
Disorientati da tanti cambiamenti repentini, gli specialisti si stanno dannando per trovare una logica nelle decisioni che piovono dalla Casa Bianca. Ci sono coloro che le iscrivono nella continuità della rivalità strategica tra Stati Uniti e Cina, e coloro che, al contrario, affermano che Donald Trump stia cercando un accordo con la Cina.
Ci sono coloro che affermano che i dazi sono una tattica negoziale allo scopo di ottenere accordi più favorevoli agli Stati Uniti, e coloro che, al contrario, li considerano l’obiettivo strategico di una guerra commerciale intesa a far tornare le industrie americane a casa.
Ci sono coloro che affermano che l’amministrazione voglia indebolire il dollaro per favorire le esportazioni, e coloro che, al contrario, pensano che l’indebolimento del dollaro sarebbe lo scenario più catastrofico per gli Stati Uniti. Si potrebbe andare avanti.
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Una prova di più che, quando ci si allontana dall’analisi geopolitica, si finisce col dire tutto e il contrario di tutto. E siccome gli analisti sono, in regola generale, persone logiche, hanno bisogno di ordinare quello che vedono in una qualche casella logica.
Ma si è anche letto che l’amministrazione Trump sta conducendo «the dumbest trade war in history» (ed è significativo che a dirlo sia il pro-trumpiano Wall Street Journal), che i dazi sono un esempio di analfabetismo economico e che, per capire cosa sta succedendo, uno psicologo potrebbe essere più appropriato di un economista.
Queste ultime affermazioni sembrano molto più vicine alla realtà di quanto non lo siano i generosi tentativi di chi vorrebbe trovare una logica, una qualche coerenza nel procedere erratico e sconclusionato dell’amministrazione attualmente in carica.
Una logica c’è, naturalmente, ma è di carattere geopolitico. È la logica del trend di lungo periodo del declino relativo americano,
Tutti i Paesi che hanno dominato il mondo nel passato hanno potuto permettersi cose che oggi non si possono più permettere. Le loro popolazioni, persuase che i loro privilegi fossero un diritto conquistato per sempre, si accorgono che non è più così. Si accorgono che il domani sarà peggiore dell’oggi e quindi si rivoltano, per ora solo con le schede elettorali.
Contro chi? Contro gli immigrati, certo, perché prendersela con i più deboli nei momenti di difficoltà è sempre stato un esercizio facile e psicologicamente liberatorio. Ma soprattutto se la prendono con il sistema, e con i dirigenti politici tradizionali, indicati come responsabili delle loro ansie esistenziali.
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Nei momenti di crescita e di sviluppo, è facile essere altruisti. Ma è facile ancora più essere egoisti nei momenti di crisi e di oscure prospettive future. Come in molti altri Paesi, gli elettori hanno coscientemente votato per chi rappresenta il ripiego su di sé, l’egoismo, il sovranismo. Non accade solo in America, come si sa e come si vede nell’ascesa dei sondaggi del Rassemblement national in Francia e dell’AfD in Germania. Ma, dall’America, la lezione è più dolorosa per tutti.
L’elezione di Trump è solo l’accelerazione di una tendenza che cova negli Stati Uniti da decenni. «Selfish, and proud», proclamava uno dei cartelli inalberati dai contestatari del lockdown durante il periodo del Covid. Trump ha vinto perché quell’egoismo spudorato (letteralmente: senza pudore e senza ipocrisia) corrisponde alla sua natura profonda.
Eletti, i populisti devono dimostrare ai propri elettori di essere capaci di distruggere l’esistente, di fare tabula rasa del passato, e comunque di procedere all’opposto di come si procedeva in passato. E lo fanno senza pensare alle conseguenze future, perché per loro (ma anche per i loro oppositori, che per questo perdono) il solo futuro che ha importanza è quello delle prossime elezioni.
Da un punto di vista politico è una logica illogica, e questo disorienta gli analisti. È illogica perché la politica è innanzitutto immaginare cosa succederà poi, quali saranno le mosse degli altri quando avremo spostato la nostra pedina sulla scacchiera.
Prevedere nel dettaglio le conseguenze di questa logica illogica è impossibile, ma è invece molto facile vederne il quadro generale: il mondo sarà inevitabilmente più caotico e più violento. I populisti sono meno ipocriti dei loro avversari, ma questo non li rende necessariamente onesti; se lo fossero, sui loro cappellini dovrebbero scrivere quello che, esattamente, stanno facendo: «Make the World Dark Again».
Per grazia di dio e volontà della nazione.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 29 aprile 2025






