
Sono giorni da chiudere gli occhi e immergerci, due millenni indietro, nelle chiassose strade di Gerusalemme, mentre un frastuono assordante accompagna il passo triste di un uomo innocente caricato di una croce, che va a morire a causa dei mali degli altri. Viene assassinato in maniera crudele, castigato con una pena di morte che Pilato sapeva ingiusta e, pur potendo evitarla, se ne lavò le mani.
Per fortuna, il racconto non finisce qui. Ci parla di una pietra che rotolerà tre giorni dopo per scoperchiare una tomba vuota. È una storia che si inserisce nella fede, poiché ci parla di una vita che ritornò a esserlo dopo la morte. E lo fece per donare una vita piena a tutti.
Molto più triste, invece, è costatare che l’umanità prosegue senza ancora eliminare la maggiore piaga possibile: la pena di morte. L’ultimo rapporto di Amnesty International denuncia che, nel 2024, la pena capitale ha tolto la vita a 1.518 persone (e questo senza conoscere la situazione reale in regimi opachi come Cina, Vietnam o Corea del Nord, che non forniscono informazioni delle esecuzioni portate a termine nel loro territorio). Il dato più sconvolgente è che ci troviamo davanti al numero di assassinii di Stato più alto in un decennio.
Davanti a questo male, che parola pronuncia la comunità cristiana? Che luci ci offre la Dottrina sociale della Chiesa?
Ancora in questi giorni Vatican News si è soffermato sul tema, scrivendo: «Sono passati 500 anni dal Catechismo del Concilio di Trento, secondo il quale i giudici, nel decretare la pena di morte, sono esecutori della legge divina»; ora abbiamo la bolla di indizione del Giubileo 2025 – Spes non confundit – nella quale papa Francesco chiede l’abolizione della pena di morte, definendola una «misura contraria alla fede cristiana, che distrugge ogni speranza di perdono e di rinnovamento».
Di fatto è così. Nella storia della Chiesa vi è stata un’evoluzione secondo la quale oggi non si giustifica più, in nessuna maniera, la scelta di togliere la vita a una persona, qualunque crimine ella abbia commesso e per quanto orribile possa sembrare.
Per quanto ci possa sorprendere, è stato solo con Giovanni Paolo II che si è cominciato a introdurre cambiamenti significativi nel Catechismo per condannare la pena di morte. Il passo lo fece nel Natale del 1998, quando lanciò l’appello di «proibire la pena di morte», perché siamo di fronte a una pratica crudele e inutile».
Il cambiamento definitivo è arrivato con papa Francesco, che nel 2018 ha modificato il numero 2276 del Catechismo e ha sentenziato senza mezzi termini che la pena di morte «è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona». Per questo, la Chiesa «si impegna con determinazione alla sua abolizione in tutto il mondo».
Così sia e trionfi finalmente il più grande «no» di tutti, quello che dice «sì» alla vita.
El mayor “no” de todos
Son días de cerrar los ojos y sumergirnos, dos milenios atrás, en las bulliciosas calles de Jerusalén, mientras un griterío ensordecedor acompaña el triste paso de un hombre inocente que carga con una cruz para morir por los males de todos los demás. Es asesinado de un modo cruel, castigado con una pena de muerte que supo injusta hasta el que podía haberla evitado y se lavó las manos.
Afortunadamente, el relato no cesa ahí, sino que nos habla de una gran roca que se moverá a los tres días para destapar una sepultura vacía. Es una historia que ya se enmarca en la fe, pues nos habla de una vida que volvió a serlo tras morir. Y que lo hizo para darnos vida plena a todos.
Mucho más triste es constatar que la humanidad sigue sin escapar de la mayor lacra posible: la pena de muerte. El último informe de Amnistía Internacional denuncia que, en 2024, la pena capital acabó con la vida de 1.518 personas (y eso sin conocer la situación real en regímenes opacos como China, Vietnam o Corea del Norte, que no informan de las ejecuciones llevadas a cabo en su territorio). Con todo, el dato más estremecedor es que estamos ante la cifra de asesinados por el Estado más alta en una década.
Pero, ante este mal, ¿qué palabra tiene la comunidad cristiana? ¿Qué luces nos aporta la Doctrina Social de la Iglesia? También estos días, ‘Vatican News’ ha puesto la mirada en este fenómeno y ha detallado cómo “han pasado unos 500 años desde el Catecismo del Concilio de Trento, según el cual los jueces, al dictar la pena de muerte, ‘son ejecutores de la ley divina’, hasta la ‘Spes non confundit’, en la que el papa Francisco pide la abolición de la pena de muerte, ‘medida contraria a la fe cristiana y que destruye toda esperanza de perdón y de renovación’”.
Y es que, efectivamente, es así. En la propia historia eclesial ha habido una evolución y ya no se justifica de ningún modo que se le arrebate la vida a una persona, sea cual sea el crimen que haya podido cometer y por horrible que nos pueda parecer. Pero, aunque nos sorprenda, no fue hasta con Juan Pablo II cuando se empezaron a introducir cambios significativos en el Catecismo a la hora de condenarla. El paso lo dio en la Navidad de 1998, cuando llamó a “prohibir la pena de muerte”, pues estamos ante una práctica “cruel e inútil”.
El cambio definitivo llegó con Francisco, que, en 2018, modificó el número 2276 del Catecismo y sentenció sin ambages que la pena de muerte “es inadmisible porque atenta contra la inviolabilidad y la dignidad de la persona”. Por ello, la Iglesia “se compromete con determinación a su abolición en todo el mundo”. Así sea y triunfe al fin el mayor “no” de todos, el que clama “sí” a la vida.





