Corea del Sud: Chiese divise dalla politica

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Migliaia di sostenitori del presidente Yoon Suk-yeol, detenuto ed indagato per aver dichiarato illegalmente la legge marziale, si radunano sotto la statua dell’ammiraglio Yi Sun-sin in piazza Gwanghwamun per chiederne il rilascio a Seul, Corea del Sud, il 25 gennaio 2025.

«Dobbiamo difendere il presidente Yoon Suk-yeol dai comunisti, è la volontà di Dio», esclama il pastore sul palco. «Amen» risponde la folla.

In Corea del Sud, religione e politica si intrecciano durante le manifestazioni a sostegno del presidente Yoon Suk-yeol, sospeso dalle sue funzioni dopo aver tentato d’imporre la legge marziale il 3 dicembre 2024. Il paese, che ha quasi il 30% di cristiani, sta vedendo molte Chiese marciare in prima linea nei vari movimenti sociali.

La Chiesa presbiteriana

Nelle manifestazioni a sostegno del presidente destituito dal Parlamento, alcuni discorsi religiosi si sono però radicalizzati. Alla guida di questo movimento c’è il pastore Jeon Kwang-hoon, 68 anni, rappresentante della Chiesa presbiteriana Sarang Jeil. Questo pastore di estrema destra – così lo descrivono i media locali – è un fervente anticomunista che non esita a ricorrere ai discorsi più violenti contro l’opposizione del presidente Yoon Suk-yeol.

Denunciando un sistema giudiziario e alcuni partiti politici corrotti dalle «forze del male», il pastore è oggetto di un’indagine della polizia per aver incitato alla rivolta davanti a un tribunale.

Il pastore Jeon è la figura più influente in una galassia di Chiese presbiteriane vicine al potere molto conservatore. «Storicamente le Chiese protestanti d’ispirazione americana in Corea sono state piuttosto conservatrici, ma alcune sono diventate estremamente radicalizzate – afferma Ba Deok-man, ricercatore di storia della Chiesa presso l’Istituto Nehemiah di studi cristiani –. Quando la Corea era governata da regimi militari, i più anticomunisti si avvicinavano al regime, sostenendosi a vicenda, cosa che continua ancora oggi in seno alla destra».

Le Chiese presbiteriane radicali, presenti in ogni manifestazione della destra coreana, hanno un’influenza importante, ma non rappresentano la linea ufficiale delle Chiese protestanti del paese.

Il Consiglio nazionale delle Chiese di Corea riunisce le congregazioni protestanti del paese, ad eccezione di quelle più radicali che non ne fanno parte. Per invitare alla calma in questi tempi difficili, l’organizzazione ha voluto ribadire il suo attaccamento ai valori democratici, prendendo le distanze dalle tendenze estreme.

«Non possiamo tollerare le azioni antidemocratiche del presidente Yoon Suk-yeol (…), faremo tutto ciò che è in nostro potere per ripristinare la democrazia» scrive il pastore Kim Jeong-saeng, segretario generale del Consiglio nazionale delle Chiese di Corea.

E la Chiesa cattolica?

Dal canto suo, la Chiesa cattolica è meno divisa sulla crisi politica. «I cattolici coreani hanno una tradizione di attivismo a favore della democrazia che risale ai tempi dei regimi militari, quando il clero era in prima linea nelle proteste a favore della democrazia – dichiara Bae Deok-man –. Il colpo di stato militare del presidente Yoon viene respinto dai cattolici che mantengono questa tradizione».

Oggi, però, ad essere messo in discussione è il ruolo della Chiesa in politica. Mentre la Chiesa cattolica coreana ha dato carta bianca ai sacerdoti per partecipare alle manifestazioni, una parte del clero vuol fare un passo indietro di fronte alla situazione e lasciare che le istituzioni facciano il loro lavoro. «È tempo di abbandonare il conflitto tra fazioni (…), la Chiesa cattolica spera che la Corte costituzionale stabilizzi la situazione il prima possibile», scrive Lee Yong-hoon, vescovo di Suwon, presidente della Conferenza episcopale coreana.

Un disimpegno del clero dalla prima linea è scelta comprensibile, secondo padre Christophe Bérard delle Missioni Estere di Parigi (MEP) a Seul: «Ora che la Corea è una democrazia, è importante dare spazio ai laici, mentre i sacerdoti si concentrino sull’impegno spirituale e fraterno di quanti sono impegnati nella vita politica e sociale, così da mantenere una Chiesa aperta a tutti» (da La Croix, 28 gennaio 2025).

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