Toto-papa: desiderio di una scelta condivisa?

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Toto-papa, toto-conclave, o fanta-conclave che dir si voglia: anche questo fenomeno – in parte – è figlio del pontificato di Francesco e dei processi di discernimento sinodale che ha avviato. E non v’è nulla di cui scandalizzarsi, se leggiamo tutto ciò come un ritrovato – per quanto timido – interesse nei confronti del futuro della Chiesa. L’introduzione del recentissimo e-book gratuito Intra omnes (cf. qui) evidenzia la decisività dell’adagio giuridico, fatto proprio dal diritto canonico, secondo cui ciò che riguarda tutti deve essere da tutti discusso e approvato. E il Papa – nel bene o nel male – riguarda proprio tutti, quindi dovrebbe stare a tutti e tutte discuterne.

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Certamente le scommesse per i pontefici sono attestate sin dal Rinascimento, ma qui pensiamo che ci sia qualcosa di nuovo. E forse non si può neppure attribuire questa novità esclusivamente ai social, o al televoto a cui ci hanno abituato i reality e il Festival di Sanremo.

C’è chi ha visto nello stile immediato di papa Francesco un populismo di stampo argentino, notandone le affinità con quello di Evita Perón, con le riflessioni di Ernesto Laclau o forse con meno imprecisione con la teología del pueblo proposta da Juan Carlos Scannone. Sulla questione populismo/popolarismo nel suo pontificato rimandiamo a un intervento di Pasquale Serra e a uno di Alessandro Volpi.

Soprattutto tra i preti, vi è chi rimprovera a Francesco di aver contrapposto la sua figura personale a quella dell’istituzione ecclesiastica in crisi, mettendone in difficoltà chi quotidianamente si trova a rappresentarla, nel timore che scelte altrettanto fuori dagli schemi potessero essere sanzionati dai rispettivi vescovi.

Se in parte può essere vero, al contempo l’esempio profetico dell’ultimo pontefice ha fatto cadere diffidenze e riacceso speranze in tante periferie. In questi giorni si sono registrate innumerevoli reazioni di questo genere. Abbiamo ascoltato musulmani che raccontano di come Francesco sia stato anche per loro una «presenza cristica», qualcuno che ha fatto capire meglio chi fosse Gesù.

Molti cattolici sfiduciati o lontani dall’assiduità della pratica si sono sentiti rappresentanti da lui, trovandovi l’unico leader globale che ha avuto il coraggio di lanciare grida dall’allarme sulle grandi crisi del nostro tempo, tra cui la vergogna di ingenti spese militari e l’ancor più inaccettabile riarmo, il genocidio in corso a Gaza e l’irreversibile crisi climatica nel contesto della tecnocrazia neoliberale.

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Ma il pontificato di Francesco è stato anche quello della processualità, del «tempo superiore allo spazio», così come della parresia nei percorsi sinodali, in cui ciascuno è messo in condizione di ascoltare e di dire liberamente la sua. Anche se svariati presbiteri, per timore di scomodarsi o per diffidenza preconcetta, si sono limitati a fare «cose sinodali» per conformistica obbedienza, presiedendo riunioni di facciata – non diversamente da come sono stati per lunghi decenni molti consigli pastorali – la sinodalità ha comunque iniziato a fare breccia. Pezzi di clericalismo hanno iniziato a sgretolarsi, mentre sempre più battezzati e battezzate hanno riscoperto il loro diritto e dovere di essere partecipi e corresponsabili, nella differenza dei carismi, della vita ecclesiale, e non più spettatori che delegano le scelte alla gerarchia.

Il recente Sinodo sulla sinodalità, che ha consentito anche a persone laiche di ambedue i sessi di intervenire e – a differenza del precedente – di votare, preme per una effettiva democrazia all’interno della Chiesa. Non bisogna averne paura: l’istituzione ecclesiale ha spesso preso a modello le istituzioni politiche e ha adottato di volta in volta strutture differenti, dall’oligarchia alla monarchia, senza dimenticare alcuni passaggi di reale condivisione più aperta: sinodale.

Nei tempi antichi della Chiesa, i vescovi erano scelti con il concorso del popolo; ciò era spesso guidato da acclamazioni popolari facilmente pilotabili, ma rimaneva un segnale forte di come la verticalità della Chiesa-istituzione si basasse davvero sulla comunità ecclesiale. Di questo processo – nella Chiesa cattolica di rito latino – è rimasto praticamente il solo caso del vescovo di Roma, benché il conclave rappresenti una profonda sublimazione simbolica: a nome del popolo, a eleggere il suo vescovo è il clero romano (dai diaconi ai vescovi), che in realtà è il Collegio cardinalizio, oggi espressione della Chiesa universale, benché i singoli cardinali restino titolari delle parrocchie romane e delle diocesi suburbicarie a livello formale e onorifico.

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Il cammino della sinodalità attualmente in corso può avere un approdo auspicabile e finanche essenziale: il ritorno al concorso del popolo nella scelta dei vescovi, incluso quello di Roma. Ci auguriamo che sia effettivo, concreto, e non solamente simbolico o, peggio, plebiscitario. Prima di affrontarne i dettagli concreti, va fissato il principio della partecipazione di tutto il popolo nella scelta dei vescovi. Solo a quel punto si potrà aprire un serio dibattito, sotto l’egida dello Spirito Santo, sulle modalità procedurali.

Si tratterebbe certo di un cambio di prospettiva, ma non sarebbe il primo e non porterebbe a prospettive estranee né alla Scrittura né alla Tradizione. Quest’ultima ci ricorda infatti che l’elezione popolare ha riguardato molti ministeri ecclesiastici, pure significativi. Dopotutto, anche in Italia, l’elezione degli arcipreti a carico dei capifamiglia dei paesi si è protratta talvolta fino a dopo il Vaticano II.

Si tratterebbe – ed è urgente, irrimandabile, irrinunciabile, decisiva – di una scelta importante nel superamento della gestione esclusivamente clericale di ogni processo decisionale nella Chiesa. Non si tratta di appiattirsi sulla dimensione orizzontale o di «inchinarsi al mondo», come talvolta viene rimproverato: un’effettiva democrazia non è in contrasto con l’azione dello Spirito Santo; tutt’altro. Con la coscienza di oggi possiamo percepire che lo Spirito stesso possa e voglia agire pure attraverso decisioni comunitarie e democratiche.

Del resto, i cardinali riuniti in conclave votano a maggioranza e tutti i sinodi si concludono con una votazione finale, per quanto si cerchi di integrare le voci delle minoranze in una scelta che sia la più ampiamente condivisa, aperti all’ascolto della voce di Dio nelle sorelle e nei fratelli. In futuro probabilmente si troverà un modo migliore per garantire una reale rappresentatività del Popolo di Dio nell’elezione del Papa e degli altri vescovi: se è caduto il tabù sul voto delle donne al Sinodo dei Vescovi, perché non potrebbe cadere anche in un prossimo conclave?

Qualcosa di simile se lo augura Luigino Bruni, che sui social ha condiviso la sua riflessione a proposito di quella bizzarra «assemblea fatta tutta da cardinali, quindi senza neppure una donna, neppure un laico, nessun sposato, nessun giovane. Lo sapevamo, eppure dopo 12 anni di papa Francesco e delle sue aperture a laici, giovani e donne, e soprattutto dopo tutto il grande processo sinodale, questi lavori senza biodiversità carismatica fanno un grande effetto e generano una certa tristezza». Come se fossimo fermi ancora al 1996.

E si domanda: «Chissà se il prossimo Papa lavorerà affinché il metodo sinodale possa cambiare anche i modi e le forme dell’elezione dei futuri papi? La storia ormai spinge con troppa forza sulle mura pontificie. Il protagonismo delle donne, dei laici e dei giovani, che è già reale nel popolo cattolico, dovrebbe tradursi anche in importanti riforme istituzionali, inclusa l’elezione del Papa».

La carenza di sinodalità e la sua importanza è un problema posto anche da chi alle Congregazioni ha partecipato e ora è in Conclave. Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri e cardinale, è stato intervistato da Il Corriere: «È strano, come se fossimo in un ritardo temporale. Le congregazioni sono organizzate come i vecchi sinodi. Si preme un pulsante, ci si prenota. A me è toccato un paio di giorni dopo. E ognuno fa il proprio intervento. Nell’ultimo Sinodo invece era diverso, le cose erano cambiate, c’erano tavoli e gruppi di discussione. Ecco, ora il popolo di Dio non è qui. Non si sente la voce degli uomini e delle donne».

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Alimentato oggi dall’ancora più pervasiva presenza dei social nelle nostre vite, nonché da svariati film a tema, questo conclave ha acceso la curiosità, i desideri e le speranze di molti. I social in sé non bastano per accendere l’attenzione: occorre perlomeno il sentore che l’evento ci possa in qualche modo riguardare. E pensiamo che questo papa Francesco abbia contribuito in qualche modo a questo surplus inaspettato di coinvolgimento.

C’è un’attesa tutta particolare. Tra i nostri contatti, un numero che non avremmo mai immaginato ha risposto a un rapido sondaggino, esprimendo un’esplicita preferenza per una continuità con il pontificato di Francesco, nel timore malcelato di svolte illiberali o principesche. Ed è curioso che, anche tra chi mette raramente piede in chiesa, riscuotano un consenso significativo soprattutto quattro nomi: Tagle, Zuppi, Pizzaballa, Parolin. Forse prendere confidenza con i profili dei cardinali – come anch’essi hanno fatto durante le Congregazioni generali – non è stato semplicemente un gioco dettato da spontanee simpatie epidermiche, ma va considerato come un germe di esercizio ecclesiale. Nel secolo scorso non mancavano gli appelli dei teologi sul profilo di pontefice auspicato.

Oggi, alla portata di tutti, specchiarsi nel volto dei cardinali può essere un’occasione di confronto con i propri sogni, con le differenti visioni ecclesiali, con lo stile del futuro papa e con la qualità del dialogo che si vorrebbe instaurare con esso. In buona parte, le tifoserie qui sono assenti: sembrano prevalere il desiderio e l’attesa di prendere parte a un discernimento che oggi non può e non deve più escludere il più vasto Popolo di Dio. Il quale, come ricordava papa Francesco sulle orme del Concilio, è infallibile in credendo.

Non facciamoci allora suggestionare da chi instilla sensi di colpa inutili nei confronti di chi non pregherebbe abbastanza per il solo fatto di giocare al fanta-conclave, sempre nella serena accoglienza di chiunque verrà. Vogliamo sperare che il futuro vescovo di Roma saprà, con altrettanta apertura, intercettare questa curiosità iniziale per portarla a maturazione in un più ampio esercizio di ecclesialità.

Lasciando perdere gli immancabili professionisti dello scrupolo, ben venga ogni invito alla preghiera per i cardinali e per l’eligendo pontefice, ricordando che pregare non è delega in bianco, bensì ascolto, desiderio, discernimento e decisioni concrete. Anche in vista del prossimo pontificato, e del conclave successivo.

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5 Commenti

  1. Pier Giuseppe Levoni 11 maggio 2025
  2. Marina Umbra 8 maggio 2025
    • Anima errante 9 maggio 2025
      • Angela 9 maggio 2025
  3. Salvo Coco 7 maggio 2025

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