“Lady Macbeth” di Shostakovich alla Scala

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Nel 50° anniversario della morte del compositore Dmitrij Shostakovich (1975) il Teatro allaScala di Milano rappresenta, nella serata inaugurale della stagione il 7 dicembre prossimo, l’opera Lady Macbeth del distretto di Mcensk. Abbiamo chiesto al maestro Nicola Sfredda di presentarne i valori storici e musicali.

– Caro Maestro, a quando risale la prima esecuzione dell’opera e quante e quali rappresentazioni aveva già avuto prima del 26 gennaio 1936?

La prima rappresentazione dell’opera Lady Macbeth del distretto di Mcensk avvenne il 22 gennaio 1934 al “Piccolo Teatro Statale dell’Opera” di Leningrado. L’opera era stata composta tra il 1930 e il 1932 dal giovane compositore Dmitrij Shostakovich, nato nel 1906.

Nei primi due anni ebbe molte rappresentazioni, anche in molti paesi occidentali, riscuotendo grandi consensi di pubblico.

– Ci vuole ricordare cosa è successo al teatro Bolshoj di Mosca il 26 gennaio 1936?

In quella occasione era presente Stalin, che abbandonò il teatro alla fine del terzo atto – l’opera consiste in quattro atti – disapprovando apertamente la musica di questo lavoro e il suo assunto narrativo.

– Chi scrisse l’attacco all’opera nell’articolo della Pravda del 28 gennaio successivo? Con quali accuse?

L’articolo è anonimo e qualcuno azzardò che fosse stato scritto da Stalin in persona, ma l’ipotesi è un po’ inverosimile e attualmente non accreditata.

L’accusa ufficiale, che il regime sovietico adottò per molte opere di compositori sovietici – e in particolare per questa – fu di “formalismo”: si tratta di una parola generica, senza un contenuto ben definito.

– Che significato aveva l’accusa?

Il termine richiama un modo compositivo che sembra essere legato alla pura “forma” dell’opera, trascurando cioè il suo contenuto, che per il regime doveva essere “rivoluzionario”, ossia legato ai temi cari al regime stesso. In realtà, ogni ricerca musicale che andasse in direzione della complessità e all’espressione delle contraddizioni della vita, doveva essere censurata: l’ideale “realista” del regime era la musica popolare, orecchiabile, con contenuti positivi, che dessero l’idea dell’inevitabile trionfo del bene sul male, ovviamente grazie alla bontà del regime.

L’opera di Shostakovich appariva, invece, pericolosamente vicina allo sperimentalismo dei contemporanei occidentali – in particolare alla scuola espressionista di Vienna – e tratta un tema tragico e complesso, da cui emerge in particolare la disperata ricerca di quella libertà esistenziale che il regime stesso stava opprimendo con le sue rigide limitazioni.

È interessante notare come il “sistema borghese” sia criticato con argomenti opposti rispetto a quelli dell’avanguardia occidentale: in Occidente, le avanguardie teorizzavano una critica al sistema borghese mediante una rottura radicale con la tradizione del passato; la storia della musica occidentale era vista infatti come il trionfo dell’ideologia borghese, soprattutto dopo la Rivoluzione Francese; mentre, per il regime sovietico, l’avanguardia occidentale era “arte borghese degenerata”.

Lo stesso concetto di “realismo” era inteso in modo opposto: in Occidente significava una rappresentazione cruda della realtà, anche nelle sue manifestazioni più tragiche, o più basse; mentre in Unione Sovietica con questa parola si intendeva la produzione di un’arte ottimistica e popolare, adeguata ai bisogni e alle aspettative del popolo.

***

– Quali competenze musicali aveva Stalin e qual era la sua musica preferita?

Stalin non aveva particolari competenze musicali; per lui, come per ogni dittatore, la musica e ogni evento culturale erano solo strumenti di propaganda del regime. La libertà dell’artista non rientrava nella sua ottica censoria e autoritaria.

– Quali caratteristiche musicali aveva – e conserva – questa opera di Shostakovich?

Vi troviamo una grande varietà di soluzioni musicali creative: innanzitutto si evidenzia la descrizione del grottesco, ad esempio nei personaggi negativi quali, in particolare, il suocero della protagonista, espresso con dure dissonanze, ritmi goffi, sonorità stridule o inquietanti.

Le tensioni laceranti, tipiche della poetica espressionista, sono evocate nei momenti di angoscia della donna, espressa anche da suggestivi interludi orchestrali tra una scena e l’altra, nei quali l’orchestra rappresenta efficacemente gli stati d’animo suoi e di altri personaggi. Ma vi ascoltiamo anche momenti lirici, nei quali il diatonismo più tradizionale riprende il suo tono più morbido, corrispondente all’acquetarsi delle tensioni.

Il giovane compositore utilizza, dunque, una complessità di linguaggio che non poteva essere colta da ascoltatori attenti solo ad effetti forzatamente semplificati, richiesti per indulgere ai fini della propaganda, che nulla hanno a che vedere con l’autentica espressione artistica.

Ci sembra molto utile leggere una nota programmatica, pubblicata il 16 ottobre 1932, che lo stesso compositore ebbe a scrivere per introdurre all’ascolto dell’opera: «Il racconto di Leskov… è un’eccezionale e impressionante rappresentazione delle epoche oscure della Russia prerivoluzionaria. Per il compositore della Lady Macbeth esso è letteralmente un tesoro. I caratteri disegnati con chiarezza, i conflitti drammatici, tutto ciò mi attrasse immensamente. … L’opera è per me tragica. Direi che la si potrebbe definire un’opera tragico-satirica. Anche se Katerina L’vovna è un’omicida – assassina, infatti, il marito e il suocero –, ho per lei simpatia. … Con la Lady Macbeth mi sono preoccupato di creare un’opera che sia una satira larvata e, gettando la maschera, obblighi a odiare lo spaventoso arbitrio e i soprusi della classe dei commercianti. … Sono profondamente convinto che in un’opera sia necessario cantare. Tutte le parti vocali della Lady Macbeth sono cantabili e melodiche. L’orchestra viene potenziata per accentuare alcuni culmini drammatici».

Si nota in queste parole del compositore il desiderio di non contraddire le imposizioni del regime e di voler essere conforme ai suoi princìpi fondanti; tuttavia, il suo pensiero era troppo profondo e complesso per essere capito.

– Vuole ricordare anche la trama dell’opera, col suo autore remoto (Leskov) e il librettista (Preis)?

Innanzitutto, il titolo richiama, ovviamente, il classico personaggio reso immortale dalla penna di Shakespeare. Ma c’è una differenza fondamentale: mentre nel poeta inglese la Lady Macbeth è la rappresentazione di una cattiveria stregonesca e demoniaca che brama il potere fine a sé stesso, l’eroina di Leskov, ripresa da Preis e dallo stesso Shostakovich – che partecipò attivamente alla stesura del libretto – è espressione della volontà di riscatto dalla prigione delle convenzioni e dai soprusi, in particolare dal maschio nei confronti della donna: anche se il destino della protagonista sarà tragico e la condurrà alla disdetta definitiva.

Katerina vive un matrimonio infelice ed è oggetto di mire equivoche da parte del suocero, in un contesto di generale disprezzo della donna da parte della componente maschile. Innamoratasi di un corteggiatore spregiudicato, uccide il suocero, per avvelenamento, e il marito, strangolandolo col concorso dell’amante, divorata poi dai sensi di colpa e dai rimorsi.

La conclusione non potrebbe essere più tragica: di fronte alla leggerezza sfrontata di Sergej, Katerina si suicida nelle acque profonde e gelide del Volga, trascinando nella morte anche la rivale già sedotta dall’amato.

La dimensione del grottesco, che abbiamo individuato come una delle caratteristiche peculiari del linguaggio di Shostakovich, emerge chiaramente già nella scena della seduzione, la terza del primo atto: la musica, al di là delle parole, ci fa capire la vera personalità di Sergej, l’amante spregiudicato: è come se il compositore ci avvertisse che anche questo amore, da cui lei è fatalmente attratta, è in realtà fallace, se non addirittura violento, scatenante la sua stessa violenza omicida.

«La mercantessa è ancora tutta fuoco e fiamme. Invece il suo amante si è già raffreddato, non vuol più saperne di lei! … Non le è rimasto più nulla! In libertà, ha perso la felicità e, in prigione, il fidanzato»: così cantano in coro le forzate – compagne di sventura di Katerina – nell’ultimo atto.

Shostakovich mette in scena, dunque, una storia di crudo realismo, nella quale le grandi contraddizioni dell’animo umano non si celano, anzi vengono messe in chiara evidenza.

***

– Perché anche la trama, oltre alla musica, non è risultata gradita al regime?

Una trama del genere mette a nudo la complessità dell’esistenza, che ogni regime autoritario vuol ridurre a modelli precostituiti.

«Nessuno con cui possa dire una parola… Solo muri, porte e serrature alle porte!» (atto I, scena III): Katerina esprime la percezione di prigionia che gli autori della musica e del libretto intendevano originariamente riferire al passato zarista, ma che i censori sovietici hanno còlto quale critica al loro stesso regime.

Shostakovich intese interpretare la narrazione dell’opera quale ribellione all’ipocrisia borghese – quindi coerente con gli ideali antiborghesi del comunismo –, ma i suoi censori colsero la natura potenzialmente liberatoria contro ogni forma di potere e quindi contraria al sistema sovietico.

Il coro finale insiste sulle parole che – metaforicamente ma chiaramente – esprimono la condizione umana sottoposta ad ogni regime oppressivo, quale che sia: «Camminare ancora, e ancora, facendo tintinnare a ritmo le catene. Contare tristemente le verste, sollevando la polvere coi piedi! Eh, voi, steppe sconfinate! Giorni e notti senza fine, i nostri pensieri sono tristi e i gendarmi senza cuore!».

In realtà, ogni potere politico, anche quando mosso da buoni presupposti ideali, inevitabilmente, giunge all’autolegittimazione e all’adozione di pose conservatrici e autoreferenziali: la censura è perciò il classico strumento di controllo e di terrore esercitato dal potere, che sempre diffida di ogni espressione di libertà, in quanto possa scalfire l’ordine stabilito.

– Secondo lei, fu più la musica o la vicenda dell’opera a suscitare irritazione?

A mio parere, entrambe: se la vicenda è in sé scabrosa e inaccettabile nell’ottica tronfiamente ottimistica che si voleva veder rappresentata, la musica, con la sua complessità e il suo profondo bisogno di espressione autentica e non retorica, è apparsa una amplificazione ancora più destabilizzante e critica nei confronti del regime sovietico.

– La Chiesa ortodossa – la religione – che parte hanno in quest’opera?

Nell’atto II un pope viene chiamato durante l’agonia del suocero, Boris, avvelenato. Il morente fa un’interessante confessione di peccato, mentre il pope lo ascolta e sembra dubitare dell’avvelenamento. Alla fine dell’atto, quando anche il marito Zinovji viene ucciso, l’amante Sergej lancia al cadavere una battuta sarcastica: «Eccoti il pope». Nel terzo atto il pope scherza durante il matrimonio di Katerina con Sergej, alludendo maliziosamente alla loro unione.

Mi pare che la Chiesa sia vista solo come luogo di ritualità formale, senza riferimenti al valore della fede: la Chiesa, bandita dal regime, è evocata nel contesto della Russia prerivoluzionaria, ottocentesca.

Alla figura del pope è associata la funzione – o la finzione – del rito tradizionale, cioè, svuotato di senso e trattato, quindi, in modo del tutto satirico. Alcuni registi, nelle varie rappresentazioni dell’opera, hanno voluto sottolineare pure la venalità del pope, interessato solo al guadagno derivante dalla sua funzione, anche se, nel libretto, non ci sono, di per sé, elementi per giustificare questa scelta registica.

Ci sono poi altri riferimenti al tema: nel settimo quadro del terzo atto, il “nichilista” viene costretto ad affermare che «Dio esiste»: così viene sottolineata l’intransigenza teocratica del potere zarista; ma, anche in questo caso, il quadro ci fa capire, per analogia, che pure il nuovo regime produce intransigenza, benché di contenuto opposto.

***

– Cosa è cambiato nella vita di Shostakovich dopo quell’evento?

La vita di questo compositore costituisce una vicenda molto particolare nel panorama della musica sovietica: al contrario, infatti, di molti altri suoi colleghi, altrettanto importanti, Shostakovich decise di rimanere in Russia. Dovette, perciò, superare il rischio personale e familiare di perdere il lavoro e persino la propria vita; dovette, inoltre, cedere alle richieste di adeguamento del regime.

Ma la sua forza creativa è stata tale da permettergli di non tradire mai il suo pensiero e la sua arte, neppure da minacciato: seppe adattarsi, da un lato, temperando alcune asprezze del suo linguaggio musicale e celebrando, da par suo, con un certo malcelato sarcasmo, alcune epopee del regime; dall’altro, seppe trovare la sua più originale espressione in opere “meno appariscenti”, ad esempio nel repertorio cameristico, una miniera di profonda ricerca musicale.

– Può fare qualche esempio?

Gli esempi più famosi sono costituiti dalla Quinta e dalla Settima Sinfonia che, entrambe programmaticamente, richiamano l’epopea sovietica: nella Quinta, composta nel 1937 con l’intenzione esplicita di recuperare l’approvazione del regime, un finale esaltante e trionfalistico sembra manifestare una visione ottimistica della vita. Ma basta ascoltare, per capire che non è proprio così (qui).

La Settima Sinfonia, detta Leningrado fu composta nel 1941 durante l’assedio, quando l’invasione tedesca raggiunse la città natale del compositore provocando la morte di un milione di civili. Come noto, l’accerchiamento suscitò una gloriosa resistenza che alla fine (nel 1944) ebbe la meglio. Vi viene perciò celebrata la fiducia nella vittoria del bene sul male, ma, per fare questo – pur utilizzando un linguaggio musicale sempre molto incisivo ed efficace – Shostakovich ha dovuto concedere qualcosa alla retorica.

La cosa sorprendente – per la quale ammiro la grandezza di questo musicista – è che, anche in questi casi di riavvicinamento alle richieste del regime, non si intacca mai la sua creatività, fatta di straordinaria ricchezza di mezzi espressivi; il risultato artistico è notevole.

Come detto, egli ha affidato, in particolare alla musica da camera – opere per pianoforte, sonate per duo, quartetti d’archi –, ma anche alle successive Sinfonie, dopo la Settima, la ricerca della poetica più intima.

– Quale è stata la sorte della Lady Macbeth di Shostakovich sino ad oggi?

L’opera ha continuato ad avere successo in ogni parte del mondo ed è considerata una delle più importanti del Novecento musicale. La prima rappresentazione in Italia avvenne a Venezia nel 1947, diretta da Nino Sanzogno, non senza suscitare scandalo anche in quell’occasione per la crudezza del suo realismo.

In Unione Sovietica il compositore tentò un adattamento che ne smorzasse le maggiori asperità, nella Katerina Ismailova rappresentata a Mosca nel 1963. Successivamente, soprattutto grazie al grande musicista Mstislav Rostropovic e a sua moglie, oltre alla celebre cantante Galina Višnevskaja, fu ripresa la versione originale, che tuttora è rappresentata con successo.

***

– Bene fa il Teatro alla Scala a riproporre l’opera di questi tempi?

Il progetto del Teatro alla Scala mi sembra molto importante, perché si tratta di un titolo complesso, che restituisce la massima dignità alla proposta culturale del maggiore teatro lirico italiano, uno dei maggiori al mondo.

Idealmente questa scelta si collega a quella del Boris Godunov, il capolavoro di Musorgskij – compositore amatissimo da Shostakovich e rappresentante, come lui e prima di lui, dell’anima russa più profonda e autentica – che aprì la stagione del 2022.

– Un’opera russa, in lingua russa: ci saranno interpreti russi. Lei come vede questo fatto?

La scelta di quest’opera in lingua russa, con un cast quasi totalmente russo, mi sembra ottima e coraggiosa, in aperto contrasto con quella tendenza “russofoba” che in questi anni di guerra ha preso un certo piede anche in Italia, come in altri paesi occidentali: quindi, una scelta in controtendenza rispetto a quella forma di chiusura culturale che, penso, debba essere combattuta tenacemente da chi crede nel valore universale dell’arte.

– Suggerisce ai lettori di seguire questa esecuzione? Perché?

Innanzitutto, perché l’appuntamento del 7 dicembre rappresenta ogni anno il maggior evento musicale in Italia, ed è sempre uno stimolo importante alla riflessione e al godimento di grandi espressioni artistiche.

Inoltre, tale scelta ingenera l’occasione d’ascolto di un’opera che, nonostante la sua importanza, ci è meno familiare rispetto ai titoli più consueti.

La narrazione dell’opera e l’efficacia straordinaria della musica, ci invitano a riflettere su temi sempre attuali: la violenza nei rapporti interpersonali, la discriminazione della donna, l’angoscia esistenziale dei nostri tempi, il ruolo del potere…

–C’è una esecuzione che possiamo trovare in rete per prepararci?

Su Youtube troviamo alcune esecuzioni integrali, oltre a vari spezzoni; ad esempio, un’interessante edizione russa della compagnia Helikon Opera di Mosca.

C’è, inoltre, la possibilità, per chi conosce la scrittura musicale, di seguire tutta l’opera dallo spartito per canto e pianoforte: questa esecuzione è diretta da Myung-Wuhn Chung con l’Opera di Parigi.

Uno straordinario documento del 1936 ci permette di vedere il giovane compositore al pianoforte nell’esecuzione dell’interludio nel III atto.

Ovviamente consiglio la lettura del libretto, in traduzione italiana (di Laura Micheletti).

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Un commento

  1. Lucio Dassiè 4 dicembre 2025

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