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Il 9 e 10 dicembre 2024 si è svolto nell’Aula Magna dell’Università Lateranense il primo congresso teologico convocato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione. All’incontro hanno partecipato 450 persone in rappresentanza di Facoltà e Istituti di Teologia presenti in tutti i continenti. Il tema del Congresso era “Il futuro della teologia: eredità e immaginazione”. Il congresso ha affrontato tre temi: il dove della teologia; il come della teologia; e il perché della teologia.
Il congresso è iniziato nella Sala Clementina della Città del Vaticano con l’udienza concessa da papa Francesco ai partecipanti. Nel suo discorso, il papa ha sottolineato che la teologia è discreta, come una luce che illumina e fa apparire gli oggetti, anche se la luce non si vede. Il teologo deve aiutare a ripensare il modo di pensare. La teologia deve essere all’altezza delle sfide presenti nella complessa realtà di oggi.
Tuttavia, c’è sempre il rischio di semplificare il nostro approccio alla realtà, che può portare alla frammentazione, alla polarizzazione e all’ideologia. Per evitare il pericolo delle semplificazioni, papa Francesco ha invitato i partecipanti a lavorare in modo interdisciplinare e transdisciplinare, come proposto nel documento Veritatis gaudium (4c). In questo senso il papa ha esortato a non ridurre il lavoro teologico allo spazio di pochi studiosi, ma a renderlo accessibile a tutti.
Il dove della teologia
Già nell’aula magna dell’Università Lateranense, il cardinale Tolentino e il vescovo Cesareo Pagazzi hanno invitato tutti i teologi ad aprirsi all’ascolto. Questo primo momento è stato caratterizzato dall’ascolto del luogo delle logiche teologiche.
Gerlado Mori, rappresentante della Facoltà di Teologia e Filosofia di Belo Horizonte, ha sottolineato la necessità di un ascolto ospitale che accolga con gentilezza e interesse tutto ciò che viene fatto nei diversi angoli del nostro pianeta. L’ascolto di teologi diversi ci farà capire che la teologia non è uniforme.
La pluralità non è l’origine di un frammentarismo disgregante. Anzi, il professor Vittorio Viola ha insistito sul fatto che questa diversità si armonizza nella liturgia, in particolare nell’eucaristia, spazio di incontro e di superamento di ogni logica assoluta. La messa in scena della tensione tra un’unità (la celebrazione liturgica) in una pluralità di visioni e logiche teologiche dei primi due interventi è stato il preludio che ha invitato i presenti ad ascoltare vari teologi provenienti da diversi angoli del mondo: Stati Uniti, Nigeria, Australia, Filippine, Argentina, Francia (tutti teologi che rappresentano la Chiesa latina) e un rappresentante delle Chiese orientali.
Il luogo è stato articolato come la presentazione di una pluralità di sforzi teologici in contesti diversi. Paradossalmente, questo sforzo del congresso di mostrare la pluriformità ha finito, in un certo senso, per essere preda dell’uniformità. Infatti, le logiche teologiche dei teologi di questi luoghi hanno lasciato fuori altre modalità di pensiero teologico presenti nei vari continenti. Ogni rappresentante si è mostrato come il portatore paradigmatico di uno sforzo teologico locale, che è la negazione di una maggiore diversità.
La teologia dell’Argentina, ad esempio, si è sviluppata in modo diverso da quella del nord, del sud e del centro America. La teologia della Francia presentata dal professore di Strasburgo Michel Deneken non è l’espressione del pensiero europeo, ma di una parte piuttosto localizzata del pensiero teologico europeo.
Forse le maggiori debolezze di questo primo momento (il dove della teologia, appunto) sono state l’assenza di uno statuto epistemologico in grado di giustificare il topos come spazio di singolarità teologica, da un lato, e il poco spazio dato ai tempi del dialogo teologico nel metodo dell’ascolto dello Spirito, dall’altro.
Il poco tempo dedicato all’ascolto e la mancanza di preparazione preliminare hanno fatto sì che gli interventi dei teologi rimanessero nell’ambito dell’opinione, lasciando nascosto quello dell’argomentazione. Apprezzo che sia stato utilizzato il metodo dell’ascolto nello Spirito, anche se credo che fosse necessario un consenso su ciò che doveva essere detto. Non sorprende che le conclusioni dei diversi gruppi presentate all’assemblea siano state caratterizzate da una molteplicità di opinioni scollegate tra loro e prive di argomentazioni.
Si è notato che i facilitatori del dialogo non avevano la preparazione necessaria per garantire che le discussioni avessero un terreno comune e che le differenze argomentative potessero essere portate in superficie. Sarebbe stato interessante se, come teologi, avessimo riflettuto in precedenza sull’argomento da trattare nel nostro contesto.
È emerso chiaramente che il contesto è importante quando si pensa e si scrive di teologia, ma questo non è stato giustificato epistemologicamente ed è rimasto solo nel campo dell’osservazione.
Il come della teologia
Sul come fare teologia, gli organizzatori della conferenza hanno invitato tutti i presenti ad ascoltare alcune logiche non teologiche e ad aprirsi alla possibilità di nuovi stili di fare teologia. Quattro di queste logiche hanno rappresentato quattro modi di leggere la realtà e di comprendere la verità.
Maeve Louise, musicista e teologa, ha parlato della musica come di un linguaggio che non impone un pensiero, ma crea spazi e possibilità di incontro. La musica crea una dialettica topica, cioè un “tra” come possibilità di spazio teologico creativo, rispettoso dei diversi contesti e ospitale nei confronti della pluralità.
Un secondo approccio a una logica non teologica è stato quello presentato da Eric Emmanuel Schmitt, noto scrittore francese. Secondo lui, in letteratura, più che trovare risposte è importante individuare le domande che affliggono l’umanità di oggi; in questo senso, ritiene che si possa parlare di una fraternità del dubbio. Secondo lo scrittore, nell’attuale contesto europeo, la fede non nasce dalla, ma precede l’esperienza ecclesiale.
Dio non è un oggetto che può essere afferrato dalla ragione, anche se può essere intuito con il cuore. Dio non può essere dimostrato, ma è possibile dimostrare la fede in lui. Dio non può essere spiegato, ma è possibile testimoniarlo. Il cristianesimo è una cornice e un’impronta che permea ogni cultura. Nel mondo occidentale il cristianesimo è presente, come nostalgia, come lamento o come nemico.
Un terzo intervento è stato quello di Carlo Rovelli, fisico italiano, che ha riconosciuto di aver accettato l’invito a partecipare al congresso perché considera il papa un uomo di ascolto e di dialogo che non antepone le sue conclusioni nel confronto con altre idee.
Il fisico italiano ha parlato della scienza come di un’indagine aperta a nuove scoperte e capace di superare i paradigmi che non rendono conto della spiegazione dei fenomeni. Rovelli considera lo scienziato come una persona non estranea alla realtà, ma parte di essa. La sua spiegazione si allontana dallo schema soggetto-oggetto e pone l’accento sulla ricerca scientifica come relazionalità con il cosmo, le persone, le credenze, i miti e la stessa fede.
Un’ultima logica è stata presentata da Alice Rohrwacher, una regista italiana. Ha esordito dicendo di non essere stata iniziata al mondo della teologia. Ha confessato di essere stata colpita dal fatto che i suoi film, di cui il più discusso è “Corpo Celeste”, avessero un’eco e una ricezione nel mondo cristiano, dato che i suoi lungometraggi contengono una critica a certi comportamenti cristiani. Riconosce, però, che la sua critica non è contro la fede, ma contro i modi di intendere e insegnare quella fede.
Non capisce come nella Chiesa la fede cessi di essere uno spazio di incontro che unisce e finisca per essere uno spazio di sicurezza che divide. Le produzioni della regista non cercano di dividere, ma di unire, di riconoscere i simboli (si riferisce al senso etimologico del termine) presenti nella realtà per trasformarli in spazi di incontro.
Un “corpo celeste” (alludendo al suo film, ma anche al nostro pianeta) non è un asteroide sopra di noi, quanto piuttosto lo spazio che condividiamo; anzi, a volte dimentichiamo che siamo parte di quel corpo celeste, che abitiamo un pianeta che fa parte di una galassia composta da più corpi celesti. Questo spazio, che tutti noi abitiamo, deve essere curato, perché appartiene a tutti noi.
Colpisce il fatto che tutti i relatori, senza essersi precedentemente accordati, abbiano insistito sulla necessità di uno spazio comune, di un “tra” come spazio condiviso e non conquistato. In sostanza, erano tutti d’accordo sul fatto che il futuro della teologia non è nell’isolamento.
Un teologo e due teologhe hanno reagito alle logiche non teologiche. La biblista Mary Jerome Oniorah dell’Università della Nigeria, il teologo fondamentale Christoph Theolbald del Centre Sèvre di Parigi e il teologo morale James Keenan.
Tutti e tre hanno accolto con favore la condivisione dei quattro ospiti e hanno sottolineato l’importanza per la teologia di ascoltare queste logiche non teologiche. La professoressa Mary Jerome ha parlato della difficoltà di fare teologia in un contesto multilingue e multiculturale e ha quindi chiesto di ascoltare la cultura, cioè di ascoltare un mondo che va oltre gli interessi intra-teologici.
Il professor Theobald ha sottolineato la necessità di ascoltare stereofonicamente ciò che è nuovo, ma che allo stesso tempo è ciò che Dio vuole dirci. La complessità deve essere accolta se non vogliamo tradire la verità.
Infine, il professor James Keenan ha parlato della vulnerabilità della teologia. La teologia è vulnerabile e deve imparare ad ascoltare le vulnerabilità di questo mondo: la vulnerabilità delle persone, la propria vulnerabilità, il lamento e il pianto dei popoli. Non possiamo fare teologia senza vulnerabilità, dobbiamo essere al livello del dolore delle persone. Dobbiamo evitare di prolungare il lutto e la sofferenza di persone che hanno bisogno di consolazione.
Le logiche non teologiche sono state forse uno degli aspetti più nuovi del congresso. Purtroppo, è stata limitata al campo delle arti e delle scienze e ha preso in considerazione solo gli interlocutori occidentali. A mio avviso, sarebbe stato interessante ascoltare logiche mitiche, religiose e letterarie da parte di popoli non occidentali.
Il perché della teologia
Il terzo momento si è concentrato sul perché della teologia. Innanzitutto, sono state tenute brevi presentazioni da parte di rappresentanti di varie università in diversi continenti. I relatori hanno convenuto che la giustificazione della teologia non sta nelle risposte che si possono dare al perché, ma nelle ragioni che spingono la teologia a continuare a pensare.
In questo senso, un teologo africano ha sottolineato la necessità di fare teologia tenendo conto della genesi del popolo africano. La teologia deve parlare della sofferenza e del sangue versato dai popoli. Non è più possibile insegnare la dottrina senza tenere conto del modo di ricezione.
La teologa filippina Stephanie Ann Y. Puen e il prof. Gerald Kellly, australiano, hanno concordato sul fatto che la domanda chiave per il lavoro teologico è chiedersi che cosa Dio ci sta chiedendo oggi nei nostri luoghi? Entrambi si rendono conto che nel porre questa domanda non possono non rivolgere lo sguardo alle popolazioni indigene, con le quali è necessario instaurare un dialogo culturale e religioso. Il teologo australiano ritiene inoltre che la teologia debba riflettere e discernere la presenza di Dio nel difficile contesto degli abusi commessi per decenni dai ministri ministeri della Chiesa. È necessaria una riflessione che porti al perdono e alla riconciliazione nella società.
Il professor Piero Coda ha individuato tre aspetti necessari nell’attuale lavoro teologico in Europa: la comprensione delle conseguenze della divisione dei cristiani, nonché la costituzione e l’evoluzione della società europea a seguito di tale divisione; il saccheggio dei paesi colonizzati dall’Europa e le attuali politiche europee in materia di immigrazione; infine, la frammentazione dei saperi all’interno della società europea e la necessità del dialogo interreligioso.
Il professor Waldicir Gonzaga ha poi sottolineato come il contesto di ingiustizia e la centralità dei poveri continuino a essere una forza trainante nel lavoro teologico latinoamericano. La teologia non è un pensiero che rimane solo teorico, ma ha un orizzonte pastorale dove è possibile una verifica soteriologica.
Il teologo ha riconosciuto il fatto che avere un papa latinoamericano, con una teologia legata al continente, ha promosso la riflessione teologica. Anche il professor Mark Jenson, canadese, ha parlato della necessità di un dialogo con le popolazioni aborigene. L’America del Nord ha indubbiamente una responsabilità storica in cui il Vangelo non può rimanere ai margini, quindi un compito urgente all’interno della riflessione teologica è una riflessione sull’immigrazione che non si esaurisca solo in gesti di carità, ma che porti a una giustizia il cui cardine è la fraternità.
Il professore di teologia orientale Željko Paša ha parlato dell’importanza dell’Oriente per l’Occidente come valido interlocutore per tutto l’aspetto della riflessione sul mistero.
Il perché della teologia è stato l’aspetto più incoerente dell’intero incontro, in quanto privo di novità e di nuovi spazi. Gli interventi ci hanno invitato a percorrere strade già battute. Sembra che, come teologi, dobbiamo accontentarci di continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto. Questo spiega perché il momento dell’ascolto nello Spirito è stato segnato dall’incertezza.
Chiedersi il come e il perché della teologia ha portato a risposte ovvie come “è necessario parlare di Dio e questo è il compito della teologia” – oltre che a ripetere alcune delle idee che hanno attirato maggiormente l’attenzione nei brevi interventi dei vari teologi.
Non c’è dubbio che l’incontro sia stato importante; è un primo momento di altri che speriamo seguiranno. Guardando al futuro, credo che sia necessario ascoltare non solo i teologi presenti in sala, ma anche dare spazio all’ascolto delle diverse narrazioni, alla comprensione delle diverse epistemologie, per fare una teologia che sappia di essere un modo tra gli altri di discernere e dire Dio.
A mio avviso, una teologia cattolica sarà tale nella misura in cui saprà riconoscere la pluralità delle visioni, la pluriculturalità e la plurireligiosità. Fortunatamente questo cammino è già iniziato, anche se dobbiamo riconoscere che abbiamo ancora molto da abbandonare e molto da accettare..
Futuro de la Teología: Heredad e Imaginación: Un primer paso hacia una sinodalidad en la teología
El 9 y 10 de diciembre tuvo lugar en el aula magna de la Universidad de Laterano el primer Congreso de teología convocado por el dicasterio de Cultura y Educación. Al encuentro asistieron 450 representantes venidos de todos los continentes, los cuales representaban Facultades e Institutos de Teología presentes en todos los continentes. El tema del Congreso se titulaba “Futuro de la Teología: heredad e imaginación”. Este congreso se hizo cargo de tres momentos: el dónde de la teología, el cómo de la teología y el por qué de la teología.
El congreso inició en sala Clementina de la Ciudad del Vaticano con una audiencia concedida por el papa Francisco a los miembros asistentes. En su intervención el papa destacó que la teología es discreta, como una luz que ilumina y hace aparecer a los objetos, aunque la luz no se vea. El teólogo debe ayudar a repensar cómo pensar. La teología debe estar a la altura de los desafíos presentes en la compleja realidad actual. Sin embargo se corre siempre el riesgo de simplificar nuestra aproximación a la realidad, lo cual puede dar origen a fragmentaciones, polarizaciones e ideologías. Para evitar el peligro de las simplificaciones, el papa Francisco invitó a los asistentes al trabajo inter-disciplinar y trans-disciplinar, tal como lo propone el documento de la Veritatis Gaudium 4c. En este sentido el papa instó a que el trabajo teológico no se redujera al espacio de unos pocos eruditos, sino que se hiciera accesible a todos.
El Dónde de la Teología
Ya en el aula magna de la Universidad lateranense el Cardenal Tolentino y Mons. Cesareo Pagazzi invitaron a todos los teólogos a abrirse a la Escucha. Este primer momento se caracterizó por la escucha del locus de las lógicas teológicas. En su intervención el P. Gerlado Mori, representante de la Facultad de Teología y Filosofía de Belo Horizonte, hizo hincapié en la necesidad de una escucha hospitalaria que acoja con benevolencia e interés todo aquello que se hace en los distintos rincones de nuestro planeta. La escucha de los distintos teólogos hará que caigamos en cuenta que la teología no es uniforme. La pluriformidad no es origen de un desintegrador fragmentarismo. En efecto, el profesor Vittorio Viola, insistirá que esta diversidad se hace armónica en la liturgia, concretamente en la Eucaristía, espacio de encuentro y de superación de cualquier lógica absoluta. La puesta en escena de la tensión entre una Unidad (celebrativa litúrgica) en una Pluralidad de visiones y lógicas teológicas de las dos primeras intervenciones era la antesala que invitaba a los presentes a la escucha de diversos teólogos venidos de distintos rincones del mundo: Estados Unidos, Nigeria, Australia, Fillipinas, Argentina, Francia (todos ellos teólogos representantes de la Iglesia Latina), y un representante de las Iglesias Orientales. El dónde se articulaba como la presentación de una pluralidad de quehaceres teológicos en contextos diversos. Paradójicamente, este esfuerzo del Congreso de mostrar la pluriformidad terminó, de algún modo, presa de la uniformidad. En efecto, las lógicas teológicas de los teólogos de estos lugares dejan fuera del espacio otros modos de pensamiento teológico presentes en los diversos continentes. Cada representante se mostró a sí mismo como portador paradigmático de un quehacer teológico local, lo cual es la negación de una mayor diversidad. La teología de Argentina, por ejemplo, tuvo un desarrollo diverso al de la teología del norte de Sudamérica y Centro América. La teología de Francia presentada por el Profesor de Strasbourg, Michel Deneken, no es la expresión del pensamiento europeo, sino de una parte bastante localizada del pensamiento teológico europeo.
Quizá las mayores debilidades de este primer momento (el dónde) fueron la ausencia de un estatuto epistemológico capaz de justificar el topos como espacio de singularidad teológica y el poco espacio concedido a los tiempos de diálogo teológico en el método de escucha en el Espíritu. El poco tiempo concedido a la escucha y la ausencia de una preparación previa hizo que las intervenciones de los teólogos quedarán en el ámbito de la opinión dejando en oculto el ámbito de la argumentación. Valoro el que se haya usado el método de la escucha en el Espíritu, aunque creo que hizo falta un consenso en lo que se debía hablar. No es de extrañar que las conclusiones de los distintos grupos presentadas a la asamblea se caracterizasen por una multiplicidad de visiones desconectadas unas de otras y carentes de argumentación. Se notó la falta de una mayor preparación de los facilitadores del diálogo para que las discusiones tuvieran un piso común y así pudieran aflorar las diferencias argumentativas. Hubiese sido interesante que, como teólogos, hubiésemos reflexionado previamente sobre el argumento a trabajar en nuestro contexto. Quedó claro que el contexto es importante a la hora de pensar y escribir la teología, pero este hecho no fue justificado epistemológicamente y solo quedó en el ámbito de la constatación.
El cómo de la Teología
En el cómo hacer teología, los organizadores del congreso invitaron a todos los presentes a escuchar algunas lógicas no teológicas y abrirse a la posibilidad de nuevos estilos de hacer teología. Cuatro fueron estas lógicas que representaban cuatro modos de leer la realidad y de comprender la verdad. Maeve Louise, música y teóloga, habló de la música como un lenguaje que no impone un pensamiento, sino que crea espacios y posibilidades de encuentro. La música crea una dialéctica tópica, es decir, un “entre” como posibilidad de espacio teológico creativo, respetuoso de los distintos contextos y hospitalario de la pluralidad. Una segunda aproximación a una lógica no teológica fue la de Eric Emmanuel Schmitt, reconocido escritor francés. Según él, en la literatura, más importante que hallar respuestas es identificar cuestiones que aquejan a la humanidad de hoy; en este sentido, considera que se puede hablar de fraternidad de dudas. Según el escritor, en el actual contexto europeo la fe no nace, sino que antecede la experiencia eclesial. Dios no es un objeto que puede ser aprehendido por la razón, aunque se le puede intuir con el corazón. A Dios no se le puede demostrar, pero es posible mostrar la fe en él. A Dios no se le puede explicar, pero sí testimoniar. El cristianismo es marco e impronta que permea toda cultura. En el mundo occidental lo cristiano está presente, bien sea como nostalgia, como lamentación o como enemigo.
Una tercera intervención estuvo a cargo de Carlo Rovelli, famoso físico italiano, quien reconoció que aceptó la invitación a participar en el congreso porque considera al papa como hombre de escucha y dialogo que no antepone sus conclusiones en los diálogos. El físico italiano habló de la ciencia como una investigación abierta a nuevos descubrimientos y capaz de superar paradigmas que no dan cuenta de la explicación de los fenómenos. Carlo considera al científico como alguien no ajeno a la realidad, sino parte de ella. Su explicación se aleja del esquema sujeto-objeto y destaca la investigación científica como relacionalidad con el cosmos, las personas, las creencias, los mitos y la propia fe. Una última lógica fue la presentada por Alice Rohrwacher, cineasta italiana. Comenzó diciendo que no era iniciada en el mundo de la teología. Confesó que le llama la atención que sus películas, entre ellas la más comentada fue “Corpo Celeste”, tuvieran un eco y una acogida en el mundo cristiano, siendo que sus largometrajes encierran una crítica a ciertos comportamientos cristianos. Reconoce, sin embargo, que su crítica no va contra la fe, sino contra modos de comprender y enseñar esa fe. No entiende como en la Iglesia la fe deja de ser un espacio de encuentro que une y termina siendo un espacio de seguridades que dividen. las producciones de la cineasta no pretenden dividir, sino unir, reconocer los símbolos (refiere el sentido etimológico del término) presentes en la realidad para transformarlos en espacios de encuentro. Un “Cuerpo celeste” (hacía alusión a su película, pero al mismo tiempo a nuestro planeta) no es un asteroide que está por encima de nosotros, es el espacio que compartimos; en efecto, a veces olvidamos que somos parte de ese cuerpo celeste, que habitamos en un planeta que forma parte de una galaxia compuesta de varios cuerpos celestes. Ese espacio en el que todos habitamos, debe ser cuidado, ya que pertenece a todos. Llamó la atención que todos los ponentes, sin que se hubiesen puesto previamente de acuerdo, insistieron en la necesidad de un espacio común, de un “entre” como espacio compartido no conquistado. En el fondo todos concordaban que el futuro de la teología no pasa por el aislamiento.
A las lógicas no teológicas reaccionaron una teóloga y dos teólogos. La Biblista Mary Jerome Oniorah de la Universidad de Nigeria, el teólogo fundamental Christoph Theolbald del Centre Sèvres y el teólogo moral James Keenan. Los tres agradecieron lo compartido por los cuatro invitados y destacaron la importancia que tiene para la teología escuchar estas lógicas no teológicas. La profesora Mary Jerome habló de la dificultad de hacer teología en un contexto plurilingüístico y pluricultural, por lo que hacía un llamado a la escucha de la cultura, es decir, la escucha de un mundo que va más allá de los intereses intrateológicos. El profesor Theobald destacó la necesidad de una escucha estereofónica de lo nuevo que va aconteciendo, pero al mismo tiempo de lo que Dios quiere decirnos. Es preciso hospedar la complejidad, si no queremos traicionar la verdad. Por último, el profesor James Keenan habló de la vulnerabilidad de la teología. La teología es vulnerable y debe aprender a escuchar las vulnerabilidades de este mundo: la vulnerabilidad de la gente, la propia vulnerabilidad, el lamento y el luto de los pueblos. No podemos hacer teología ajenos a la vulnerabilidad, es preciso estar a la altura del dolor de la gente. Es preciso evitar el prolongamiento de los lutos y sufrimientos de la gente necesitada de consuelo.
Las lógicas no teológicas fueron, quizá, uno de los aspectos más novedosos del Congreso. Lamentablemente se redujo al ámbito de las artes y de las ciencias y tomaron en cuenta solo a interlocutores occidentales. A mi modo de ver hubiese sido interesante escuchar lógicas míticas, religiosas y literarias de pueblos no occidentales.
El por qué de la Teología
El tercer momento se centró en el por qué de la teología. En un primer instante se compartieron breves exposiciones de representantes teólogos de diversas universidades provenientes de los diversos continentes. Quienes expusieron estuvieron de acuerdo en que la justificación de la teología no está en las respuestas que se pueden dar al por qué, sino en las razones que llevan a la teología a seguir pensando. En este sentido, el teólogo africano destacaba la necesidad de hacer teología tomando en cuenta la génesis del pueblo africano. La teología debe hablar del sufrimiento y de la sangre derramada por los pueblos. No se puede seguir enseñando doctrina sin tener presente su modo de recepción. La teóloga filipina Stephanie Ann Y. Puen y el Prof. Gerald Kellly de Australia, coincidieron que la pregunta clave para el quehacer teológico es preguntarse ¿qué nos pide Dios hoy en nuestros lugares? Ambos caen en cuenta que al hacerse esta pregunta no pueden menos que dirigir su mirada a los pueblos indígenas, con los cuales es necesario establecer un diálogo cultural y religioso. El teólogo australiano considera, además, que la teología debe pensar y discernir la presencia de Dios en el difícil contexto de los abusos cometidos durante décadas por responsables de ministerios en la Iglesia. Es necesaria una reflexión que conduzca al perdón y a la reconciliación de la sociedad.
El profesor Piero Coda individuó tres aspectos que son necesarios en el quehacer teológico actual de Europa: comprender las consecuencias de la división de los cristianos, así como la constitución y evolución de la sociedad europea a causa de ésta; el saqueo de países colonizados por Europa y las actuales políticas europeas de inmigración; por último la fragmentación de saberes en el seno de la sociedad europea y la necesidad del diálogo interreligioso. Seguidamente el profesor Waldicir Gonzaga señaló que el contexto de injusticia y la centralidad del pobre siguen siendo motor en el quehacer teológico latinoamericano. La teología no es un pensamiento que se queda meramente en lo teórico, sino que tiene un horizonte pastoral en donde es posible una verificación soteriológica. El teólogo reconoció que el hecho de tener a un Papa latinoamericano, con una teología afín al continente ha promovido la reflexión teológica. El profesor Mark Jenson de Canadá habló también de la necesidad de un diálogo con los pueblos aborígenes. Norteamérica tiene sin duda una responsabilidad histórica en la que el Evangelio no puede quedar al margen, de allí que una urgente tarea dentro de la reflexión teológica es una reflexión sobre la inmigración que no termine solo en gestos de caridad, sino que conduzca a una justicia cuyo perno sea la fraternidad. El profesor de teología oriental, Željko Paša, habló de la importancia que tiene el oriente, para el occidente, como válido interlocutor sobre todo el aspecto de la reflexión del misterio.
El por qué de la teología fue sin duda, a mi modo de ver, el aspecto más inconsistente de todo el encuentro, ya que careció de novedad o de nuevos espacios. Las intervenciones invitaban a atravesar veredas ya caminada. Pareciera que, como teólogos, debemos conformarnos a seguir haciendo lo que siempre hemos venido haciendo. Esto explica que el momento de Escucha en el Espíritu estuviera marcado por la incertidumbre. Preguntar el cómo y el por qué de la teología, llevó a respuestas tan obvias como “es necesario hablar de Dios y esa es la tarea de la teología”, como a repetir algunas de las ideas que más llamaron la atención en las pequeñas intervenciones de los diversos teólogos. No cabe duda que el encuentro ha sido importante, es un primer encuentro de otros que esperamos puedan acontecer. De cara al futuro creo que es necesario escuchar, no solo a los teólogos en la sala, sino dar espacios para escuchar las diversas narrativas, entender las diversas epistemologías, hacer una teología que sabe que es un modo entre otros de discernir y decir a Dios. A mi modo de ver una teología católica, será tal en la medida en que sepa reconocer la pluralidad de visiones, la pluriculturalidad y plurirreligiosidad. Por suerte, este camino ya ha sido iniciado, aunque debemos reconocer que nos falta mucho que abandonar y mucho que acoger.






Credo che, al di là dei limiti, sia un passo importante. Anche perché solo così possono nascere amicizie da coltivare e sintonie da sviluppare. Mi stupisce come un tale convegno non sia stato organizzato dal Dicastero per la dottrina della fede o dalla Path. Conoscendo Ragazzi non mi stupisce che lui sia stato l’ideatore di un tale convegno.