
Quanto mai opportuna appare la riedizione, a distanza di un decennio, dell’ampia e articolata opera di Marco Vannini Oltre il cristianesimo. Da Eckhart a Le Saux (Lindau, Torino 2025): i tempi sono più che maturi per riproporre un testo come questo, in cui il filosofo fiorentino rintraccia un filo rosso che, da occidente a oriente, collega la mistica cristiana di matrice eckhartiana all’insegnamento delle Upanishad e della Bhagavadgita e al buddismo, attraversando peraltro anche la nostra tradizione filosofica.
Il profondo, affascinante e dottissimo excursus tocca autori che vanno da Eraclito a Plotino, da Schopenauer a Simone Weil, per trovare la sua sintesi in un personaggio ancora troppo poco noto, il monaco benedettino Henry Le Saux (Saint Briac, 1910-Indore, 1973) che, in India, dove aveva fondato un ashram insieme al sacerdote Jules Monchanin, volle assumere il nome di Abhishiktananda e che, nell’insegnamento dell’advaita (nella dottrina, cioè, dell’unità profonda dell’essere al di là di ogni dualità e molteplicità), incontrò un nuovo stupefacente punto di vista per penetrare, come non era mai riuscito a fare prima, i misteri cristiani.
Una cosa sola
Quel che Marco Vannini offre con questa indagine non è solo la possibilità di conoscere autori antichi e poco frequentati, ma anche, forse soprattutto, una chiave di interpretazione del cristianesimo, tanto eccentrica rispetto a quella più comune quanto illuminante, ancor più in tempi come i nostri in cui la religione tradizionale versa in una così profonda crisi.
Emerge, in Oltre il cristianesimo come in tutta l’opera vanniniana, una spiritualità che, muovendo dall’interno del cristianesimo stesso, va oltre la dogmatica, oltre la morale, verso l’esperienza interiore dell’unitas spiritus, la buona novella cristiana consistendo proprio in questo, ossia che Dio e l’uomo non sono separati da un abisso, ma – proprio nel fondo più intimo dell’anima, nello spirito – sono piuttosto un’unica cosa.
L’immagine della religione cristiana che ci viene restituita è forse spiazzante, ma, a ben vedere, ne individua un nucleo centrale ancora perfettamente eloquente oggi, mentre rende superflui quegli elementi irrazionali, mitici, addirittura superstiziosi, che l’analisi storico-scientifica rivela sempre meno accettabili e che finiscono peraltro per sminuire il cristianesimo, riducendolo ad un mero insieme di credenze.
La peculiarità di questo testo sta nel fatto che il nocciolo veritativo del cristianesimo – ovvero il buon annuncio del fatto che, nel profondo, uomo e Dio coincidono, e che questa pacificante e beatificante unione con l’Assoluto la si può raggiungere già qui e ora, attraverso il distacco dall’io, rintracciato pressoché identico nelle grandi spiritualità induista e buddista.
Nel cuore della tradizione cristiana
È questo «passaggio in India» – così il titolo della seconda parte del libro – che fa di Oltre il cristianesimo un’opera davvero importante, tanto più oggi, quando molti guardano all’Oriente alla ricerca di una spiritualità che appare più libera da dogmatismi e più convincente: Vannini, anche attraverso la narrazione della vicenda interiore del benedettino Le Saux-Abhishiktananda, mostra e dimostra come le intuizioni più profonde della tradizione indiana siano presenti e attingibili anche al cuore della tradizione cristiana.
Il titolo quindi non inganni: la proposta del filosofo fiorentino non va nel senso di un superamento del cristianesimo tout court, ma segnala piuttosto la necessità dell’abbandono di certe sue forme storiche, oggi a suo parere ormai improponibili, a due secoli dall’Illuminismo, alla luce di tutti gli studi scientifici sul testo biblico e in un’epoca globalizzata in cui il confronto con le altre grandi correnti spirituali che hanno percorso l’umanità non può più essere ignorato.
Il suo è un invito – se si voglia davvero mettere mano a una riforma sostanziale di un cristianesimo sempre più esanime –, a mettere al centro della riflessione quella dimensione spirituale che è universale, che appartiene a ogni uomo al di là di qualsivoglia confine; un invito che chiede certo una notevole radicalità, perché prospetta un’idea di religione non più centrata sul bisogno di consolazione e appoggio, di rassicurazioni e credenze, ma coraggiosamente lanciata verso l’avventura mistica, la più grande avventura che all’uomo è dato compiere, secondo le parole di Etty Hillesum.
D’altronde in molti, per primo forse il grande teologo e filosofo catalano Raimon Panikkar, già sul finire del secolo scorso ammonivano a considerare che il cristianesimo del terzo millennio avrebbe dovuto essere mistico, oppure scomparire per sempre.






La diagnosi, pur unilaterale, coglie nel segno in alcuni aspetti notevoli, come l’inevitabile necessità di abbandonare forme storico-dogmatiche del cristianesimo apparentate con il mito. Molto dubbia la soluzione prospettata. Si legga Vannini e se ne uscirà con il mal di testa: l’abbarbicamento di distacco dall’Io e unione con l’Assoluto è tutto fuorché “pacificante e beatificante unione”. C’è da temere che la cura proposta sia peggio della malattia, malgrado il lieto e forse un po’ facile ottimismo di chi scrive la recensione.