
Il Parlamento francese ha approvato in prima lettura la legge sull’«aiuto a morire» (l’aide à mourir) lo scorso 27 maggio. A favore ci sono stati 305 voti, contrari 199, 57 astenuti. Se, a favore, si sono espresse in particolare le forze del centro sinistra, tutti i partiti hanno lasciato libertà di voto secondo coscienza. La legge ha davanti ancora tappe importanti. Sarà esaminata dal senato in settembre-ottobre. Una volta approvata tornerà per un voto finale in Parlamento.
Ma il consenso ottenuto è rilevante e amplia il numero di Paesi europei che hanno legiferato in merito: Olanda (2002), Belgio (2002), Lussemburgo (2009), Spagna (2021), Austria (2022), Portogallo (2023). La Svizzera non ha una legge ma il suicidio assistito è depenalizzato dal 1942 e in Germania non vi è ancora una legge, ma il suicidio assistito non è più punibile dal 2020 dopo la sentenza della Corte costituzionale.
Cure palliative e suicidio assistito
Il Parlamento francese ha approvato, contestualmente e all’unanimità, una legge che promuove le cure palliative. Questa seconda legge andrà perfezionata e il suo cammino sarà in parallelo a quella sull’«aiuto a morire». Emmanuel Macron, che l’ha fortemente voluta, ha così commentato: «Nel rispetto delle sensibilità, dei dubbi e delle speranze il cammino di fraternità che auspicavo si apre poco a poco. Con dignità e umanità».
Ben diverse – come vedremo – le reazioni delle Chiese, delle religioni e di larga parte dell’opinione pubblica. Il percorso si è avviato nel 2022 con la convocazione di una «convenzione civile». Il progetto di legge è entrato in discussone in parlamento l’anno successivo. Il procedimento si è interrotto per la chiusura della legislatura. È ripreso nell’aprile scorso a livello di commissioni ed è messo in discussione in assemblea il mese successivo.
L’attesa largamente condivisa dalla popolazione per chiudere l’esistenza è quella di poter morire in casa, nel proprio letto, con i familiari e senza sofferenza. In realtà il 75% dei francesi muore all’ospedale o nelle residenze assistite e la metà dei pazienti che avrebbero diritto alle cure palliative non le riceve. Una ventina dei circa cento dipartimenti non è ancora attrezzata anche se c’è stato un grande sforzo per mettere in opera le cure.
Dispositivo di legge
La legge ha alcuni capisaldi: il suicidio assistito non è solo una possibilità, ma un diritto; esso consiste «nell’autorizzare e accompagnare una persona che ha espresso la domanda di ricorrere a una sostanza letale» sia auto-amministrata sia attraverso un curante; l’aiuto al suicidio è la regola (autoamministrazione del veleno) e l’eutanasia (attraversi il curante) è l’eccezione. Le condizioni per accedere al «diritto»: essere maggiorenne; francese; affetto da una malattia incurabile; con sofferenze insopportabili; in grado di manifestare la propria volontà libera e chiara.
Le patologie comprese in tale quadro sono molte, ma non c’è stata una valutazione sul numero complessivo prevedibile. Non rientrano nei casi l’età avanzata, l’handicap, l’Alzheimer, le malattie psichiatriche. Non potranno ricorrere al «diritto» i congiunti delle vittime in coma per incidenti a meno di una anticipata decisione scritta mentre la possibilità è aperta anche a malattie che potrebbero permettere una vita relativamente lunga.
La domanda va fatta in un incontro personale con il medico che illustra le possibilità, comprese le cure palliative. Il curante ha due settimana di tempo per accogliere o meno la richiesta con l’aiuto di uno specialista e di un curante (infermiere). A questo punto, l’interessato ha tempo per la conferma (da 48 ore a tre mesi). Il paziente sceglie l’infermiere e il luogo per il suicidio assistito. Il curante chiede la conferma della volontà prima di procedere. Una commissione speciale nel ministero della santità controllerà a posteriori il rispetto delle regole.
Decisiva la rete degli affetti
Alcuni punti di discussione hanno alimentato sia la «convenzione civile» sia il dibattito parlamentare. La questione semantica anzitutto. Perché usare parole per nascondere? Aiuto al morire non è forse il suicidio assistito e, nel caso, l’eutanasia? La posizione delle Chiese e delle religioni è stata molto chiara e severa in dissenso al progetto di legge, ma accanto ad esse la grande maggioranza delle associazioni interessate (medici, infermieri, psichiatri) si sono pronunciati allo stesso modo.
Si è voluto saldare, in forma impropria, la legge sulle cure palliative, che raccoglie un consenso altissimo, con quella sull’aiuto a morire. E non si è attesa l’estensione delle possibilità di queste ultime. Si è escluso il ricorso al referendum. La procedura risulta poco collegiale, al contrario di quanto succede per le cure palliative. Il ricorso alle ragioni della libertà personale e della dignità vale in ogni caso, ma ciò che sembra decisivo nella scelta eutanasica è l’assenza di relazioni affettive e di cura.
Il comitato etico nazionale consultivo aveva fatto notare che, su 100 pazienti richiedenti la morte, 91 vi rinunciano nel momento in cui sono presi in carico dalle curie palliative. Legiferare per i 9 rimanenti invocando il «diritto» mostra una scelta culturale-ideologica individualistica, rafforzata dalle censure previste per chi dovesse «disturbare» le procedure.
Per questo si parla di «rottura antropologica». La legge «rompe una diga essenziale, un principio strutturante la nostra civilizzazione, l’interdizione di uccidere che si trova anche nel giuramento di Ippocrate» (audizione parlamentare dei vescovi, 25 aprile 2024). Poche settimane prima i gerarchi avevano ripetuto la posizione cattolica: «Proclamiamo senza stancarci che la vita umana merita, senza condizioni di sorta, di essere rispettata e accompagnata con un’autentica fraternità». All’indomani del voto, mostrano apprezzamento per la legge sulle cure palliative e manifestano «viva inquietudine» per la legge di aiuto alla morte. Si appellano alla testimonianza e alla sapienza dei cappellani ospedalieri (800), dei volontari, di chi visita sistematicamente i malati e gli anziani, alle decine di migliaia di credenti attivi su questo fronte.
«Profondamente inquieti per le conseguenze sulla società francese e per le prospettive allarmanti a cui il “diritto alla morte” esporrebbe, in particolare, i cittadini più vulnerabili, i vescovi riaffermano la loro determinazione ad alzare la voce per una società giusta e fraterna che protegga i più vulnerabili». Ripetono il loro pieno assenso alla legge Claeys-Leonetti attualmente in vigore ma ancora largamente inapplicata.
Rottura antropologica
Il 15 maggio era uscito un appello a firma dei responsabili dei culti in Francia (buddisti, ortodossi, islamici, ebrei, protestanti e cattolici) in cui denunciavano: «Dietro l’apparente volontà di compassione e di regolamentazione, il testo opera un rovesciamento radicale: introduce per legge la possibilità di dare la morte – suicidio o eutanasia – turbando profondamente i fondamenti dell’etica medica e sociale».
Il testo prende le distanze da un linguaggio manipolante e da garanzie etiche e procedurali gravemente insufficienti. Riconosce nella legge una minaccia per i più vulnerabili e una ferita all’equilibrio fra autonomia personale e solidarietà. Così specifica la rottura antropologica:
«L’integrazione dell’aiuto a morire nel codice di sanità pubblica costituisce un deragliamento della medicina. Si scontra frontalmente con il giuramento di Ippocrate e con i principi fondamentali della cura che persegue il sollievo e mai l’uccisione. Molti curanti esprimono il loro scoramento: essere chiamati a provocare la morte di un paziente costituisce una trasgressione radicale della loro missione e rischia di instaurare una cultura di morte, mentre la medicina è da sempre costruita come un servizio di cura alla vita».
Aleggia in tutto il processo di decisione la devastante deriva già sperimentata nei paesi vicini, Olanda e Belgio. Lo ha ricordato Theo Boer, professore di etica in Olanda, sostenitore della legge del 2002 ed ex membro del comitato di controllo del governo. I criteri che si volevano rigorosi e determinati si sono rapidamente sfrangiati.
La prassi eutanasica si sta espandendo rapidamente: la si può fare in ragione di malattie sempre meno invalidanti, anche da minorenni, anche per ragioni psicologiche. Sempre di più in coppia e, incoativamente, per semplici ragioni di età. «In tutti i Paesi ove l’eutanasia o il suicidio assistito sono stati legalizzati, si osserva una crescita continua dei casi. L’Olanda non è un’eccezione. È una dinamica all’opera ovunque dove la morte medicalmente provocata diventa un’opzione». Non è più una domanda individuale, né una deriva occasionale, è una «normalità».






Raccogliendo il proverbiale “morto un papa se ne fa un altro” con cui è velocemente salutato l’articolo riguardante le disposizioni pratiche per la sinodale messa in sinergia dell’entourage papale con l’attività internazionale della Segreteria di Stato, e avendo già ritenuto senza essere smentita che l’attuale sub sole novi non sia precluso ai contributi più di quanto non lo fosse il pontificato del compianto Pp Francesco, riprovo a inviarne uno, di alquanto modeste proporzioni, ma certamente per me nuovo all’argomento, che vedo per la prima volta affrontato. (L’eccezione per cassarlo – altre volte occorsa e rimossa e dovuta a evidente guasto meccanico – è stata poco fa di quest’ordine). Ritento quindi: Sembra abbastanza naturale che le cure palliative, la cui importanza è stata riconosciuta da tempo, abbiano un’incidenza significativa sulla diminuzione del numero delle prenotazioni per i suicidi assistiti ed è semmai impressionante che la normalizzazione delle prime avvenga dopo il progetto riguardante quella dei secondi. In Italia è di pochi giorni fa il via alla legalizzazione di tale assistenza in Toscana, ed è lecito chiedere parimenti un chiarimento riguardante la presenza e l’applicazione dei palliativi clinici nelle medesime sedi. Si sa anche che i palliativi non possono arrivare ad agire ad esempio nelle situazioni che oltrepassano determinate soglie di dolore o di criticità, e non si capisce comunque come ci si possa accanire nel mantenere una posizione tetragona riguardo all’accompagnamento amichevole (e quindi palliativo di fronte alla stessa circostanza da affrontare) di chi opta per attuare la scelta eutanasica là dove gli sia legalmente consentito (cfr. l’annoso caso Cappato).
La pietà non uccide mai (né si accanisce su chi soffre): accompagna con dignità alla morte. Tanto più se non si può guarire, bisogna ricevere cura… Facile è la libertà di scartare chi vuol morire. Impegnativa quella di non abbandonare alla disperazione
Cara 68ina felice , ti auguro di non dovere mai vedere negli occhi di una persona che ami l’angoscia della morte .. e assistere impotenti ad agonie sedate senza via d’uscita che durano per mesi . Alla richiesta silenziosa di una fine dignitosa negli occhi di chi non può più parlare .. dopo , e solo dopo , ne parliamo .
Già fatto. È lì che il Vangelo ti cambia la vita, perché la sta salvando al tuo caro, che è sulla croce. Allora la logica del Crocifisso dona l’ultima speranza – a lui e a me – rispetto alla retorica del mondo, che sa offrire una morte già certa, solo in anticipo
Gentile Chiara, la riposta migliore ai commenti di chi non ha mai dubbi ma solo certezze.
Tutti sappiamo che la morfina a dose crescenti uccide. Per togliere il dolore crescente servono dosi crescenti di morfina che portano alla morte determinando una tacita e pietosa eutanasia. Ma di cosa stiamo a parlare?
I progressi della medicina hanno spostato oltre il limite di “sopportazione umana” il confine della vita . Con le cure possiamo tenere in vita per mesi e anni persone che non torneranno mai ad avere un recupero , un miglioramento, una speranza di vita al di fuori di una stanza di ospedale.. se una persona con malattia terminale chiede “pieta” , credo ne abbia il diritto. Bisogna aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita