiccava in modo particolarmente forte l’ultima frase: «Siamo determinati, e siamo la maggioranza».
Chiedete? Non siete ascoltati. Mettete un limite? L’autorità si pone chiaramente in modo ancora più forte. Siete di più? Si arriva a minacciare con la forza – è ormai una rivoluzione e questa va repressa a tutti i costi.
Devo esprimere il mio stupore per il fatto che scriviate da tutte le parti
L’impotenza cresce. Questa situazione disperata invoca soluzioni disperate. La facoltà è in una profonda crisi e non è in grado di risolverla da sola.
Esiste davvero qualcuno a cui possiamo chiedere aiuto? Qualcuno ci ascolterà davvero? Forse anche un laico, in una situazione del genere, potrà rivolgersi ai vescovi. Forse si interesseranno di cosa sta vivendo la maggioranza dei dipendenti e quelli che si trovano nella posizione di più deboli troveranno supporto. Così ai vescovi prescelti è stata descritta la propria impotenza e quella dei colleghi: «Il Senato accademico è di fatto privato di qualsiasi possibilità di influire sulla direzione della facoltà. L’appello della Rettrice dell’Università Carlo a moderarsi rimane inascoltato. La recente Dichiarazione pubblica dei dipendenti, firmata da 35 accademici e lavoratori tecnici e amministrativi della facoltà, è stata respinta così che la situazione si è aggravata ulteriormente. Molti di noi sono quindi in una situazione in cui si trovano con le spalle contro il muro e non sanno cosa fare.»
Le risposte imbarazzate dei più alti esponenti ecclesiastici e la dichiarata incapacità di fare qualcosa mi lasciano sorpresa. Ma ciò che in me ha un impatto ben più forte è il tentativo del Gran Cancelliere stesso di rimettermi al mio posto: «Senza giudicare i passi compiuti dalla dirigenza attuale, che criticate per la mancanza di comunicazione, devo esprimere il mio stupore per il fatto che lei scrive da tutte le parti e non si siede invece con la dirigenza a un tavolo comune.»
La mia voce viene immediatamente associata al movimento di opposizione organizzato; come vittima di un’azione arbitraria, dovrei sedermi al tavolo con l’aggressore, il cui approccio è caratterizzato da un totale disinteresse e da tentativi di sopprimere ogni voce critica. Il nocciolo della questione – cioè, le azioni della dirigenza attuale – viene nuovamente messo da parte. L’effetto della risposta potrebbe essere parafrasato così: Certo, sappiamo che qualcuno ti schiaccia la testa sott’acqua. Ma cerca di non fare troppo rumore attorno.
Così, lentamente, la persona che, all’inizio, aveva delle domande e, secondo la sua coscienza, aveva rifiutato per sé e per i colleghi di essere oggetto di una gestione incontrollata e di manovre, diventa un elemento di disturbo e un rivoluzionario.
Nella Chiesa non è consuetudine opporsi agli abusi di potere: o ti sottometti al potere, o non fai parte di noi. Una simile interpretazione del nucleo della fede cristiana non ci era mai stato insegnato alla facoltà – ce l’hanno dovuta spiegare gli insegnanti di etica, i più alti esponenti ecclesiastici e coloro che, a quanto pare, si preoccupano della corretta formazione dei futuri sacerdoti.
Da accademici ad avvocati dilettanti?
Le circostanze successive della storia possono essere lette in molti altri articoli. Lo scopo del mio testo è di offrire solo qualche piccolo tassello in un mosaico che continua man mano ad arricchirsi. Comportatevi da adulti, che devono sapersela cavare da soli, ci risponderà l’arcivescovo apostolico. Soprattutto, state in silenzio e non fate problemi quando si gioca una partita importante al tavolo. Questo è l’atteggiamento nei confronti dei sofferenti e degli oppressi, che viene diplomaticamente comunicato direttamente dall’ambasciata del Vaticano.
E cosa succede nel frattempo? Una raffinata battaglia legale in cui teologi, letterati e storici dell’arte, privi di forti contatti e di risorse finanziarie, sono nella posizione di Davide, che affronta il temibile Golia con la fionda. Spostare la questione su questo terreno è una grande mossa tattica. L’appello per la rimozione del decano è solo un pezzo di carta senza valore, che dipende solo da quanto correttamente è stato presentato dal punto di vista procedurale.
I potenti sono davvero potenti e cosa fare quando un pugno di accademici evidentemente sacrificabili entra in conflitto con loro?
Golia continua a crescere e vi rendete conto che i principi del Vangelo e della democrazia valgono nei posti alti solo quando c’è bisogno di formulare qualche frase ad effetto per il popolo sottomesso. Che faccia ciò che vuole, ma non si intrometta nei metodi con cui vogliamo governarlo.
Golia, dai tempi biblici, non ha mai smesso di agire – ha un’armatura ben corazzata, con un cannone che può caricare sia con munizioni collaudate sia con le più nuove frasi devote, con minacce di rimozione da incarichi canonici e con articoli di legge, per i quali ha il monopolio dell’interpretazione. Con macchinazioni studiate, distrugge interi ambiti, cattedre e persone. Pubblica articoli denigratori e falsi sotto pseudonimo e si occupa in modo sistematico dell’opinione pubblica nei forum di discussione con profili falsi. E tutto ciò con la benedizione delle autorità che conducono una guerra santa contro i propri fedeli, che si sono permessi di chiedere aiuto. Quali sono le possibilità per Davide, stanco di leggere interminabili paragrafi numerati?
- L’autrice è assistente accademica presso il Dipartimento di Storia della Chiesa e Storia della Letteratura della Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università Carlo, dove ricopre anche la carica di vicepresidente del Senato Accademico.






Ma come, Papa Prevost non disse alla Messa del 26 Ottobre che «Nella Chiesa (cattolico-romana) […] le relazioni non rispondono alle logiche del potere ma a quelle dell’amore. Regola suprema, nella Chiesa, è l’amore: nessuno è chiamato a comandare, tutti sono chiamati a servire; nessuno deve imporre le proprie idee, tutti dobbiamo reciprocamente ascoltarci; nessuno è escluso, tutti siamo chiamati a partecipare; nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme».
Strano, da Valdese mi sembra che in questa Chiesa valga proprio l’opposto: ubbidienza alle gerarchie o chiunque abbia ruolo di comando, a partire dal suo sovrano, monarca o Capo di Stato, pena sanzioni di varia natura. Una Chiesa dove invece donne e laici sono esclusi a vari livelli, e che si presenta come la detentrice della “Verità tutta intera” e del “deposito della Fede”. Forse parlava di una Chiesa che ancora non è, oppure io soffro di amnesia. So per certo che gli Ortodossi non vogliono ancora riconciliarsi con Roma proprio per come la Chiesa Romana esercita il comando e il potere, ancora una volta a partire dal “Patriarca d’Occidente”. Chissà, infondo sono solo un semplice “fratello” membro di una non-chiesa, a cui è almeno concesso di considerarsi cristiana. Perdonate il tono un pò polemico, ma come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare…e forse un oceano tra la realtà per come si presenta e come vorremmo che essa fosse. Comunque, che la Grazia ci liberi e ci sostenga, un abbraccio fraterno!
La situazione alla KTF UK è, nonostante le affermazioni dell’articolo, semplice. L’attuale leadership illegittima della KTF UK sta sistematicamente rimuovendo la dottrina cattolica dalla sua posizione di potere. Ci sono prove evidenti di ciò.