
Non potevano passare inosservati i 1700 anni del Concilio di Nicea (325). Studi, articoli, convegni, nonché la visita di papa Leone XIV hanno inteso ricordare la prima assise conciliare del cristianesimo.
La benemerita editrice triestina Asterios, impegnata a far conoscere le ricchezze della teologia orientale, è presente con un testo assai prezioso che commenta, a due voci, il Credo che noi definiamo «niceno-costantinopolitano», perché formulato a Nicea (325) e perfezionato a Costantinopoli (381) (Il credo. Commento al simbolo liturgico della fede; cf. qui la scheda di presentazione del volume).
Le due voci che lo presentano e lo commentano sono di due figure di primo piano del mondo ortodosso: Vladimir Lossky e Pierre L’Huillier. Alessia Brombin, docente di teologia spirituale presso la Pontificia Università della Santa Croce, nella sua pregevole «Premessa all’edizione italiana», ne tratteggia una biografia essenziale.
Del primo, Lossky (1903-1958), afferma che «aveva sviluppato un approccio alla teologia mistica che sapeva conciliare l’eredità patristica con le esigenze dell’intellighenzia occidentale. Del secondo, L’Huillier (1926-2007), ricorda «la sintesi personale tra la tradizione orientale e la cultura europea». Due personalità, quindi, aperte al confronto e al dialogo.
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Veniamo al loro commento ai dodici articoli del Credo (o Simbolo) niceno-costantinopolitano. Sono commenti coinvolgenti, perché in essi confluiscono sacra Scrittura, tradizione, teologia, patrologia, spiritualità, liturgia e adorazione dei misteri annunciati.
Le pagine introduttive e il commento al primo articolo del Credo sono di V. Lossky, mentre gli altri undici recano la firma de L’Huillier.
Lossky comincia col dire che il Dio in cui credono i cristiani «non è un ente impersonale, un assoluto senza volto, indifferente alle sorti degli umani»; che il monoteismo dei cristiani afferma un Dio che non è solitudine e che «l’unico Dio personale del cristianesimo è una tri-unità di persone», cioè «un solo Dio», un’unica essenza, sostanza o natura in tre ipostasi o persone.
Affermando che il Padre è «onnipotente» e «creatore», i cristiani lo dichiarano «sovrano di tutte le cose» (pantokrator), che «trae l’essere da non-essere», e non «un artigiano divino, un “demiurgo”, che mette ordine a una materia informe ed eterna, a un caos preesistente al cosmo». Il mondo non è «una divinità degradata o diminuita, bensì una realtà radicalmente nuova», creata per mezzo del Verbo, frutto di un atto libero e gratuito della volontà divina e l’ordine cosmico «svela la bontà, la sapienza e l’amore del Creatore».
Per Lossky, «il “conflitto tra scienza e religione” costituisce una falsa dicotomia, capace di turbare soltanto gli spiriti arretrati di credenti poco informati o di scienziati dalla mentalità ristretta».
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D’ora in poi tocca a Pierre L’Huillier, prima monaco poi vescovo in America, commentare i rimanenti articoli.
Il primo di essi è quello riguardante la persona del Verbo, coeterno con il Padre e della stessa sostanza, «contro la blasfema formula ariana circa il Figlio: “Vi fu un tempo in cui egli non era”». «La consustanzialità delle persone divine è un dogma fondamentale dell’autentico cristianesimo». Ne va della salvezza dell’uomo, perché – afferma L’Huillier –, «se Cristo non è realmente e pienamente Dio e uomo, l’abisso tra il divino e l’umano resta invalicabile».
Sulla disputa ariana circa la natura di Cristo, da non trascurare una lunga nota tratta da un testo di J. Popović. In essa si legge che «l’arianesimo non è stato ancora sepolto: oggi è più alla moda e più diffuso che mai», soprattutto nella cultura europea contemporanea, perché, «ovunque e sistematicamente il Cristo è abbassato a un semplice uomo: costantemente viene disincarnato il Diouomo; continuamente si compie l’opera di Ario», dal momento che «Ario espelle Dio da Cristo».
Due le sottolineature per il terzo articolo del Credo («Per noi uomini e per la nostra salvezza…»). Si tratta dell’incarnazione del Verbo. «L’incarnazione – scrive L’Huillier – è l’“evento” per eccellenza della storia della salvezza…, è l’avvenimento che ha radicalmente mutato la storia, poiché, con l’incarnazione del Verbo, i rapporti tra Dio e l’uomo stati totalmente trasformati».
Quanto alla disputa se l’incarnazione sarebbe avvenuta anche senza il peccato originale, l’opinione del nostro autore è che si tratta di «speculazioni vane e oziose».
In questo terzo articolo si afferma che Gesù si è fatto uomo «per opera dello Spirito Santo e della Vergine Maria». Per cui, coloro che rifiutano la maternità divina della Vergine Maria – scrive Lossky – «non sono veri cristiani, poiché si oppongono con ciò al dogma dell’incarnazione del Verbo».
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E veniamo alla passione e morte di Gesù sotto Ponzio Pilato. Il richiamo a Pilato «rimarca il carattere storico della passione». Ma è sulla croce che dobbiamo soffermarci, per indicare che «la morte sulla croce ha già inesorabilmente sancito la sconfitta delle forze del male» e quindi la passione di Gesù possiede un «aspetto glorioso». La tradizione orientale, infatti, definisce la croce con l’aggettivo «vivificante», mentre l’Occidente la qualifica come «gloriosa» o «beata».
L’Huillier sottolinea la differenza tra le due teologie della passione/morte del Signore. L’Occidente pone la redenzione entro categorie giuridico/etiche, interpretando il sacrificio di Cristo come riparazione all’offesa recata a Dio con il peccato originale, mentre per l’Oriente il Cristo redentore è la «primizia di una nuova umanità liberata dalla schiavitù diabolica».
Poche ma decisive parole per l’articolo sulla risurrezione: «La fede nella risurrezione di Gesù Cristo è il cuore dell’autentico cristianesimo», tanto che tale evento «segna il confine invalicabile tra la fede e l’incredulità». La risurrezione «è la manifestazione lampante della messianicità di Gesù e della sua divinità».
A differenza dell’arte occidentale che, sovente, dipinge o scolpisce il momento della risurrezione, «l’iconografia ortodossa tradizionale non raffigura la risurrezione in sé, bensì le apparizioni successive» e questo perché questo l’evento è sfuggito ad ogni indagine umana e non è descritto nei Vangeli.
Segue poi l’ascensione di Cristo e la sua intronizzazione «alla destra del Padre». Essa segna «il coronamento del sacrificio di Cristo», «l’esaltazione del Diouomo… capo di una umanità rigenerata, la quale, proprio nella sua persona, siede ormai gloriosa alla destra del Padre».
Interessante l’annotazione de L’Huillier, secondo la quale «l’ascensione non è affatto una “disincarnazione” del Verbo divino», dal momento che Egli vive nella Chiesa e la pentecoste – che inaugura l’epoca della Chiesa – è la «conseguenza necessaria» dell’ascensione.
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«E di nuovo verrà…», recita l’articolo 7 del Credo. «La fede nella seconda venuta di Cristo – scrive L’Huillier – è assolutamente centrale per l’intera dottrina cristiana», dal momento che la Chiesa non ha una concezione ciclica del tempo, bensì lineare (esiste un inizio e una fine). La liturgia eucaristica non è solo memoriale di un evento passato, ma esprime anche l’attesa escatologica della comunità messianica che è la Chiesa. Andiamo quindi verso la “fine del mondo”, con la quale «cesserà ogni possibilità di cambiamento: tutto sarà fissato in modo immutabile e assoluto».
E siamo all’articolo 8 («E nello Spirito Santo…»). Come avevano negato la consustanzialità del Verbo con il Padre, così gli ariani, in compagnia in questo caso di taluni cristiani, «non riconoscevano affatto la divinità e la consustanzialità dello Spirito». Ma la fede cristiana, che ha il suo fondamento nella rivelazione neotestamentaria, ritiene persona anche lo Spirito, confessando così che «il monoteismo non è unipersonale ma trinitario».
L’ortodossia sottolinea fortemente la presenza e l’azione dello Spirito nella Chiesa, affermando che Esso «è la fonte di ogni santificazione» e che «la presenza dello Spirito Santo distingue radicalmente la Chiesa da ogni altra società».
Non poteva non tornare l’antica querelle del «Filioque». Nel Credo niceno-costantinopolitano si afferma che lo Spirito Santo «procede dal Padre». Questa è la formulazione da sempre adottata dalla tradizione orientale, mentre la Chiesa di Roma, inizialmente concorde, dall’XI secolo in poi professò che lo Spirito Santo «procede dal Padre e dal Figlio», alterando il simbolo universale della fede. Ferma la condanna de L’Huillier: «in primo luogo, perché l’aggiunta in questione esprimeva una dottrina senza fondamento nella rivelazione; in secondo luogo, perché la modifica del testo del Credo fu compiuta unilateralmente dalla Chiesa d’occidente, in violazione del principio cattolico di conciliarità».
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«Una, santa, cattolica e apostolica» (art. 9). «Queste note della Chiesa – scrive L’Huillier – costituiscono un unicum indissolubile», tanto che «l’assenza o una mutilazione di una influisce sulle altre». Quando poi si parla della Chiesa – prosegue – occorre evitare due estremismi: «una concezione troppo spirituale» e «un istituzionalismo troppo marcato».
Se poi la Chiesa è “una”, nel tempo e nello spazio, «non possono esistere più Chiese, poiché non possono esistere più verità».
È «santa», perché «la vita nella Chiesa è vita in Cristo e nient’altro».
E, se è «cattolica», «è la negazione del particolarismo settario».
Quanto al suo essere “apostolica”, occorre ribadire che «i legittimi successori degli apostoli sono i vescovi» e che, «nella Chiesa ortodossa non c’è mai stato alcun dubbio sul fatto che l’episcopato non appartiene al bene esse (al buon esistere) o al plene esse (all’essere completo) della Chiesa, ma alla sua stessa natura (al suo esse)».
«Professo un solo battesimo…», recita l’articolo 10. Confessare questo significa che «l’adesione a Cristo nella Chiesa è l’unica via sicura per la salvezza». Per L’Huillier, il simbolismo del rito battesimale (immersione, tunica bianca…) era spinto «fino alla massima raffinatezza». Lamenta però che la Chiesa ortodossa abbia praticamente abbandonato il battesimo per immersione con il suo impareggiabile simbolismo. Ribadisce che l’iniziazione cristiana ha il suo ordine logico nel battesimo, quindi nella crismazione e, infine, nell’eucaristia.
Severo è il cammino imposto a coloro che dall’eresia vogliono rientrare nell’ortodossia.
Da non dimenticare che la maledizione che gravava sull’umanità a causa del peccato originale è stata rimossa dal sacrificio del Verbo incarnato e che il «battesimo integra l’uomo nell’umanità rigenerata, di cui Cristo, nuovo Adamo, è capo».
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Gli ultimi due articoli del Credo (la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà) rivelano quanto sia fondamentale nel cristianesimo la fede nelle realtà ultime. La risurrezione, infatti, «non è una pia speranza, ma una certezza che condiziona la fede cristiana». «Il cristianesimo – annota L’Huillier – è davvero, in senso forte, una religione della speranza».
Ed è il banchetto eucaristico l’anticipazione più evocativa del banchetto messianico, dove si realizzerà la vocazione che Dio ha messo nel cuore di ogni uomo: «l’unione divinizzante».
Al termine di questa presentazione/recensione, ci sembrano appropriate le parole della Brombin. La sintesi del Credo approntata da Lossky e da L’Huillier – scrive – «non è una semplice esegesi, ma una vera e propria mistagogia del Credo niceno-costantinopolitano». Essi ricordano che le antiche formule conciliari non sono «reliquie teologiche», ma espressioni di «un’autentica esperienza di fede che riaffiora sottotraccia nella Chiesa di oggi».
Le differenze tra la teologia orientale e quella occidentale non intaccano la sostanza di una fede proclamata dai cristiani nella liturgia domenicale e festiva.
Vladimir N. Lossky – Pierre L’huillier, Il Credo. Commento al simbolo liturgico della fede, Premessa, traduzione dal francese e note a cura di Alessia Brombin, coll. Le Belle Lettere 93, ed. Asterios, Trieste 2025, pp. 127, € 13,00, ISBN 9-788893-132909






Si consiglia vivamente la lettura dell’opera di John Norman D. Kelly, “I simboli di fede della chiesa antica. Nascita, evoluzione, uso del credo.” Edizioni Dehoniane… insuperato!
Tutte superstizioni su un dio che, se esistesse, non sarebbe stato lontano dall’uomo per in milione di anni, per poi fare due rivelazioni completamente diverse (leggere Pentateuco e Vangeli) in meno di 2.000 anni
Il credo è ciò che di quel concilio di Nicea del 325 resiste ancor oggi, altra legislazione universale, pur lì formulata, è passata di moda ed è stata sostituita da altra, più al passo coi tempi. Allora però anche il credo niceno si servì di un precedente testo, sul quale appoggiò le proprie inconfutabili verità di fede, certamente non nuove alla rivelazione cristiana. È interessante notare che nello sviluppo storico qualcosa resiste e altro lascia il posto a una migliore espressione della medesima fede. In questo cogliamo che la tradizione non è una semplice ripetizione del dato acquisito ma una riproposizione di qualcosa che permane uguale a se stesso, proprio per il fatto di adeguarsi ad una esperienza che muta con lo scorrere del tempo e col variare della geografia. Penso non sia da dimenticare che nel 325 a Nicea si radunarono (solo) 318 padri sinodali provenienti unicamente dall’impero romano, mentre il Vangelo aveva ormai raggiunto ben più ampi confini e non tutte le Chiese apostoliche si sono lì radunate per condividere la medesima fede cristologica. Se il linguaggio è decisivo per la reciproca comprensione, capiamo come anche questo primo concilio ecumenico divenne motivo di incomprensione e di differenziazione. L’unità va quindi ritrovata nella fede piuttosto che in un testo segnato dalla dittatura del tempo e dello spazio.
“L’unità va quindi ritrovata nella fede piuttosto che in un testo segnato dalla dittatura del tempo e dello spazio.”
Si ma quale sarebbe la fede non segnata dalla dittatura del tempo e dallo spazio?
Alla fine o questa fede diventa un ideale completamente astorico oppure finisce per essere schiava di ogni singolo passaggio storico. L’intenzione di Bergoglio, nel rilanciare il credo niceno, era quella di ripartire da un minimo comun denominatore tra le varie confessioni religiose. A spanne non funziona nemmeno in casa cattolica, dato che è tutto un puntualizzare questo e quello.
“… è passata di moda ed è stata sostituita da altra, più al passo coi tempi. Allora però anche il credo niceno si servì di un precedente testo…” … cioè?
Grazie abbiamo sempre bisogno di essere riconfermati nella fede specialmente in questi tempi confusi e senza speranza.