La Bibbia di Cazzullo, un racconto senza storia

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Dell’ultima pubblicazione di Aldo Cazzullo, Il dio dei nostri padri – Il grande romanzo della Bibbia, è uscita una bella recensione di Luigino Bruni di cui senz’altro raccomandiamo la lettura (Avvenire, 19 ottobre 2024).

Il libro (il libro su Dio più venduto del 2024, 360 mila copie in quattro mesi) ha dato origine anche a uno spettacolo: sold out al Teatro Carcano di Milano (capienza di mille spettatori), sta raggiungendo i maggiori centri della penisola (Genova, Napoli, Trieste, Venezia, Roma e altri).

Un successo che interroga

Una parte generosa di merito va alle indubbie capacità comunicative dell’autore e al potente battage mediatico che lo accompagna.

Ma l’interesse dei lettori e degli spettatori per la Bibbia, e bisogna dire per il cristianesimo in generale, è certificato dai numeri, che vedono grande concorso di popolo a spettacoli, reading, conferenze (a volte sono delle vere e proprie prediche) che riempiono negli ultimi tempi i teatri metropolitani. Per rimanere a Milano, è possibile sentir parlare di Gesù al Teatro Franco Parenti personaggi come Enzo Bianchi, Corrado Augias, Massimo Recalcati, mentre il teologo Vito Mancuso riempie i teatri di Bologna, Bergamo, Reggio Emilia, Torino, Firenze, Perugia.

Ora, siccome le chiese, si sa, si svuotano, occorre domandarsi perché si riempiano i teatri, con tanto di biglietto d’ingresso. Nel caso specifico di Cazzullo e Moni Ovadia, fa anche una certa impressione veder concludere lo spettacolo con l’invito a cantare tutti insieme l’Hallelujah, sia pure quello di Leonard Cohen.

Siamo arrivati ai predicatori itineranti (per altro di lunga e nobile tradizione)? Siamo alla religione «fai da te», tanto, e comprensibilmente, deprecata dalle istituzioni ecclesiastiche?

Si tratta di eventi e personaggi molto diversi tra loro, ma il fenomeno manifesta anche caratteristiche comuni: insieme al rifiuto di un’autorità costituita in materia (e se c’è, deve mettersi sulla stesso piano di altre voci), alla ricerca di punti di vista diversi, alla preferenza per spazi e ambienti non ecclesiastici, vediamo una domanda di spiritualità tanto evidente quanto incerta e varia nei suoi contenuti e nei suoi percorsi, che non sarebbe giusto eludere o derubricare a mera curiosità. Una ricerca spirituale di cui la Chiesa cattolica ha smesso da tempo di avere l’esclusiva, anche se pare non volerne prendere atto [1].

Pregi e limiti

Tornando al libro di Aldo Cazzullo, senza ripetere quanto già ottimamente osservato da Luigino Bruni, occorre in primo luogo riconoscergli il merito non piccolo di farsi leggere in tutta gradevolezza. Leggere la Bibbia non è affatto facile (proprio perché non è un romanzo, a dispetto del sottotitolo scelto da Cazzullo). La maggior parte delle persone anche volonterose si arrende abbastanza presto nell’impresa e trovarne un racconto scorrevole, anche avvincente, oltre che letteralmente fedele, è cosa rara.

Aggiungiamo che l’autore sa rendere familiari le vicende narrate «mettendoci del suo», come si dice, cioè filtrando il racconto attraverso le sue esperienze personali, i suoi ricordi, anche le sue riflessioni e domande. Questa scelta, lungi dall’essere un difetto, è parte dell’abilità narrativa perché rende confidenziale il rapporto col lettore e continua, in certo modo, l’idea di una narrazione trasmessa nella cornice di una narrazione, una forma di trasmissione narrativa che la Bibbia ben conosce.

Purtroppo, in questo metterci del suo spesso Cazzullo azzarda accostamenti discutibili, domande banalizzanti, attualizzazioni improponibili, aneddotica di contorno bizzarra pur di intrattenere il lettore [2]. Prevale, infatti, l’impressione di intrattenimento, e anche l’idea interessante di sviluppare una lettura intertestuale, che nel caso della Bibbia potrebbe essere una ricchezza, è per lo più realizzata con accostamenti o scontati o poco pertinenti.

In primo luogo, la narrazione biblica non è tutta «narrazione», come sappiamo, e anche le parti narrative non sono un’unica narrazione. Ragion per cui non si riesce a trattare questa materia come una fiction, perché presa come tale risulta un polpettone incoerente e alla fine pure indigesto. E questo anche se Cazzullo sceglie le parti più narrative e raccontabili.

A ben vedere, le varie fiction bibliche, buone o cattive, hanno sempre selezionato «una» narrazione, che fosse almeno coerente con se stessa (dai Dieci comandamenti di De Mille con Charlton Eston, al recente Noah di Aronofsky con Russel Crowe, per intenderci). Leggerne invece il racconto continuato, come se ci fosse un filo narrativo che ne guidi la decifrazione, risulta forzato e contraddittorio.

Succede dunque che, percependo il carattere fondamentale di «senso» che le pagine bibliche intendono avere, l’autore in più passaggi tradisce l’intento originario (quello di limitarsi – ma è possibile? – semplicemente al racconto) e vuole trarne degli insegnamenti. Non rinuncia, insomma, all’interpretazione.

Ma senza comprendere la storia del testo biblico si può trovarvi solo un repertorio di exempla, per lo più exempla di una morale del buon senso, che è un modo vecchissimo, oltretutto, di leggere la Bibbia. E in più punti l’autore stesso rimane sconcertato dalla contraddittorietà delle vicende riportate, a maggior ragione se le si vogliono intendere – come egli dichiara – come un’autobiografia di Dio [3].

Infatti Cazzullo, prevedibilmente, non riesce a gestire il senso della materia narrata, né come «romanzo» (di cui occorre inventarsi addirittura la trama), né come «autobiografia di Dio», che ne risulta insieme vendicativo e misericordioso, crudele e compassionevole, guerrafondaio e amante della pace, comunque arbitrario e imprevedibile nei suoi giudizi e nelle sue mosse [4].

Va già bene se ne usciamo agnostici (come dichiara di sé l’autore nella premessa).

Senza la storia

In realtà, quello che manca al racconto è la storia. È da qui che hanno veramente origine abbagli e cadute. Sarebbe ingiusto però chiedere a Cazzullo quello che raramente si trova anche nei commenti biblici di molti “esperti del settore”, o perché poco veramente esperti o perché più preoccupati di trasmettere agli interlocutori un significato, un insegnamento, una verità esistenziale che di consegnar loro una chiave di lettura che li renderebbe più autonomi e più adulti davanti al testo biblico.

Una lettura storica richiederebbe di comprendere il testo nel contesto della mentalità, usi e costumi, origine e intento primario di chi ha scritto quel testo, a partire dal fatto che la sequenza canonica dei libri biblici non corrisponde alla sequenza cronologica degli scritti (l’inizio non è certo il libro della Genesi), dall’evidenza che i diversi generi letterari vanno decodificati secondo le caratteristiche dei diversi generi (testi mitologici, eziologici, sapienziali, storici, profetici, apocalittici e via discorrendo), e arrivare a comprendere il contesto tribale e nomadico delle scelte familiari (matrimoni e poligamia, figli, eredità …), delle guerre per il territorio, della religione nazionalistica (il «nostro» Dio presuppone che ci siano gli dei «degli altri», politeisticamente), e via discorrendo [5].

È chiaro che ad alcune decodifiche arriviamo per intuito e buon senso. Nessuna di noi pensa di chiedere al marito di giacere con la nostra schiava per avere un erede, ma non è evidentemente sufficiente cavarsela con una battuta intorno all’utero in affitto. Nessuno di noi approverebbe di «passare a fil di spada» i nemici sconfitti, ma occorrerebbe anche sapere come e perché possiamo considerare superato questo aspetto, riflettere su cosa ci avvicina e cosa ci allontana da questo testo.

Questo lavoro è quello che si fa normalmente (o si dovrebbe fare) su Omero, Virgilio, Cervantes o Shakespeare, insomma su qualsiasi testo che ci è storicamente o culturalmente distante.

C’è tuttavia un secondo livello, diciamo così, di lettura in chiave storica della Bibbia, quello che ha a che vedere con la rivelazione e che riguarda la prospettiva credente. Che la rivelazione avvenga nella storia è dottrina nota e metabolizzata. La rivelazione di Dio trova in Gesù un corpo, e quindi un tempo, uno spazio, una condizione particolare di vita, in cui si manifesta agli uomini.

Ma che questo comporti di storicizzare la rivelazione biblica e quindi di leggere una progressione nella comprensione di Dio sembra ancora cosa pericolosa, un’idea sovversiva[6]. Come se l’incarnazione della Parola di Dio in Gesù facesse meno scandalo dell’incarnazione della medesima Parola nella Bibbia.

Per una buona divulgazione

Trascurare o rifiutare questa prospettiva significa, lo sappiamo, assolutizzare e sacralizzare il testo biblico, cosa che ad oggi fanno ugualmente credenti e non credenti, ora sconcertati ora ammutoliti di fronte alle stranezze e alle contraddizioni che incontrano nella lettura [7]. Esiste sempre, è vero, la scorciatoia della lettura allegorica o «demitizzante» [8], praticata per convinzione o per disperazione da credenti e non credenti, ma è più aleatoria e decisamente più pericolosa della storicizzazione.

Riservare, d’altra parte, ai soli esperti questa consapevolezza significa lasciare in condizione di minorità intellettuale i credenti che pure vengono continuamente invitati a leggere la Bibbia.

Se leggiamo che il Signore Dio indurì il cuore del Faraone (Esodo 4,21; 7,3-4), per poi ovviamente fargliela pagare cara, anziché lambiccarci a giustificare la cosa sul piano dottrinale, scornandoci col libero arbitrio, o semplicemente (e vigliaccamente) tacerne, vediamo di risolverla sul piano storico, così come si dà conto, con un po’ di antropologia omerica, del fatto che Atena prenda Achille per i capelli onde evitare una rissa o (Iliade 1,198) o gli «metta in cuore» di fare o non fare una certa cosa.

Se vogliamo invece parlare del Nuovo Testamento, che sembra più vicino a noi, possiamo citare i disastri conseguenti all’errata o mancata interpretazione della precettistica paolina di vita familiare in Efesini (5-6): si preferisce tuttora tacerne, o addirittura tagliuzzarne le parti scabrose [9] piuttosto che accettarne la contestualizzazione storica.

Che abbiamo a pretendere con tutte queste precisazioni, si dirà, da un libro che non ha – dichiaratamente – nessuna pretesa di competenza specifica e di autorevolezza?

In realtà, la pretesa c’è, pesantissima, e si manifesta con più evidenza nelle parole di introduzione allo spettacolo pronunciate da Moni Ovadia, secondo cui con questo libro Aldo Cazzullo intenderebbe «sottrarre la Bibbia ai violenti e agli intransigenti» e «restituire la Bibbia a se stessa». Come se solo una lettura naive fosse una lettura autentica.

Come se non sapessimo che proprio il rifiuto della storia è la radice di ogni fondamentalismo, da quello dell’ebreo ortodosso che va vestito col caftano e il cappello di pelliccia di un polacco dell’Ottocento coi quaranta gradi all’ombra nell’attuale Palestina a quello del Testimone di Geova che rifiuta una trasfusione in obbedienza a un precetto del Levitico.

Vogliamo bene ad Aldo Cazzullo, per l’onestà delle intenzioni e per la nobile semplicità del porgere, pari solo all’audacia dell’impresa. Vogliamo più che bene a Moni Ovadia, che canta e interpreta come nessuno interpreta e canta, e fa del libro uno spettacolo.

Ma ci domandiamo perché, con tanta fame di Bibbia, dai veri esperti non arrivi, per tutti, credenti e non, una buona e bella divulgazione.


[1] Tra gli altri, T. Halik (Il pomeriggio del cristianesimo, 2022, soprattutto al capitolo 8) ne ha offerto interessanti spunti interpretativi, riflettendo sul fenomeno dei seekers, coloro che sono alla ricerca, e suggerendo prospettive inedite.

[2] Solo a titolo di esempio, si legge a pag. 302 (a proposito della coppia Tobia-Sara): Davvero la persona amata è destinata a noi fin dall’eternità? E via di seguito col Platone del Discorso di Aristofane.

[3] Leggiamo a pag. 47: È un episodio (quello delle punizioni inflitte al Faraone) che alla nostra coscienza moderna pare abbastanza terrificante, ma è anche la prova che Dio non abbandona Abram, così come non lascia mai davvero solo l’uomo anche nei momenti più drammatici della storia. Ancora, a pag. 196: La Bibbia non è un libro edificante. Spesso esprime valori morali e universali, ma li sottende a storie terribili.

[4] A pag. 178: Le pagine sulla conquista (della terra promessa) sono quelle che ci lasciano più sgomenti. Raccontano un Dio quasi feroce, che ha scelto un popolo e considera gli altri come nemici da sterminare. A pag. 179: Altri dettagli ci avvertono che il racconto non può essere preso troppo sul serio… Poi dobbiamo certo ricordare che la Bibbia è l’autobiografia del Dio dell’Antico Testamento, cui peraltro non è estraneo il sentimento della misericordia e dell’amore, un aspetto che sarà centrale nel Nuovo Testamento, dove del resto Dio non perde il suo carattere di severità, tanto che esige il sacrificio del suo stesso figlio.

[5] Né più né meno di questo richiede la dottrina cattolica: Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che linterprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani (Dei Verbum 12,21-24, «Come deve essere interpretata la sacra Scrittura»).

[6] La dottrina tuttavia non presenta ombre in proposito: Cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio (Dei Verbum 8, La sacra tradizione).

[7] A pag. 28 si legge: Se Caino è il primo uomo, chi sono coloro che potranno ucciderlo sulla terra? … Forse non c’è niente da capire: non tutto nella Bibbia è logico e razionale, comprensibile.

[8] A pag. 178: La storia della conquista della terra promessa è un’allegoria della lotta tra il bene e il male

[9] Nella festività della Santa Famiglia di Nazareth secondo il lezionario ambrosiano si riportano solo i seguenti versetti: 5,33 e 6,4.

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23 Commenti

  1. Ettore 6 febbraio 2025
  2. Andrea 5 febbraio 2025
  3. Massimo Covino 5 febbraio 2025
  4. Non credente 5 febbraio 2025
    • anima errante 5 febbraio 2025
  5. Dario 5 febbraio 2025
  6. Sonia Zandegiacomo 5 febbraio 2025
  7. Lisanna 4 febbraio 2025
  8. Patrizio Taruffi 4 febbraio 2025
  9. Silvia 4 febbraio 2025
  10. Claudio 4 febbraio 2025
    • Silvia 4 febbraio 2025
      • Angela 5 febbraio 2025
  11. Bruna Delli Ficorelli 4 febbraio 2025
  12. Emanuela 4 febbraio 2025
    • Mario Garzonio 4 febbraio 2025
  13. don Angelo Battista 3 febbraio 2025
    • Angela 4 febbraio 2025
      • Giuliana Babini 11 febbraio 2025
  14. Angela 3 febbraio 2025
  15. 68ina felice 3 febbraio 2025
  16. Antonio Ippolito 3 febbraio 2025

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