
Bombardamenti israeliani e Teheran, 15 giugno 2025 (AP Photo/Vahid Salemi) Associated Press / LaPresse)
Nella notte tra il 12 e il 13 giugno Israele ha sferrato un clamoroso attacco contro l’Iran, l’operazione Rising Lion, che rischia di avere conseguenze inimmaginabili sull’intero Medioriente. Sempre più contrastato in patria a causa del conflitto con Hamas, che si trascina da quasi due anni, ormai inviso a parte dell’opinione pubblica internazionale per le atrocità commesse a Gaza, il Primo Ministro israeliano Netanyahu ha optato per una manovra diversiva.
Il pretesto ufficiale per l’offensiva contro l’Iran è la corsa al nucleare, vera o presunta, da parte di Teheran. Lo scopo, nelle parole di Netanyahu, annientare «il cuore del programma di arricchimento nucleare dell’Iran e i suoi sforzi per sviluppare un’arma nucleare» colpendo l’impianto di arricchimento di Natanz, gli scienziati nucleari responsabili del presunto sviluppo della bomba e il programma missilistico balistico iraniano.
Ma – com’era prevedibile – la risposta iraniana non si è fatta attendere e la situazione diviene di ora in ora più preoccupante. Lo spazio aereo dei Paesi della regione è rimasto chiuso tutta la notte ed è difficile prevedere sviluppi. Ne parliamo a caldo con Antonello Sacchetti, esperto di Iran, autore di diversi libri sull’argomento e di un podcast su YouTube dal titolo Conversazioni sull’Iran.
- Dottor Sacchetti, per quanto un attacco israeliano all’Iran fosse nell’aria, si aspettava un’aggressione di queste dimensioni?
Da anni Israele minacciava un attacco militare all’Iran per fermare il suo programma nucleare. Se rileggiamo i discorsi di Nethanyahu di vent’anni fa, ritroviamo le stesse parole e gli stessi identici toni usati in queste ore.
Due le cose che mi hanno sorpreso: in primo luogo, la capacità israeliana di penetrare lo spazio aereo iraniano in modo così massiccio e ripetuto; in secondo luogo, l’intenzione di portare l’attacco fin dentro le grandi città, anche se in passato Tel Aviv non ha avuto alcuna remora nel colpire le popolazioni civili a Gaza o in Siria, in Libano o nello Yemen. Per l’Iran è il ritorno a uno scenario che non viveva dal 1988, quando si concluse la lunga guerra con l’Iraq. In mezzo sono cresciute intere generazioni che non hanno memoria diretta di quel conflitto e che oggi si ritrovano di colpo in un contesto terribile. A Teheran nelle prime ore ci sono stati più di settanta morti e i feriti si contano a centinaia. Israele parla di un’operazione che durerà giorni o settimane. Il peggio sembra ancora dover venire.
- Come ha recepito l’attacco Teheran?
La situazione di questa prima giornata ricorda il caos e l’impreparazione con cui l’Iran venne sorpreso da Saddam Hussein il 22 settembre 1980. Ma se, allora, era comprensibile una fragilità dovuta al cambio di regime e alla debolezza dell’esercito iraniano decimato dalle epurazioni, stavolta sorprende la facilità con cui Israele è entrato nel cuore del Paese. I toni di Tel Aviv non lasciano intendere nulla di buono: in sostanza si minaccia di distruggere tutti gli impianti petroliferi e disintegrare le infrastrutture e l’economia dell’Iran.
- Qual è un primo bilancio dei danni?
I vertici militari iraniani sono stati decapitati in poche ore. Oltre a diverse figure di spicco dei pasdaran, è stato ucciso anche Ali Shamkhani, un importantissimo consigliere politico della Guida Suprema Khamenei, figura di rilievo anche nell’ambito dei colloqui tra USA e Iran sul nucleare. Basti pensare che appena pochi giorni fa, lo stesso Trump aveva postato sui social una sua intervista, proprio a voler sottolineare la possibilità di arrivare a un accordo. E oggi quella stessa persona è stata eliminata con un attacco mirato da Israele.
Da sottolineare che molti dei vertici militari sono stati uccisi in un bunker durante una riunione di emergenza. Altre figure sono state eliminate colpendo le loro abitazioni, situate in molti casi all’interno di complessi residenziali molto affollati. È stata poi colpita la centrale nucleare di Natanz e le radiazioni stanno fuoriuscendo all’interno della struttura sotterranea. Il portavoce dell’Agenzia iraniana per l’energia atomica, Behrouz Kamalwendi, ha detto che è stata rilevata contaminazione nucleare nel complesso. La perdita è stata localizzata, tuttavia si teme che le radiazioni possano diffondersi e danneggiare i residenti. Gli attacchi hanno colpito quasi tutte le grandi città e alcune zone di particolare interesse economico, come il porto di Busher.
- Che grado di coinvolgimento hanno, secondo lei, gli Stati Uniti nell’operazione Rising Lion?
Ufficialmente, gli USA si dicono estranei all’attacco, ma è davvero poco credibile che Tel Aviv abbia condotto un’operazione del genere – che pare fosse in preparazione da otto mesi – senza una collaborazione statunitense, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo dello spazio aereo iracheno per raggiungere l’Iran.
- Mentre parliamo, è iniziata la reazione iraniana; un centinaio di missili balistici hanno colpito Tel Aviv e Gerusalemme. Cosa prevede che succederà?
Non saprei a questo punto valutare la portata della reazione iraniana. Da parte di Teheran non rispondere con un attacco simile a quello subìto sarebbe stato doppiamente umiliante, ma Israele può contare sul sostegno di molti Paesi dell’area e delle strutture militari inglesi e americane. A livello politico, c’è stata una corsa a sostenere l’aggressore: Francia, Germania e Gran Bretagna si sono schierate in modo molto chiaro al fianco di Tel Aviv. Troppo timide le reazioni di Russia e Cina per pensare che l’Iran possa contare davvero su un appoggio politico. Il quadro è davvero molto fosco. Accanto a una risposta militare diretta, è molto probabile che l’Iran cerchi il sostegno di forze come Hezbollah in Libano per esercitare una pressione concomitante su Israele. Il problema è capire quanto queste forze siano davvero in grado di rappresentare un problema per Tel Aviv.






Il mistero dell’iniquità è in atto. Le guerre ne sono l’espressione più evidente. Quando guardiamo al mondo attuale, comprendiamo che solo un Dio che è morto sulla croce ed è risorto ha senso.
Se il male non fosse così drammatico e radicato nel nostro mondo non ci sarebbe stato bisogno della croce.
Il principe del mondo corrompe le menti degli uomini per portarli all’autodistruzione a vari livelli e per distruggersi gli uni gli altri, dentro la chiesa, nelle famiglie, nelle nazioni. Viviamo in un equilibrio instabile dove solo Dio ci può salvare. Le Scritture ci insegnano che la storia non sarà un progresso verso il bene, ma un aumentare dell’iniquità e dell’apostasia, con l’intervento e la vittoria finale di Dio, nel momento dello scatenamento ultimo del male, con i nuovi cieli e una nuova terra dove regnerà la giustizia e gli ingiusti non ne avranno più parte.