Rerum novissimarum

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Rerum novarum semel excitata cupidine: erano, queste, le prime battute dell’enciclica che il 15 maggio 1891, quattordicesimo anno di pontificato, papa Leone XIII pubblicò.[1]

A sua volta, papa Leone XIV, nel primo incontro con i cardinali significativamente utilizza l’analoga espressione di nuove sfide per descrivere gli impegni per la dottrina sociale quale risulta attesa oggi dalla Chiesa e dal mondo: «Oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».[2]

Siamo come passati dalle cose nuove di fine Ottocento, alle cose nuovissime del primo quarto del secolo XXI?

Rerum novarum, ovvero l’ardente brama di novità che agitava i popoli a fine Ottocento

Le cose nuove degli anni di Leone XIII (papa dal 20 febbraio 1878 fino alla morte, avvenuta il 20.7.1903), caratterizzarono anni di fervida attesa. Sono rese, in italiano, con il termine sintetico di “novità”: «L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale» (Rerum novarum, n. 1).

Era una brama di novità che, tuttavia – avvertiva Leone XIII – andava diventando pericolosamente conflittuale, a motivo di un addizionarsi/comporsi/incastrarsi di molteplici fattori, che furono elencati da papa Pecci (che fu, insieme, il Papa del Rosario, il Papa della rinascita tomista e scolastica del pensiero cristiano, il Papa della dottrina sociale della Chiesa), non senza l’influsso della penna del filosofo neotomista partenopeo Salvatore Talamo:[3] «I portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto» (Rerum novarum, n. 1).

Progressi delle arti, nuovi metodi dell’industria, mutate relazioni tra padroni e operai, ricchezza in poche mani, estensione larga della povertà, auto-consapevolezza nelle classi lavoratrici, peggioramento dei costumi: ecco, fin dalle prime battute, gli ideali capitoli di quella che avremmo denominato la dottrina sociale contemporanea.

In parte – nelle intenzioni di Leone XIII – essi intendevano rispondere, da parte ecclesiastica, ad analoghe, e spesso antitetiche, analisi proposte dai socialisti utopisti e, in particolare, del socialismo maturo di Karl Marx e di Friedrich Engels.

I teorici del pensiero socialista ottocentesco (oltre a Saint-Simon, Fourier, Owen, Weitling, Cabet, agli anticapitalisti inglesi, o socialisti ricardiani, e ai vari “comunitaristi” sparsi per il mondo, passando, infine, per tutti i numerosissimi “minori”), andavano offrendo il loro contributo filosofico-economico a un intenso dibattito sociale, che copriva l’intero arco delle cosiddette scienze sociali: il lavoro umano nelle società precapitalistiche, in quelle arretrate, in quella medievale e in quella capitalistica; il lavoro industriale o agricolo, i problemi dell’accumulazione del capitale; le questioni più tipicamente sociali dell’assistenza e della sopravvivenza materiale degli individui, dei “produttori” e delle comunità; le questioni della pace sociale e della pace fra i popoli, dell’internazionalismo e della fratellanza universali.[4]

Da parte sua, riformulando la teoria della proprietà privata come diritto naturale, papa Leone XIII dedicava tutta la parte prima della sua Rerum novarum a quello che chiamava il falso rimedio della soluzione socialista, da lui condensata nella tesi dell’abolizione della proprietà privata, che – come scriveva il papa – manomette i diritti dei legittimi proprietari, altera le competenze degli uffici dello Stato e scompiglia tutto l’ordine sociale.

Tutti i fattori che venivano elencati, alle soglie del Novecento, da papa Leone XIII meriterebbero un nuovo approfondimento: ma, per ora, ci si consenta d’indugiare soltanto sull’aspetto di forte differenziazione sociale. Esso veniva messo molto bene in luce dalla Rerum novarum che, testualmente, lamentava «l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà» (Rerum novarum, n. 1).

Inoltre, pur affermando che «non è cosa che rechi vergogna né la povertà né il dover vivere di lavoro» (n. 20), Leone XIII auspicava di togliere «l’immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza» (n. 35). Rispetto alla condizione del tempo, rilanciava i valori cristiani della carità e della fratellanza universale, osservando come i poveretti possano essere ingannati da false illusioni: «Nella società, in cui si trovano irretiti, invece di carità e di affetto fraterno, regnano le discordie intestine, compagne indivisibili della povertà orgogliosa e incredula» (n. 44).

A quei tempi, anche p. Giacomo Cusmano parlava testualmente di poveretti, a cui una nuova Opera siciliana voleva prestare un soccorso disinteressato e peculiare: la raccolta del Boccone del povero avveniva «mediante il piccolo sacrificio di levare ad ogni porzione di cibo crudo il boccone che deve servire per il soddisfo del Povero. E, siccome tanti bocconi, per quanto sono gli associati alla suddetta Associazione, formano una quantità tale da correre in sollievo a tanti sventurati…».[5]

Se solo si pensa alla situazione del pauperismo dell’epoca, non appaiono infondati l’elenco e le considerazioni del pontefice ottocentesco, a cui accadde di dover condurre la Chiesa alle soglie del Novecento. In particolare, la sua enciclica sociale evidenziava come «i socialisti, attizzando nei poveri l’odio ai ricchi, pretendono si debba abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello stato» (n. 3).

Prima nel concordato del 1741, e poi in quello del 1818, fino alla legge unificatrice dell’Italia del 1861, gli storici del fenomeno del pauperismo registrano il progressivo tentativo statale, che nell’Italia unita diventa più evidente, di “centralizzare l’azione statale”: il che implicava un controllo centrale su tutti i pre-esistenti enti morali di aiuto e di assistenza ai poveri, soprattutto se fossero controllati dalla Chiesa e dalle opere pie laicali.

Di fronte all’esteso e preoccupante fenomeno pauperistico, rispetto a un precedente momento di affiancamento statale alle tante attività religiose e filantropiche, già promosse dalla Chiesa e dai governi locali, lo Stato unitario diverrà, a fine secolo e nei primi anni del secolo ventesimo, un controllore e garante di tutte le attività di beneficenza che si svolgessero sul territorio italiano.

Nell’isola di Sicilia, ad esempio, la già citata Opera – indotta e incoraggiata da p. Giacomo Cusmano –, risulta, quasi come contraltare cristiano all’azione sociale statale, caratterizzata da totale dedizione alla colletta per i poveri di entrambi i sessi, quale “concretizzazione” del Cristo povero e sofferente. Alla luce degli indirizzi sociali del neonato Stato unitario, l’Opera dei Servi e delle Serve dei poveri, promossa da p. Cusmano appare come il segnale di una sorta di “battaglia”, condotta da parte ecclesiastica, per difendere la propria autonomia, il cui fondamento resta teologico: guardando a Cristo, innalzato sulla croce e glorificato, la Chiesa – come insegna Giacomo Cusmano – si riscopre riunita nell’unità della fede, della speranza e, in particolare, della carità.

Tale atteggiamento ecclesiale spesso integrava, anzi superava la coeva volontà statale di centralizzare e, in qualche caso, anche di monopolizzare, il campo dell’assistenza ai meno abbienti e ai tantissimi diseredati che caratterizzavano vaste aree del nuovo Stato, e non soltanto nel Meridione e nelle Isole.[6]

Alle diverse novità dei tempi nuovi, in sintesi, la Chiesa cattolica, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio Novecento, avrebbe voluto/dovuto rispondere rilanciando il criterio della carità come alternativo alla dialettica conflittuale delle altre analisi sociali.

Rerum novarum/ rerum novissimarum

Leone XIV, nel mese di maggio 2025, dichiara di voler aprire, a sua volta, l’era della Chiesa dalle braccia aperte, nonché l’ora della carità.

Di fronte alle recentissime novità (quasi rerum novissimarum) del terzo millennio, la Chiesa del nuovo Leone del terzo millennio ri-ascolta Cristo nostra pace (Ef 2,14): «Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà!». Proprio così si esprime il nuovo Leone l’8 maggio 2025 dalla loggia della Basilica di San Pietro in Vaticano: «Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere come questa piazza con le braccia aperte. Tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, la nostra presenza, il dialogo e l’amore… una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono».[7]

È l’ora dell’amore. È anche la stagione dell’ascolto, allo scopo di entrare in dialogo con chi parla, ma anche per capire da dove verso dove Leone XIV sia arrivato. Egli propone, nella cripta della Basilica di San Pietro, domenica 11 maggio 2025, la sua considerazione esplicativa: «Ho letto una piccola riflessione che mi fa pensare molto, perché anche nel Vangelo viene fuori. In questo senso, qualcuno ha domandato: “Quando tu pensi alla tua vita, come spieghi dove sei arrivato?”. La risposta che danno in questa riflessione in un certo senso è anche la mia: con il verbo “ascoltare”. Quanto è importante ascoltare! Gesù dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce” (Gv 10,27). E penso che sia importante che tutti noi impariamo sempre di più ad ascoltare, per entrare in dialogo. Anzitutto con il Signore: ascoltare sempre la Parola di Dio. Poi anche ascoltare gli altri: sapere costruire i ponti, sapere ascoltare per non giudicare, non chiudere le porte, pensando che noi abbiamo tutta la verità e nessun altro può dirci niente. È molto importante ascoltare la voce del Signore, ascoltarci, in questo dialogo, e vedere verso dove il Signore ci sta chiamando».[8]

È significativo come venga spiegata la stessa scelta del nome da papa, in relazione al precedente Leone: «Come ho già avuto modo di accennare, ho scelto il mio nome pensando anzitutto a Leone XIII, il Papa della prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum. Nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, la Santa Sede non può esimersi dal far sentire la propria voce dinanzi ai numerosi squilibri e alle ingiustizie che conducono, tra l’altro, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali. Occorre, peraltro, adoperarsi per porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti, Paesi e anche all’interno di singole società».[9]

Ma quali sono le più recenti novità (rerum novissimarum) che il nuovo Leone fa intuire di voler guardare con preferenza?

Sabato 10 maggio 2025 nel Discorso al Collegio cardinalizio – con il quale egli dichiara che avrebbe chiesto ai confratelli che lo avevano appena eletto, consigli, suggerimenti, proposte, cose molto concrete –, egli si esprime stabilendo, appunto, un’ideale continuità con il papa Leone XIII, che ora viene ancora ricordato, principalmente, come il papa della famosa enciclica sociale, che inaugurava la dottrina sociale della Chiesa di età contemporanea: «Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».

Due, non uno (come alcuni interpreti hanno detto) sono, adesso i fenomeni ultra-nuovi, che vengono inventariati da Leone XIV, come in un’agenda del nuovo pontificato. Si tratta, appunto, della stagione di un’altra rivoluzione industriale e degli sviluppi dell’intelligenza artificiale, peraltro con non poche connessioni tra loro.

Si ricorderà che papa Leone XIII una sola volta utilizzava nella sua enciclica sociale il termine rivoluzione. Lo faceva a proposito degli effetti di divisione (anzi di un abisso!) della società del tempo in due caste: l’una che ha il possesso di ogni produzione e commercio, possiede le sorgenti della ricchezza e influenza grandemente l’andamento dello Stato; l’altra, una moltitudine misera e debole, con l’animo esacerbato e pronta a ribellioni e tumulti: «La rivoluzione ha prodotto la divisione della società come in due caste, tra le quali ha scavato un abisso. Da una parte, una fazione strapotente perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza, ed esercita pure nell’andamento dello Stato una grande influenza. Dall’altra, una moltitudine misera e debole, dall’animo esacerbato e pronto sempre a tumulti. Ora, se in questa moltitudine s’incoraggia l’industria con la speranza di poter acquistare stabili proprietà, una classe verrà avvicinandosi poco a poco all’altra, togliendo l’immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza. Oltre a ciò, dalla terra si ricaverà abbondanza di prodotti molto maggiore. Quando gli uomini sanno di lavorare in proprio, faticano con più alacrità e ardore, anzi si affezionano al campo coltivato di propria mano, da cui attendono, per sé e per la famiglia, non solo gli alimenti ma una certa agiatezza» (n. 35).

Dalla critica alle soluzioni conflittuali e socialiste alla critica della nuova rivoluzione industriale e della proprietà privata dei dati e metadati

L’enciclica sociale di Leone XIII, tra le cose nuove, inventariava «nuovi metodi dell’industria» (n. 1), che a quel tempo finivano, tuttavia, per inibire «ogni stimolo all’ingegno e all’industria [industriosità, ndr] individuale» (n. 12). A tale situazione, il papa di fine Ottocento opponeva significativamente la carità cristiana: «Ma non è umana industria che possa supplire la carità cristiana, tutta consacrata al bene altrui. Ed essa non può essere se non virtù della Chiesa, perché è virtù che sgorga solamente dal cuore santissimo di Gesù Cristo: e si allontana da Gesù Cristo chi si allontana dalla Chiesa» (n. 24).

Era una critica implicita alla teoria della proprietà privata esclusiva dei mezzi di produzione, che veniva espressa da Leone XIII nei termini seguenti, i quali incoraggiavano invece la socializzazione di stabili proprietà private: «Ora, se in questa moltitudine s’incoraggia l’industria con la speranza di poter acquistare stabili proprietà, una classe verrà avvicinandosi poco a poco all’altra, togliendo l’immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza» (n. 35).

Le improvvise crisi dell’economia e dei cicli industriali del secondo Ottocento avrebbero dovuto, ancora di più, favorire la persistenza di opportunità di lavoro per tutti: «All’operaio non manchi mai il lavoro, e vi siano fondi disponibili per venire in aiuto di ciascuno, non solamente nelle improvvise e inattese crisi dell’industria, ma altresì nei casi di infermità, di vecchiaia, di infortunio» (n. 43).

Quali sono le attuali criticità della realtà più recenti – Novissimarum rerum? –, così come inventariate in questi primi giorni di pontificato dal nuovo Leone?

Si osserverà che papa Leone XIV si riferisce non soltanto ai nuovi fatti indotti dalla IA, ma a una nuova rivoluzione industriale.

Come si ricorderà, era stato Jeremy Rifkin a decretare la fine dell’era del carbonio e a individuare una terza rivoluzione industriale che, secondo il pensatore anglofono, sarebbe dovuta essere la via verso un futuro più equo e sostenibile in cui centinaia di milioni di persone in tutto il mondo avrebbero prodotto energia verde a casa, negli uffici e nelle fabbriche, e, soprattutto, l’avrebbero dovuta condividere con gli altri, proprio come, frattanto, già condividono informazioni tramite Internet. Questo nuovo regime energetico, non più centralizzato e gerarchico ma distribuito e collaborativo, avrebbe dovuto, secondo Rifkin, segnare il passaggio dalla globalizzazione alla “continentalizzazione”, poggiando su cinque pilastri.[10]

Oggi, parlando di una quarta rivoluzione, il medesimo pensatore allude alla nascita di un quarto Internet, quello idrico (detto anche internet dell’acqua), particolarmente urgente nella regione del Mediterraneo, che ha un grande problema di surriscaldamento, per cui l’uso della tecnologia digitale renderà possibile trasportare l’acqua.[11]

Dal 3 all’8 giugno, Venezia diventerà il palcoscenico internazionale della Venice Climate Week, la prima edizione di una settimana dedicata al cambiamento climatico, alla sostenibilità e ai modelli di economia rigenerativa, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Ambiente e degli Oceani.

È soltanto un caso che papa Leone, oltre a «una possibile remissione del debito pubblico» abbia voluto accennare a una remissione «del debito ecologico»?[12] In tal modo, i nuovi fatti indotti dall’IA si correlano con i nuovi fatti comportati oggi dal debito ecologico.

Se è un debito ecologico consumare più risorse di quante se ne hanno a disposizione, andando ad attingere a quelle che andrebbero consumate l’anno successivo (con gravi esiti d’impatto ambientale, dovuto agli attuali modelli socio-economici, in cui non tutti i Paesi hanno finora avuto lo stesso peso), tutto potrebbe effettivamente diventare un debito digitale. Di qui il senso che Leone XIV attribuisce a queste due espressioni, avvicinandole; esse sintetizzano quelle che vengono testualmente denominate sfide del nostro tempo nuovo, in cui IA e questione ambientale sono ancora significativamente correlate: «La verità non ci allontana, anzi ci consente di affrontare con miglior vigore le sfide del nostro tempo, come le migrazioni, l’uso etico dell’intelligenza artificiale e la salvaguardia della nostra amata Terra. Sono sfide che richiedono l’impegno e la collaborazione di tutti, poiché nessuno può pensare di affrontarle da solo».[13]

Le più recenti tecniche di xAI (explainable Artificial Intelligence), ci fanno ormai disporre di un modello AI, che non si limita a fornire soluzioni basate sui dati, ma fornisce anche indicazioni su come esso sia pervenuto al risultato offerto (detto altrimenti, “giustifica” le proprie procedure in una sorta di interazione tra coscienze).

Di conseguenza, la questione non è oggi soltanto quella di chiedersi se gli algoritmi restino comunque dei prodotti umanimacchinici, si potrebbe dire ri-adattando Bergson all’oggi –; bensì di domandarsi chi ne siano i presenti e futuri possessori e gestori più o meno esclusivi (certamente pochi, troppo pochi e troppo ricchi!). Ecco l’orizzonte di cose nuovissime, che potrebbero generare una nuova questione sociale, capace di attutire, anzi neutralizzare sul nascere, le disparità tra classi, popoli e etnie.

Conclusione

Nella Rerum novarum, Leone XIII, in dissenso con le analisi socialiste, si dichiarava francamente pessimista sull’obiettivo, pur enunciato, di togliere dal mondo le disparità sociali: «Si stabilisca, dunque, in primo luogo, questo principio, che si deve sopportare la condizione propria dell’umanità: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali» (n. 14).

Leone XIV oggi scommette sulla possibilità di un accesso non soltanto nuovo, ma vero, alle disparità sociali e relative questioni, senza rivendicare l’esclusiva veritativa da parte della dottrina sociale: «Voi avete l’opportunità di mostrare che la Dottrina Sociale della Chiesa, con il suo proprio sguardo antropologico, intende favorire un vero accesso alle questioni sociali: non vuole alzare la bandiera del possesso della verità, né in merito all’analisi dei problemi, né nella loro risoluzione».[14]

Forse non è un caso che i pontefici delle epoche di transizione si rivolgano a Maria Vergine, e proprio perché avanzano in tempi nei quali, come già ricordava Leone XIII nella Aeterni Patris, bisogna aver nuova cura delle scienze, della filosofia, delle dinamiche sociali.

Il longevo papa di fine Ottocento, Gioacchino Pecci (1810-1903), peraltro in linea con quanto aveva fatto da diplomatico e da arcivescovo di Perugia,[15] riprese più volte i titoli mariani di Ausiliatrice dei cristiani, Soccorritrice, Consolatrice, Arbitra delle guerre, Trionfatrice, Apportatrice di pace, per invocare il patrocinio mariano a tutela e all’incolumità della Chiesa, allora assalita da forze culturali avverse, in momenti, allora giudicati delicatissimi, di transizione, in cui il peso dirompente delle cose nuove, rerum novarum appunto, travagliava ai suoi occhi sia la società sia la Chiesa, anche sul piano delle filosofie e delle culture.[16]

Nel XIX secolo, infatti: «la Chiesa si trovava a vivere e ad affrontare un mondo che, da una parte, voleva riscoprire il valore della storia e della creatività dopo un periodo di illusione razionalistica; dall’altra, però, continuava al tempo stesso a mantenere vivi i preconcetti illuministici e scientisti».[17]

Quali saranno le cose nuovissime di questo frangente di terzo millennio, per gestire le quali sarà indispensabile il ricorso della Madre celeste del Buon Consiglio? Da parte sua, Leone XIII si mostrò anche un papa mariano che raccomandava, perciò, ai credenti la straordinaria efficacia della preghiera del Rosario: «Il vero e radicale rimedio non può venire che dalla religione, si persuadano tutti quanti della necessità di tornare alla vita cristiana, senza la quale gli stessi accorgimenti reputati più efficaci saranno scarsi al bisogno».[18]

Sarà forse un caso che la visita del nuovo Leone alla comunità agostiniana di Genazzano, nel pomeriggio di sabato 10 maggio, abbia incluso la significativa visita privata al Santuario della Madre del Buon Consiglio? Ecco le battute a commento dal nuovo Leone: «Ho voluto tanto venire qui in questi primi giorni del nuovo ministero che la Chiesa mi ha consegnato, per portare avanti questa missione come successore di Pietro».


[1] Leone XIII, Lettera enciclica Aeterni Patris: Acta Sanctae Sedis 12 (1879), 97-115.

[2] Leone XIV, Discorso del santo Padre al Collegio cardinalizio, Sabato, 10 maggio 2025. In attesa dell’edizione ufficiale, cf.: https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/may/documents/20250510-collegio-cardinalizio.html [accesso: 21.5.2025].

[3] Salvatore Talamo, che si era formato nel Circolo filosofico-teologico-sociale del Seminario arcivescovile di Napoli, intorno al canonico Gaetano Sanseverino, fu uno degli uomini di punta su cui poggiò il disegno cristiano di Leone XIII rispetto alle cose nuove della modernità. Infatti, Papa Pecci, nel più ampio quadro di rimozione e sostituzione di nuove persone sulle cattedre delle università romane, lo fece entrare nelle scuole del Seminario Romano all’Apollinare quale docente di filosofia. Soprattutto lo promosse “sociologo ufficiale della Chiesa”, insieme con il prof. Giuseppe Toniolo, quasi all’indomani della Rerum novarum. Se egli fu l’intelligente e fedele esecutore del disegno leoniano per la rinascita e l’affermazione del tomismo nella Chiesa, svolse pure un ruolo parallelo, in campo sociale, altrettanto caro a papa Pecci, il cui progetto diviene palese attraverso alcune tappe: nel 1889 sorge l’Unione cattolica per gli studi sociali in Italia; il 15 maggio 1891 viene promulgata la Rerum novarum. In particolare, nel 1893 si fonda la Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, che il Papa volle affidare proprio a Talamo che, per essere più libero, lasciò la prefettura degli studi all’Apollinare. La Rivista nasce come pubblicazione periodica dell’Unione cattolica per gli studi sociali in Italia e diviene la fucina – direttore Toniolo, segretario Talamo – della cosiddetta dottrina sociale della Chiesa.

[4] In merito, cf. G.M. Bravo, Marx, Engels, l’utopia, 4-5: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/13730-gian-mario-bravo-marx-engels-l-utopia.html [21.5.25].

[5] Nuova raccolta/I, p. 120 (si osservi sempre che il termine Povero è da p. Giacomo scritto correntemente con l’iniziale maiuscola!).

[6] Qualche segnale dell’orientamento statale di fine Ottocento si ha anche nell’unico discorso conservato di Giacomo Cusmano sul nuovo Regolamento del Deposito di mendicità di Palermo. In una lettera da Girgenti del I.9.1882 al sindaco di Valguarnera, Cusmano si congratula per la delibera di erezione di un ospedale civico e di un ricovero di mendicità (Lettere I/1, p. 275). Per la storia della beneficenza a vantaggio di infanzia abbandonata, orfani e poveri in Sicilia tra sette e ottocento, nonché dei tentativi statali di accentramento, cf. Silvana Raffaele, II problema degli esposti in Sicilia (sec. XVIII-XIX). Normativa e risposta istituzionale: il caso di Catania. Actes du colloque international de Rome (30 et 31 janvier 1987), in Enfance abandonnée et société en Europe, XIVe-XXe siècle. Actes du colloque international de Rome (30 et 31 janvier 1987). École Française de Rome, Rome 1991, pp. 905-936. (Publications de l’École française de Rome, 140).

[7] https://www.ilsole24ore.com/art/il-testo-integrale-primo-discorso-leone-xiv-AH9ES6e [21.05.2025].

[8] In attesa dell’edizione ufficiale, cf. https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/homilies/2025/documents/20250511-messa-grotte-vaticane.html [21.5.2025].

[9] Udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Discorso del Santo Padre Leone XIVSala Clementina, Venerdì, 16 maggio 2025https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/may/documents/20250516-corpo-diplomatico.html [21.5.2025].

[10] Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale: come il ‘potere laterale’ sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo, traduzione di Paolo Canton, Mondadori, Milano 2012.

[11] Jeremy Rifkin, L’età della resilienza. Ripensare l’esistenza su una Terra che si rinaturalizza, traduzione di Tullio Cannillo, Mondadori, Milano 2024.

[12] Leone XIV, Videomessaggio del Santo Padre in occasione dell’incontro di circa 200 Università a Rio de Janeiro sulla Laudato si’ [Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro (PUC-Rio), 20-24 maggio 2025]: https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/messages/pont-messages/2025/documents/20250520-videomessaggio-universita-rio.html [21.5.2025].

[13] Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Discorso Del Santo Padre Leone XIV, Sala Clementina, Venerdì 16 maggio 2025https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/may/documents/20250516-corpo-diplomatico.html [21.5.2025].

[14] Discorso del Santo Padre Leone XIV ai membri della Fondazione Centesimus Annus Pro PontificeSala Clementina, Sabato, 17 maggio 2025https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/may/documents/20250517-centesimus-annus-pro-pontifice.html [21.5.25].

[15] E. Cavalcanti (ed.), Studi sull’episcopato Pecci a Peruguia (1846-1878), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1986.

[16] In questa linea, Leone XIII quasi ogni anno, dal 1883 al 1901, nella ricorrenza della festa del santo Rosario, pubblicò un’enciclica mariana, mettendoci a disposizione un vero e proprio rosario di encicliche mariane.

[17] G. Calabrese, La continuità della tradizione scolastica, in R. Fisichella (a cura di), Storia della teologia, vol. III, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996, 159-178, qui 162.

[18] Leone XIII, Rerum novarum, Conclusione, n. 1.

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