
Colui che santifica è lo Spirito Santo e, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, nella Chiesa la chiamata alla santità è universale. Fin dai primi secoli i martiri furono venerati pubblicamente e lungo gli anni tale culto si allargò anche a coloro che pur non uccisi per la fede confessarono con la vita Gesù Cristo. Nel Medioevo a motivo di abusi il papa si riservò il riconoscimento canonico della santità dando inizio alle canonizzazioni.
Così papa Alessandro III scrisse nel 1170: «Senza licenza del papa non è lecito che alcuno sia venerato come santo. Abbiamo sentito che alcuni tra voi, ingannati dalla frode diabolica, venerano come fosse un santo – come gli infedeli – un uomo ucciso in stato di ubriachezza. Poiché la Chiesa consente appena che si possa pregare per le persone uccise in tale stato – dice infatti l’Apostolo: gli ubriachi non possederanno il regno di Dio – quindi non presumete ancora di venerarlo; anche se avvenissero miracoli per sua intercessione, non sarà lecito a voi venerarlo come santo senza l’autorizzazione della Chiesa Romana»[1].
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Nel Seicento avvenne la distinzione tra beatificazione e canonizzazione[2] e «l’elemento diversificante fra i due riti è la formula, che ne rende il significato specifico teologico e giuridico, rimarcando la differenza sostanziale tra l’atto di beatificazione e quello di canonizzazione: essendo la prima, una concessione indultiva di culto, sia pure ufficialmente autorizzato nella Chiesa, ma limitato e circoscritto nei luoghi e nelle forme manifestative; la seconda, invece, un atto o sentenza definitiva del Sommo Pontefice, che iscrive un Servo di Dio (solitamente già annoverato tra i Beati), nel catalogo dei Santi, indicandolo alla venerazione della Chiesa universale»[3].
Da ciò ne consegue che canonizzazioni e beatificazioni sono espressioni di scelte ecclesiali, per non dire di politica ecclesiastica: i fedeli di cui si riconosce canonicamente la santità non sono tutti e neppure i più grandi. Di alcuni, poi, pur essendoci tutte le caratteristiche richieste, ossia virtù eroiche e miracoli, non si procede alla proclamazione ufficiale per motivi d’opportunità, come nel caso del servo di Dio padre Leone Dehon, il martire francescano Ginepro Cocchi e il beato cardinal Alojzije Stepinac. E anche quando avviene una beatificazione e canonizzazione la scelta del luogo, data, modalità e quant’altro è frutto di precise scelte.
Così assieme a Giovanni Paolo II fu canonizzato anche Giovanni XXIII mentre madre Teresa di Calcutta fu dichiarata santa nel 2016 in occasione del giubileo dei volontari. Naturalmente in tutto ciò il supporto a una determinata causa di beatificazione e canonizzazione da parte di ordini religiosi, movimenti, diocesi e quant’altro non è secondario e questo nell’ottica – propria del cristianesimo – dell’incarnazione per cui la salvezza è nella storia e non dalla storia come ebbe a ricordare l’8 dicembre 2004, solennità dell’Immacolata, Giovanni Paolo II in una delle sue ultime omelie.
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Di canonizzazioni in un certo qual modo parla anche Italo Calvino nel romanzo La giornata dello scrutatore, pubblicato nel 1963, in cui narra una vicenda ambientata in un seggio elettorale allestito all’interno dell’ospizio torinese Cottolengo. Infatti, descrivendo la veranda in cui vi sono i degenti più gravi, racconta che una scrutatrice cattolica indicando una vecchia suora afferma: «Lei è una santa», aggiungendo che Amerigo, il protagonista del romanzo, «avrebbe voluto dirle delle parole di ammirazione e simpatia, ma quel che gli veniva da dire era un discorso sulla società come avrebbe dovuto essere secondo lui, una società in cui una donna come lei non sarebbe considerata più una santa perché le persone come lei si sarebbero moltiplicate, anziché star relegate in margine, allontanate nel loro alone di santità, e vivere come lei, per uno scopo universale, sarebbe stato più naturale che vivere per qualsiasi scopo particolare, e sarebbe stato possibile a ognuno esprimere se stesso, la propria carica sepolta, segreta, individuale, nelle proprie funzioni sociali, nel proprio rapporto con il bene comune».
E questa umanità diffusa, che «arriva dove arriva l’amore», Calvino la intravvede nel padre venuto la domenica a visitare il figlio «giovanotto, deficiente, di statura normale ma in qualche modo – pareva – rattrappito nei movimenti». Papa Francesco lo definirebbe uno dei santi della porta accanto che sono come i fiori di montagna che nel caso venissero colti per porli sull’altare perderebbero la loro bellezza[4].
Si sarebbe proprio ridotti male se si giungesse a canonizzare tali santi ossia un marito che rimane fedele alla moglie anche dopo un litigio, una moglie che prega, un adolescente perché non fece il bullo, un politico che legge il Vangelo senza pagare le tangenti, un sacerdote che si prende cura dei fedeli, un medico che ascolta i pazienti e così via. E santità è anche desiderare nonché lavorare onde far sì che tale vita si moltiplichi perché questi atteggiamenti non siano più considerati come santi, nel senso di straordinari, ma normali.
[1] Alessandro III, Audivimus. Lettera a Knut re di Svezia, 6 luglio 1170, pubblicata in Congregazione delle Cause dei Santi, Le cause dei santi, LEV, Città del Vaticano 2011, p. 161-162
[2] Cf. Congregazione delle Cause dei Santi, Le cause dei santi, LEV, Città del Vaticano 2011, p. 181-182
[3] Congregazione delle Cause dei Santi, Le cause dei santi, LEV, Città del Vaticano 2011, p. 100, n.30
[4] La felice espressione “santi della porta accanto” quando la si confonde con la santità canonizzabile causa difficoltà tanto che cause anche avanzate di beatificazione e canonizzazione sono bloccate mancando proprio le prerogative per un riconoscimento canonico; cf. M. Faggioni, Chiamata universale alla santità e santità canonizzabile oggi, scaricabile a questo indirizzo (accesso: 19 aprile 2025)





