Leone XIV: la nebbia degli abusi

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Quanto veleno e quanta verità ci sono nell’accusa a papa Leone XIV di scarsa vigilanza in occasione di due episodi di abusi? Il primo a Chicago nel 2000 il secondo nella sua diocesi peruviana di Chiclayo nel 2022?

Prima di entrare nei fatti, annoto una percezione, forse discutibile, un parallelo con quanto successe all’inizio del pontificato di Bergoglio. Veniva accusato di complicità nel sequestro e poi nelle torture di due confratelli gesuiti, Orlando Yorio e Francisco Jalics.

Una voce insistente, sostenuta da Horacio Verbitski e dalla sinistra anticlericale, funzionale alla polemica dell’allora presidenza argentina contro Bergoglio trovava una certa credibilità nel magma confuso e drammatico della memoria dei poteri militari fra il 1976 e il 1983.

Solo la diretta testimonianza dell’unico sopravvissuto (Jalics), le attestazioni di personalità come il premio Nobel, Adolfo Pérez Esquivel, del teologo Sobrino e del giudice Castelli (in seguito anche del poderoso studio in più volumi sul ruolo della Chiesa durante la dittatura) hanno valso a spegnere il fuoco. Anche perché il potere politico non aveva più interesse a fomentarlo.

C’entra il Sodalizio?

L’attuale caso del card. Robert Prevost, ora Leone XIV, non ha la stessa drammaticità epocale, ma può costituire un vulnus molto scomodo per il suo pontificato.

All’impressione di un gonfiamento enfatico dei fatti si aggiunge il sospetto manifestato da figure significative nel contesto della lotta agli abusi come p. Hans Zollner e due dei giornalisti più impegnati nella denuncia del censurato e canonicamente chiuso movimento Sodalitium cristianae vitae di Luis Figari (cf. qui su SettimanaNews) e delle sue tentacolari vendette, coperte da centri di potere politico ed ecclesiale.

Paola Ugaz e Pedro Salinas hanno pagato personalmente la dura denuncia del movimento (il volume Metà monaci, metà soldati) e addebitano allo stesso il sostegno alla bolla mediale costruita attorno alle accuse. Riconoscono in R. Prevost e negli altri due cardinali peruviani, Castillo e Barreto, i difensori più efficaci della loro opera di denuncia.

Senza delegittimare le vittime e i loro rappresentanti, i protagonisti meno noti del conflitto e i loro portavoce nel contesto dei media cristiani tradizionalisti giustificano una lettura più «stratificata» dei fatti.

Prima a Chicago poi in diocesi

Il primo caso di insufficiente vigilanza sarebbe avvenuto a Chicago quanto p. R. Prevost, era provinciale dei padri agostiniani. Un prete, già condannato canonicamente e, in seguito, ridotto allo stato laicale, fu ospitato in una loro comunità, non distante da una scuola. L’accusa è quella di non aver avvisato i responsabili scolastici. Imputazione abbastanza fragile in mancanza di relazioni dirette con l’opera educativa. Tenendo conto che le norme vaticane ed episcopali più chiare e restrittive sono successive.

Da generale degli agostiniani ha dovuto affrontare due casi di confratelli americani, pagando milioni di dollari di risarcimento.

Il secondo caso riguarda una denuncia di tre sorelle che, nel 2022, si rivolgono a Prevost per denunciare gli abusi subiti da parte di due preti della sua diocesi, Eleuterio Vasquez-Gonzales e Ricardo Yesquen. Il vescovo le accoglie, le indirizza al centro di ascolto diocesano appena avviato e le invita a sporgere denuncia alla procura.

Sono gli anni in cui il prelato scrive le linee-guida per l’episcopato peruviano e avvia il processo per la tutela dei minori in diocesi. Fa partire un progetto per la promozione sociale e cura dei minori, realizzando diversi seminari di sensibilizzazione fra i preti e nelle varie zone della diocesi. Sono coinvolti i catechisti, gli adolescenti e i genitori.

Una attività che è raccontata nel volume di p. Fidel Purisca Vigil Cuidado del menor, edito nel 2022. Nella prefazione, mons. Prevost ricorda «la necessità di intraprendere azioni chiare e decise nella prevenzione dei reati, nella formazione degli operatori pastorali (sacerdoti, seminaristi, catechisti, altri che collaborano alle attività della Chiesa), nonché nella difesa di coloro che sono stati vittime dei diversi tipi di abuso».

Tornando al caso in questione, il vescovo sospende dal ministero il prete indagato e avvia un’indagine preliminare poi consegnata alla Santa Sede. Una nota della diocesi specifica che la denuncia alla procura è stata archiviata per «prescrizione e mancanza di prove». E che il dicastero romano ha archiviato a sua volta perché le «accuse non erano sufficientemente provate».

La riemersione delle denunce, arricchite da altre vittime, ha portato il responsabile diocesano (dopo il passaggio di Prevost al Vaticano) a riaprire il caso convocando le vittime, di cui una non si è presentata. Il testo esprime la ferma condanna e riprovazione per qualsiasi tipo di comportamento che offenda l’integrità fisica e morale dei minori, impegnando la diocesi in misure preventive e di aiuto.

Denunce e incontri

Il caso riesplode grazie a una trasmissione televisiva (Cuarto poder) con reportage dai luoghi dove i fatti erano avvenuti. La diocesi risponde confermando gli elementi già indicati. La risposta delle tre vittime è particolarmente lunga e puntuta. Sostanzialmente negano che ci sia stata una vera indagine preliminare, che la procura ha archiviato solo in ragione della prescrizione, che è mancata ogni empatia nei confronti delle vittime e che il documento inviato a Roma prefigurava l’archiviazione. Negano di «aver ricevuto alcuna offerta di aiuto psicologico» o di altro tipo e che il sacerdote incriminato ha continuato a celebrare in altre parrocchie e chiese.

«È scandaloso e vergognoso che si continui a negare i reati di copertura da parte del vescovo mons. Robert Prevost Martinez nonostante l’evidente dovere di indagare seriamente e diligentemente sul caso». Ritengono penose le argomentazioni della diocesi e denunciano le punizioni canoniche indebite comminate al loro difensore. Quest’ultimo, Ricardo Coronado Arrascue, non è stato riconosciuto come avvocato canonista e, nella sua diocesi, è stato accusato di crimini e di abusi con una censura pubblica vidimata dalla conferenza episcopale.

Le denunce e i sospetti sono stati rilanciati poco prima del conclave dalla Snap (Survivors Network of those Abused by Priests) al fine di condizionarne le decisioni.

L’attuale vescovo della diocesi di Chiclayo, Edinson Farfan, ha detto che il procedimento era stato rigoroso e che il processo non era ancora concluso: «Sono io quello più interessato a che venga fatta giustizia e, soprattutto, ad aiutare le vittime. Ho chiesto loro scusa, abbiamo pianto assieme e c’è stato sicuramente un buon rapporto». Ha difeso la loro sincera appartenenza alla Chiesa e ha negato che si considerino nemiche del cardinale Prevost, ora papa Leone XIV.

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5 Commenti

  1. Chiara 19 maggio 2025
  2. Lorenzo M. 15 maggio 2025
  3. Gian Piero 13 maggio 2025
  4. don Angelo Battista 12 maggio 2025
  5. 68ina felice 12 maggio 2025

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