
La forza riconciliante del lavoro. Documento programmatico sulla coesione sociale: già il titolo trascina una novità di approccio alla rinnovata centralità del lavoro. La commissione per le questioni sociali della Conferenza episcopale tedesca, presieduta da mons. Heiner Wilmer vescovo di Hildesheim, ha presentato il documento il 2 di aprile.
Le novità non sono solo nel titolo. Pur essendo un testo ecclesiale porta anche una prefazione dell’ex ministra del lavoro Andrea Nahles (socialdemocratica), attuale presidente del consiglio di amministrazione dell’Agenzia federale del lavoro – e la presentazione è avvenuta nella sede dell’agenzia a Norimberga.
L’originalità dell’approccio si accompagna alla brevità (relativa) del documento (una decina di cartelle), alla continuità e rinnovamento del magistero cattolico in un quadro sociale come quello tedesco che si ispira all’economia sociale di mercato.
Il lavoro riconcilia
«Il lavoro riconcilia. L’affermazione è provocatoria perché gli attuali sviluppi del mondo della finanza e del lavoro sono associati a incertezze e preoccupazioni. Le nuove tecnologie e i nuovi processi di lavoro richiedono molto alle persone che, spesso, sono incerte del futuro: cosa succederà al loro lavoro e alle loro aziende? Cosa significheranno i cambiamenti per il loro sostentamento e la loro vita quotidiana?
Alla luce di questi cambiamenti vale la pena di esaminare a fondo il fenomeno del lavoro: qual è il suo valore, sia per l’individuo che per la società? Quali funzioni etiche e sociali svolge? Il lavoro non significa forse molto di più che il guadagnarsi da vivere?» (H. Wilmer).
«Il significato del lavoro va al di là della ricerca del profitto o della mera garanzia del sostentamento. Il lavoro non è solo un bene economico, ma diventa uno spazio sociale in cui possono crescere solidarietà, comunità e identità. Il fulcro di questa visione non è la ricerca del profitto o la garanzia di uno status, ma l’opportunità di sviluppare la propria personalità, di assumersi la responsabilità del bene comune, di essere creativamente attivi» (A. Nahles).
Il testo si rivolte ai lavoratori dipendenti, ai datori di lavoro e ai responsabili politici e amministrativi del mercato del lavoro. Sono sette tesi: il lavoro appaga e unisce; il lavoro cambia; il lavoro è parte della vita; il lavoro deve essere visibile; il lavoro presuppone dignità; il lavoro consente la partecipazione; il lavoro crea fiducia.
Rimando al testo per una lettura integrale: Die versöhnende Kraft der Arbeit. Ein Impulspapier zum gesellschaftlichen Zusammenhalt. Qui mi limito ad alcune annotazioni.
Valori e nuove sfide
«L’etica sociale cristiana affronta le questioni del lavoro come un dato esistenziale umano: il lavoro è parte dell’esistenza umana e al tempo stesso il presupposto per dare forma al nostro mondo. Al centro di tutto questo c’è la sottolineatura della dignità che persona che lavora».
Alla luce di questo dato di fondo si comprende che le persone non vivono per lavorare, ma nemmeno lavorano solo per vivere. L’attuale tendenza si sviluppa su due polarità: da un lato si tende a subordinare l’intera vita al lavoro e alle sue logiche di efficienza e produttività; dall’altro si percepisce il lavoro come l’antitesi della vita, come se il lavoro fosse una cosa e la vita un’altra. In realtà il lavoro aiuta a strutturare il tempo e a strutturare la vita, a essere co-creatori del mondo.
Un impianto valoriale messo alla prova dalla digitalizzazione, dall’evoluzione demografica, dai movimenti migratori, dall’intelligenza artificiale. Le conseguenze sono ancora difficili da prevedere.
L’automazione e i sistemi di assistenza digitale incidono profondamente sui servizi di assistenza, nei settori finanziari, del trasporto, delle traduzioni e creazione dei testi, ma non nei compiti di cura alle persone. Anche se il lavoro mobile o il lavoro da casa sono molto cresciuti, la digitalizzazione ha avuto un impatto limitato sulla struttura istituzionale dell’organizzazione del lavoro. Esso rimane fondamentale per creare coesione sociale e sviluppare la cooperazione.
Imparare e praticare la professione è un atto di integrazione sociale, una forma di dignità umana e un fattore di coesione. I tradizionali conflitti che hanno attraversato le rivoluzioni industriali (lavoro contro capitale e lavoro contro tempo libero) continuano a essere in atto, ma vanno oggi riletti a partire dai nuovi intrecci tra lavoro e tempo libero e nelle simultaneità del ruolo di lavoratore e di datore di lavoro.
Scuola di democrazia
«Il lavoro è anche una scuola di democrazia. Nella vita lavorativa di tutti i giorni le persone sperimentano il valore del compromesso e della costruzione del consenso e sono incoraggiate a non dare sempre la priorità ai propri interessi. Il successo economico e professionale richiede la cooperazione».
Vi è nel lavoro la capacità di integrare. Esso conferma e sviluppa l’esperienza dello stato sociale e dei suoi sistemi di sicurezza. Partecipare alla vita lavorativa significa far parte di un ordine pubblico basato sui principi di reciprocità, mutualità, sussidiarietà e solidarietà. In una parola sperimentare l’appartenenza a una comunità.
Quando si constata che la propria voce conta nel proprio contesto lavorativo si diventa attivi anche come cittadini. Per questo è essenziale la formazione al lavoro soprattutto per le famiglie in difficoltà e per i ceti sociali come gli immigrati che patiscono uno scarto culturale significativo fin dalla partenza. Attorno al lavoro si può strutturare una sistema territoriale.
«Le aziende e i dipendenti traggono vantaggio quando i cittadini si sentono a proprio agio e a casa nelle loro strutture pubbliche. Ad esempio quando i trasporti locali funzionano per i pendolari, quando gli specialisti sono raggiungibili e i bambini hanno accesso a buone opportunità educative». Per questo, nella tradizione tedesca, l’economia di mercato ha costruito luoghi come le forme di partecipazione diretta dei lavoratori nella gestione delle aziende e le modalità di relazione fra imprenditori e mondo politico.
Magistero creativo
La continuità con il magistero della Chiesa cattolica non emerge tanto dalle prevedibili e scarne citazioni (Laborem exercens, Centesimus annus, Fratelli tutti ecc.) quanto dall’istanza di interpretare il lavoro come parte dell’antropologia cristiana senza risultare servili rispetto alla cultura sociale prevalente.
«La dottrina sociale della Chiesa cattolica è emersa nel XIX secolo nel contesto della questione sociale. Ha contribuito in modo sostanziale all’umanizzazione del mondo del lavoro, dando un importante contributo allo sviluppo di “condizioni quadro” e di un corrispondente ordine del lavoro, cioè alla pace sociale, basato sul principio del primato del lavoro, cioè delle persone, sul capitale».
«Il cambiamento del mondo del lavoro che stiamo vivendo non è un destino, ma la prospettiva di una società più umana ed ecologicamente responsabile […]. In queso senso il lavoro può riconciliare e aprire spazi per il futuro. I luoghi di lavoro e di vita intrecciati uniscono le persone in nuove costellazioni di relazioni, le innovazioni tecniche rendono flessibili i tempi morti e possibili nuove forme di lavoro. Per Giovanni Paolo II l’essere umano come soggetto di lavoro è “orientato all’autorealizzazione”: i prossimo anni mostreranno se saremo capaci di cogliere creativamente questa opportunità».





