
C’è l’America del business e quella dei film, l’America della finanza e quella della tecnologia, e poi c’è l’America americana – i cui tratti più oscuri e nascosti sono stati resi in maniera impietosa da molti racconti di Cormac McCarthy. L’America quasi mai vista da chi vi ci si reca per affari o turismo; un’America praticamente sconosciuta a chi vive a New York o San Francisco.
L’America che si ritrova nel sogno di redenzione impersonato dal prossimo vice-presidente J.D. Vance – come un’ultima spiaggia a cui probabilmente non approderà mai. Ma l’America non si nutre di possibilità reali, quanto piuttosto di sogni impossibili – sui quali si costruisce tutta una vita.
È l’America del Midwest, questa immensa fetta della Nazione che sta tra le due coste oceaniche. Con le sue minuscole isole liberal sperse in un mare quasi geneticamente repubblicano: conservatore per necessità, militarista per sopravvivenza, sospettoso del sistema politico per eredità.
Uno smisurato ghetto dove regna sovrana la povertà – economica e/o culturale. Il Midwest è l’America che ha poco o nessun interesse nell’ordine mondiale, in una supremazia planetaria della Nazione – anche se si tiene in vita, forse senza saperlo, dei suoi sottoprodotti.
È la pancia dell’America, estranea a sottigliezze di maniera o giri di parole: dice e vive quello che molti nella confraternita repubblicana osano solo pensare per poi reprimerlo rapidamente. Senza questo Midwest Trump non sarebbe stato possibile, neppure nelle immaginazioni più allucinate. Milioni di cittadini e cittadine costantemente dimenticati dalle fini analisi politiche e sociologiche che possiamo leggere su riviste di prestigio. Il Midwest è il paradosso di un’America che non riesce a comprendere se stessa – anche quando vota dalla stessa parte.
Rappresenta un grande rimosso di cui si evoca il fantasma a scadenze regolari – quando si vota per il presidente della Nazione; per poi andare avanti come se non fosse mai stato. È a questa fetta di America che Trump sta parlando adesso, con le sue nomine improbabili o quantomeno perigliose. Ma per questo enorme rimosso ci sono, e ci saranno, solo parole – perché l’agenda di Trump, e del nuovo consigliere di corte Musk, è tutta scritta sui bordi esterni al Midwest americano.
E questo gli basta: il senso di aver vinto in un qualche modo sulla tracotanza liberal, che ha pensato di poter colonizzare la Nazione a colpi di politicamente corretto e di sentenze giuridiche. E che, ora, paga il prezzo del contrappasso. Quella di Trump, invece, è almeno una tracotanza sentita più familiare, più prossima, capace almeno di appagare il risentimento dell’essere stati ignorati e umiliati per decenni.
Fatto di spazi immensi che tolgono il fiato – per la meraviglia a chi ci passa di sfuggita, per il senso di vuoto che lascia in chi lì ci deve vivere –, il Midwest americano è un coacervo di contraddizioni che gli consentono di sentirsi non solo rappresentato, ma quasi incarnato nel gergo di un miliardario dell’East Coast.
È quella parte di America che resiste a ogni descrizione – e della quale è difficile farsene una rappresentazione. Però esiste davvero, fatta di uomini e donne, cittadine anonime e sconosciute, dove già il semplice accento definisce una barriera identitaria da difendere e celebrare – facendosi beffa di chi poco e male comprende quello che viene detto.
Terre e persone che custodiscono come un fascino ancestrale, che resistono a ogni pretesa di trasparenza e decodificazione – aggrappate quotidianamente all’inesorabilità degli algoritmi che concedono una qualche agognata comodità del vivere. Come se la contraddizione fosse una loro seconda natura.






Ottimo articolo!