
Il “Focus” che apre l’ultimo numero della rivista Rassegna di Teologia, a firma di Luigi Mariano Guzzo, docente di Diritto e religione presso l’Università di Pisa, s’intitola «Anatomia del potere nella Chiesa cattolica». Proponiamo qui di seguito una sintesi, rimandando al sito della rivista della Facoltà teologica dell’Italia meridionale (sez. San Luigi) per una lettura completa del testo.
La Chiesa cattolica si presenta come caratterizzata da costituzione gerarchica globale, dove il potere di subordinazione sociale rispetto ai membri è concepito di derivazione divina. L’autorità suprema − legislativa, esecutiva e giudiziaria – che viene esercitata su tutta la Chiesa universale, latina e orientale, è nelle mani del Romano Pontefice, nonché del Collegio dei Vescovi. La fonte dell’esercizio di questo potere è radicata nel sacramento dell’ordine, mentre a norma della disciplina canonica le laiche e i laici a tale potestà possono soltanto cooperare, anche assumendo uffici ecclesiastici, ma sempre su concessione dei pastori.
Il collegamento strutturale tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione corrisponde alla persistente diseguaglianza che caratterizza la società ecclesiale. Malgrado il Concilio Vaticano II abbia promosso il principio di uguaglianza battesimale, l’esercizio del potere è rimasto perciò saldamente ancorato nelle mani dell’apparato gerarchico.
Il contributo offerto dal saggio di Luigi Mariano Guzzo si concentra sulle trasformazioni della potestà di giurisdizione e sulle tensioni emergenti tra la concezione tradizionale del potere e le spinte verso una Chiesa più sinodale e partecipativa. Ripensare il potere della Chiesa in una prospettiva sinodale significa trovare forme e strumenti per una giustificazione del potere sul piano giuridico, ridefinendo la sacramentalità del potere in termini di relazione giuridica. Ciò significa inserire il potere in una pratica giuridica che diventa anche percorso deliberativo, secondo il principio «ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti».
L’autorità nella Chiesa deve essere ripensata evidenziandone la sua dimensione antropologica più che teologica, quale forma di potere sociale all’interno della comunità ecclesiale che si esplica nella dimensione del servizio. Per fare questo è necessario risolvere i profili discriminatori che ancora attengono alla condizione femminile, implementare i sistemi di controllo e di “rendiconto” sull’esercizio del potere, nonché stabilire criteri trasparenti per una nomina condivisa degli uffici ecclesiastici.
Nell’alveo di una capovolta dinamica tra potere e diritto, l’articolo prospetta la formazione di un diritto canonico postclericale, ovvero un diritto canonico che rappresenti la cornice regolamentare entro il quale può svilupparsi un potere di servizio, finalmente evangelico, rivolto alla gestione dell’organizzazione ecclesiale.






Il Vangelo e la Sacra Scrittura non possono essere letti soltanto con i dati della storia, ma dentro un’ermeneutica della fede. La Scrittura non è semplice racconto della storia di un popolo, ma storia di salvezza. Ricordiamo che gran parte della storia contemporanea è scritta dai vincitori, che spesso non vogliono ammettere gli sbagli operati sui vinti.
Su questi come su altri argomenti vale poi la pena di constatare un fatto che a ben vedere tende spesso a ripersi. Alcuni si trovano a disagio quando si tratta di evidenze e di argomenti storici/storiografici. Non accettano il discorso di critica storica, razionale, che si pratica oggi in Europa a livello accademico, fondato su argomenti pertinenti, completi, condivisi, non soggetti a preconcetti teologici né a narrazioni istituzionali da difendere a tutti i costi. Così alcuni, quando certi fatti non collimano con le dottrine apprese, invece di interrogarsi sulla qualità delle loro conoscenze e sulla loro validità, relegano i fatti storici a ‘sociologie’, ‘ideologie’ o forniscono conoscenze storiche di altre etichette di senso peggiorativo, mentre parlando di temi a loro cari, ovvero teologici, li esaltano, defininendoli invece come scienza o addirittura li inquadrano al plurale come scienze teologiche. Ci si trova così di fronte a un paradosso: le scienze vere e proprie sono/vengono svilite a mere opinioni o ridotte quasi al nulla (è così da qualche secolo: e con quanta fatica certi ambienti sono riusciti a recepire le evidenze: basti pensare sul Gesù storico quanta difficoltà ci sia stata solo nell’ultimo secolo), mentre teologie o pensieri teologici, che scienze non sono per definizione, vengono invece considerate/chiamate appunto “scienze”. Quando si tratta di argomenti di storia del cristianesimo avvengono spesso cose del genere. Dire cose ovvie sul piano storico, se contrasta con dottrine formatesi in età moderna e ripetute in certi ambienti, comincia a subire processi di detrazione. Così si è arrivati alla situazione attuale: molti non distinguono nemmeno la fede sgorgata dai primi testimoni del vangelo da varie cristallizzazioni (sottolineo: varie, visto che nel tempo sono cambiate più di una volta); oppure non sono disposti ad ammettere che dottrine, per esempio, di due secoli fa oggi sono ritenute insostenibili. Invece, chi si esercita criticamente e scientificamente – ricostruire un fatto, interpretare i testi, conoscere i contesti, le logiche di produzione delle narrazioni e mille altre cose … – sa che, dopo aver riconosciuto discontinuità, cambiamenti dottrinali, allontanamenti dal vangelo, deve tornare al I secolo con animo libero, per comprendere i testi e i fatti. Alcuni invece partono dal loro presente e retrodatano la forma attuale di chiesa o delle loro concezioni imponendole al NT. Così, solo per rimanere negli ultimi due secoli, si è detto di tutto e il contrario di tutto. Si capisce che la Chiesa vada spegnendosi, almeno in Europa. E come potrebbe andare avanti se persino i dati più evidenti disturbano e se non si conoscono i fatti del I secolo e le trasformazioni successive del cristianesimo?
Gentile Emanuele, lei scrive con avvedutezza, sollevando questioni di epistemologia storica. Purtroppo le incomprensioni e i toni sono molto accesi perché non si vuole ammettere la determinazione storica del cristianesimo (denunciata ovviamente come relativismo). Il dispositivo a monte è sempre il medesimo: c’è una “Verità” (di ordine metafisico, sebbene abbellita con orpelli storici e agiografici), c’è una “Determinazione della Verità” (dottrina), c’è un “Organo” o “Diffusore della Verità” (Teologia). Certo, se si ammettesse che le nostre produzioni discorsive non sono avulse dalla cultura, non solo si onorerebbe il Vangelo, ma si potrebbe anche entrare nell’ottica che nessuno di noi può presumere di parlare da un luogo (in realtà “non-luogo”) assoluto. Ma “riconoscere la propria storicità” è un’atteggiamento che richiede onestà intellettuale e disciplina interiore…
Il problema di fondo è: cosa determina quale mutamento storico dovrebbe prendere la Chiesa? Ad esempio ai tempi del Concilio si utilizzò la suggestiva immagine dei “segni dei tempi” Perché i segni dei tempi erano (negli anni ’60) , come straordinariamente positivi, e la Gaudium et Spes risente dell’ottimismo del suo tempo.
Oggi viviamo al contrario un tempo di crisi, l’idea di una Chiesa che si “apre” ad una crisi che significa concretamente?
In teoria dovrebbe aiutare ad andare oltre questa crisi. Per andare oltre deve attingere da una profezia (escatologica) che rimanda ad un tempo altro rispetto alla crisi stessa.
Torniamo al solito : essere nel mondo senza essere del mondo. Poi lo si può intendere in modi diversi ma dire che la chiesa deve evolvere storicamente di suo significa poco. Oggi la Chiesa dovrebbe “aprire” alla guerra? O alle spinte sempre più radicalmente di destra? Agli autoritarismi crescenti? O non deve offrire al mondo un messaggio di speranza che sa andare oltre il tempo presente?
È molto diverso rispetto alla semplice sudditanza al presente, al netto della decisione in questione.
Non c’entra quale mutamento storico prendere in considerazione. Bisogna prendere in considerazione LA BASE. Che il 90% della dottrina cattolica posteriore al I secolo è relativa in quanto scaturita da un processo storico e umano, non divino. Riconoscere questo permette di discutere obiettivamente su quello che era il messaggio originario e tentare d estrapolarlo. Se invece l’ideologia dottrinale è posta al centro il messaggio originario è forzatamente travisato e viene impedito di svelare la sua forza.
E’ già stato fatto da Bultmann quasi un secolo fa, non è che sia proprio una novità questo approccio.
Gentilissimo Giuseppe Guglielmi, grazie mille. Sono perfettamente d’accordo con lei. C’è una determinazione storica del cristianesimo. E anche la nostra comprensione è storicamente segnata, quindi sempre da approfondire e da riconsiderare, da rimettere in discussione. Il pensiero e la ricerca teologica sono preziosi, ma solo se si coltivano contemporaneamente problemi di storiografia, di storia dell’esegesi e di filologia. Col progresso delle discipline e l’iperspecializzazione dei saperi tutto questo diviene sempre più complesso. Spesso anzi questa unità di saperi (faticosa e impegnativa, come Lei dice) non viene ricercata o esercitata. Oggi l’idea di relativizzare non gode di buona fama in certi ambienti, che non hanno in realtà chiaro che la storia è divenire; in realtà, sul piano scientifico il relativizzare e sapersi relativizzare è il punto di partenza che spinge ad approfondire, incessantemente. Chi studia sa di non essere padrone della verità. E perciò studia col massimo rigore e con la massima disciplina possibile, anzitutto lavorando su sé stesso. Purtroppo oggi si registra un crescente (e già era forte prima) distacco tra la ricerca accademica e le conoscenze del popolo di Dio. Ci sono tanti problemi nei luoghi della formazione cristiana a tutti i livelli e scarseggiano gli itinerari di vita cristiana. I laici vengono poco o nulla coinvolti. Al più sono relegati nella qualifica di ‘collaboratori’. Per fortuna non mancano persone e studiosi come Lei. Le invio magari prossimamente qualcosa di mio, dei temi di cui mi occupo. Cordiali saluti e buona settimana. Con stima.
Molto interessanti gli interventi di Emanuele e Giuseppe Guglielmi, concordo in pieno, temi che mi stanno molto a cuore. Sarebbe interessante sapere se hanno delle pubblicazioni e il modo per rintracciarle.
Grazie molte. Sono uno storico del cristianesimo e mi occupo molto di storia dei testi e del pensiero cristiano (sempre che se ne possa parlare al singolare). Posso farle avere alcuni lavori, ma sono quasi tutti specialistici, anche se spero presto di scrivere alcuni saggi di ordine più generale. Dalla bibliografia online vedo che Giuseppe Gugliemi ha scritto su questi temi e mi propongo di leggere i suoi studi. I titoli mostrano che ha messo a fuoco oculatamente un problema di cui discutiamo: il rapporto tra tradizione e teologia. E’ una delle maggiori questioni su cui riflettere. Un bel libro che ho letto recentemente e che potrei consigliarle è di N. Meli, “Intervista sull’avvenire del cristianesimo” (2018). Il libro, lasciato da parte il titolo, è una autointervista in cui l’autore mette a fuoco molto lucidamente tanti problemi del cristianesimo attuale e riconsidera la natura di una serie di questioni della Chiesa (essenzialmente cattolica), certo proponendo anche nuove prospettive. L’autore ha fatto economia di rimandi eruditi, è un libro di pensiero, conciso e molto chiaro. Spiega l’eucarestia così come Gesù l’ha pensata: comunione al suo corpo per la remissione dei peccati e comunione al calice del suo sangue, che trasmette la vita divina e rende coloro che vi partecipano consanguinei, fratelli e sorelle, una umanità nuova. Spesso tanti autori, per tante dinamiche, non hanno la visibiltà che meritano. Questo è uno di quei casi. E poi è necessario approfondire il pù possibile la storia del cristianesimo dei primi secoli (il volume di Simonetti su “Il vangelo e la storia” è la sintesi migliore degli ultimi decenni). Soprattutto bisogna tenere sempre presente che parliamo di fatti di duemila anni fa, ovvero di una realtà molto diversa dalla nostra; dobbiamo fuggire il pericolo o la tentazione sempre presente di retroproiettare sui testi del NT le nostre visioni o concezioni; dobbiamo invece conoscere le loro. In altre parole, per capire bene cosa ha detto e fatto Gesù, e per comprendere bene il motivo per cui quello che egli ha detto e fatto furono chiamati “vangelo”, bisogna approfondire la situazione di partenza, quella in cui egli si è mosso e rispetto alla quale ha reagito, facendo sentire Dio, anzi “Abbà”, come egli affettuosamente lo chiama, vicino a tutti gli esclusi dal centro: dal centro della società e della istituzione religiosa. Gesù, se così posso dire, opera a ben vedere ‘controcorrente’, perché per lui Abbà è controcorrente e si muove con amore anzitutto verso tutti gli esclusi della società. Perciò alla fine di Luca il Risorto conduce i suoi discevoli fuori, verso Betania, la “Casa del povero”. E molto altro ancora. Cordiali saluti, E. Castelli.
Il tentativo di credere di aver già detto tutto e che nulla possa mutare, come se si fosse fuori dal storia è una forma di presunzione o di paura?
Gesù era un laico, non un sacerdote. Cosa evidente alla luce delle fonti. Diversamente da Giovanni il Battista (questi sì figlio di sacerdote per parte di padre e addirittura discendente di Aronne per parte di madre, ma si era allontanato in polemica con la casta sacerdotale, che si poneva da sé illusoriamente come mediatrice), diversamente da Giovanni, dicevo, Gesù, che di Giovanni fu inizialmente seguace, non apparteneva alla classe sacerdotale, alla classe dei sadducei. Non gli veniva permesso di entrare fino in fondo al tempio. Lo consideravano un “non abilitato”. Non ha mai parlato di sacerdoti. Si leggano i Vangeli. Mai ha ordinato sacerdoti. Si leggano i Vangeli cercando di rispondere alla domanda: come mai Gesù non parla dei suoi qualificandoli come sacerdoti? Come mai Gesù sceglie per la liberazione dal peccato e la comunione al suo sangue la cena pasquale, che, diversamente dagli atti al tempio, qualsiasi ebreo era legittimato a svolgere a casa sua? Ovviamente Gesù mai dice di riedificare un tempio di mani d’uomo. La comunità dei credenti prende il nome di “ecclesia”, assemblea, termine laico, egualitario, dove tutti i credenti, in quanto creature nuove in Cristo, sono tutti sacerdoti, nazione eletta, popolo santo (leggere, per es., 1 Let. di Pietro). E molto, molto altro ancora. Per cogliere questi aspetti generali è essenziale leggere integralmente (fare attenzione a non leggere a pezzi separati, decontestualizzati) tutta la lettera agli Ebrei e ovviamente per intero il NT e i primi scritti cristiani fino agli inizi del III secolo. E ovviamente farsi aiutare da tanti studi, a cominciare da quello, destinato ai non addetti ai lavori, del maggiore biblista cattolico e presbiterio italiano Romano Penna (Università Lateranense): “Un solo corpo. Laicità e sacerdozio nel cristianesimo delle origini” (Carocci 2020). Chi leggerà per intero la Lettera agli Ebrei scoprirà che l’autore del documento, proprio perché Gesù non era stato un sacerdote (anzi, Gesù ha passato buona parte della sua vita pubblica contro l’idea di un tempio che non sia quello del suo corpo e delle singole persone), che l’autore della lettera, dicevo, suda sette camice per dare a Gesù il ruolo comunque di sacerdote (“al modo di Melchisedech”: ovviamente era evidente che Gesù storicamente non era stato sacerdote!), ma al fine di affermare l’unicità di Cristo quale mediatore per tutti: essendo perfetto (per coloro che credono mediatore e dunque unico sommo sacerdote), dice la Lettera, Cristo ha reso perfetti tutti coloro che credono in lui rendendoli dunque tutti sacerdoti. Non c’era la casta a mediare nelle prime generazioni. Si prenda il NT. e si vedano, per esempio, le occorrenze sul sacerdozio di tutti (!) i battezzati. Sono cose che si dovrebbero conoscere. Mai Pietro si definisce “sacerdote”, mai Paolo, mai alcuno degli apostoli o personaggi nel N.T. Oggi questi e altri dati elementari della fede cristiana – le prime comunità cristiane non avevano sacerdoti; alcune comunità avevano invece presbiteri, mentre la sacerdotalizzazione del presbiterato avviene più tardi – oggi, dicevo, questi dati elementari, sepolti da dottrine successive (dice niente che la Chiesa ha inventato e poi cancellato il “Limbo”? Dice niente oggi che Gesù mai ha parlato di Purgatorio?) non sono noti ai più. Che dunque non sanno perché il Concilio Vaticano II abbia cercato di rimettere al centro il sacerdozio universale dei credenti. Quanto poi ai rapporti gerarchici: Gesù ha prescritto ai suoi discepoli rifiuto assoluto di gerarchia, anzi ha richiesto la logica opposta: “Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».”. E ha chiamato i discepoli a essere pescatori, non dominatori né ovviamente pastori. Solo a Pietro (in uno dei capitoli aggiuntivi di Giovanni) è detto di pascere. Ma solo a Pietro (!) e, ben inteso, non c’è uno scambio di ruoli. Il Pastore rimane Cristo, che infatti, dicono le Scritture, era sempre con loro e per questa sua presenza operavano come operavano. Non c’è spazio ora per trattare la questione di obbedienza (nata con il monachesimo cenobitico, non nei Vangeli) e altre cose. La decontestualizzazione fa dire, oggi, qualsiasi cosa. Consiglio ancora un altro libro: “Il Vangelo e la Storia” di Manlio Simonetti (che è stato tra l’altro Premio Ratzinger). Chi vuole poi approfondire, ha oggi l’imbarazzo della scelta.
Un suggerimento a “una donna” che scrive: “è assurdo credere ancora all’esistenza di un dio.” Legga il libro: “Dio, la scienza, le prove. L’alba di una nuova rivoluzione.” Gli autori, Michel – Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, a pag. 275, introducendo affermazioni di un centinaio di scienziati e alcuni filosofi, scrivono: “Nella scienza del ventunesimo secolo, Dio è più vivo che mai.” Da pag. 275 a pag. 348 seguono affermazioni molto interessanti sull’esistenza di Dio. Leggere chi la pensa diversamente ci rende più obiettivi e più attenti alle nostre affermazioni. Sono scienziati, non opinionisti!
Se si continua a leggere con categorie prevalentemente sociologiche odierne ed anche ideologiche i rapporti dentro la Chiesa, il rischio è svilire i dati della fede e leggere in modo errato la realtà Chiesa. È vero che a volte l’esercizio della potestà dentro la Chiesa è scaduto a potere mondano, ma questo fa parte di una realtà come la Chiesa che sì è di istituzione divina ma resta anche umana. Da qui il motivo di guardare alla Chiesa non solo con le scienze umane (scienze, non venti di ideologie!) ma anche con le scienze teologiche.
Non è potere di subordinazione divina! La Chiesa è comunione gerarchica, nella quale vige anche l’obbedienza, virtù che, secondo alcuni canoni sociologici odierni, viene letta come limite alla libertà personale. Ma va considerato quanto dice Gesù: “Io faccio sempre la volontà del Padre mio.”
Nessuna visione mitica! Il Concilio Vaticano II ha ridefinito il volto della Chiesa, soprattutto attraverso la Costituzione Lumen Gentium, considerando i dati biblici e i dati dell’autentica Tradizione della Chiesa. Certamente oggi alcuni canoni del Diritto canonico andrebbero ridefiniti alla luce del cammino sinodale che Papa Francesco ha fatto fare a tutta la Chiesa.
Circa l’affermazione “Gesù era un laico e non sacerdote”, consiglierei la lettura attenta della Lettera agli Ebrei dal capitolo 2° al 10°.
Circa l’affermazione che fossero proibiti i rapporti gerarchici, occorrerebbe ricordare che Gesù ha risposto agli Apostoli che si chiedevano chi tra loro fosse il primo: “il primo sia il servo di tutti.” Non ha negato il desiderio di essere primo, ma lo ha circoscritto nella capacità di farsi servo di tutti. Ha scelto Pietro come “roccia” della sua Chiesa, soprattutto chiedendogli per tre volte se lo amava, dopo il triplice rinnegamento e per 3 volte ha detto a Pietro: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle.” Pascere le pecore e gli agnelli conferisce al pastore un’autorità simile a quella che ha un pastore col suo gregge. Ma sappiamo che anche su questo ci sono pastori che abusano del loro “potere pastorale”, così mi piacerebbe definirlo. Io stesso ho dovuto rispondere gentilmente e con verità a 2 vescovi che mi avevano trattato con orgoglio e usando falsità. Ma il loro sbaglio non toglie nulla a quanti sono chiamati ad essere pastori secondo l’esempio di Gesù e a riconoscere anche in questi l’autorità conferita loro dal ministero.
Grazie per la boccata d’ossigeno. Però, per favore,, non insultatevi perché siamo tutti in ricerca e la ricerca ha bisogno di ponti, non di muri.
“Il potere di subordinazione sociale rispetto ai membri è concepito di derivazione divina”: purtroppo oggi è così. Ma questa concezione è perfettamente antitetica al vangelo. Gesù ha prescritto ai suoi discepoli divieto assoluto di logiche gerarchiche. E mai ha parlato di sacerdoti. Gesù era un laico in Israele, non un sacerdote (anche se molti oggi non hanno chiaro nemmeno questo dato elementare). Nondimeno, una ‘gerarchia’ per giunta sacerdotalizzata ha cominciato ad affermarsi dalla fine del II sec. o dagli inizi del III. Poi il processo ha conosciuto fasi di aggravamento, specialmente nella Chiesa cattolica, cioè nella Chiesa latina dall’XI secolo in poi. E siccome i vangeli e il N.T. in generale sono da secoli più venerati che frequentati, e poiché dei primi secoli si ha oggi una visione mitica (sempre che molti ne abbiano una), siamo nella situazione in cui siamo. Il Concilio Vaticano II ha fatto prendere coscienza di questo gravissimo allontanamento da Gesù e dal vangelo. Ma i luoghi di formazione, i seminari, sono rimasti nelle mani delle stesse persone o, peggio ancora, della stessa mentalità, che cambia difficilmente.
Io sono molto contento di appartenere alla Chiesa cattolica pur con tutti i suoi difetti. Non credo che santi come Francesco di Assisi e Teresa di Calcutta siano appartenuti a una “favola”. Semmai dovremmo riscoprire e vivere attraverso il loro esempio una Chiesa più povera. Non sono i ruoli che si ricoprono a fare una chiesa maschilista o femminista, ma ciò che conta è il servizio offerto con semplicità, competenza e umiltà. Le ideologie del momento spirano come venti che passano e ci offrono visioni parziali su una realtà ben più grande e più profonda.
Le donne ,come gli uomini ,vogliono posto di potere , non vogliono “servire” . Nella Chiesa cattolica fino ad ora i posti di potere li hanno avuti gli uomini. Ora le donne rivendicano il potere. Non mi si venga a dire che tutto cio’ e’ cristiano ,e’ semplicemente umano .In una Chiesa fatta di santi nessuno lotterebbe per avere il “potere” ,ne’ gli uomini ne’ le donne ,anzi si cercherebbe solo.il servizio ,l’ ultimo posto.
La Chiesa non migliorerebbe c’ero con le donne al potere. Migliorerebbe invece e moltissimo se ciascuno ,uomini e donne ,rinunciasse al proprio ego per servire gli altri.
Sono d’accordo! Non avrei saputo dirlo meglio e più pacatamente. Grazie!
Io credo ci siano uomini e donne che sanno servire senza voler per forza il potere. Il potere che arriva a chi non lo vuole è la miglio garanzia. Ma non si può accettare una visione così cinica come quella da lei descritta qui. Le donne rivendicano la parità anche nella responsabilità. Non mi pare nulla di strano. Lo strano è meravigliarsi di questo.
Caro Alessandro eviti di parlare a nome delle donne.
Lasci che si esprimano loro. Se lei conosce donne che si sentono pienamente accolte nelle strutture parrocchiali , le assicuro che ce ne sono molte soprattutto le giovani che non hanno la stessa impressione. E questo vale anche per la confessione, le donne si sentirebbero maggiormente a proprio agio se il confessore fosse una donna. Anche qui vi è la solita concezione delle donne meno affidabili dei maschi.
Nelle parrocchie mediamente ci sono molte più donne che uomini, un pò come avviene nella scuola. Soprattutto adesso che i parroci sono pochi e devono gestire più parrocchie. Almeno dalle mie parti.
Di giovani se ne vedono pochini in generale..
Fabio Di Palma, non ho compreso il significato del tuo intervento. Quale “colpo di coda riconducibile al pontificato precedente” ? Cosa intendi ?
Grazie della domanda, Salvo Coco. Qualunque Rivista predispone con un certo anticipo gli interventi che intende pubblicare, ed è evidente che questo numero di RdT è stato confezionato mesi fa. Dubito che i temi ai quali Guzzo accenna, soprattutto in chiusa ad approdo del suo contributo, continueranno a trovare spazio di qui in poi. Mi rendo conto che la mia è una proiezione pessimistica, e mi concedo la possibilità di sperare di essere in errore.
Bisogna ammettere che il pontificato di Francesco ha introdotto una certa libertà di parlare di tutto.
Sarebbe stato opportuno però anche fare delle riforme reali. Francesco, tante parole profetiche, ma non ha fatto UNA SOLA riforma che cambiasse il corrente assetto di potere della chiesa cattolica, non è nemmeno riuscito a mettere nero su bianco che i separati o conviventi possono fare la comunione. Ha fatto solo piccoli gesti come non nominare cardinali vescovi di sedi considerate cardinalizie e nominare un manciato di donne-religiose! in ruoli minori della curia. Un pò poco. Essendo Leone XIV conservatore come intuito dal il Sig. Di Palma, sarà ancora peggio, molti teologi-la maggior parte sacerdoti e i vescovi, non parleranno più di temi controversi, per la paura di non fare carriera. Di riforme, manco a parlarne.
Qualsiasi ‘riforma’ poco accettata e imposta dall’alto rischia di creare uno strascico di divisioni e conflitti
La sua filosofia era di avviare processi, non di occupare spazi
Al giorno d’oggi non dovrebbe più esistere alcuna chiesa, è assurdo credere ancora all’esistenza di un dio e a tutte le costruzioni che la chiesa ci ha creato sopra. Un conto, poi, è credere in una favola religiosa, ma costruire su una favola una potenza politica ed economica è davvero inaccettabile. La chiesa cattolica non mi piace: è la chiesa degli uomini, fatta dagli uomini per gli uomini, discriminatoria nei confronti delle donne. E di questa chiesa sono felice di non fare parte.
Meno male che è degli uomini!!!
Con donne così, è senz’ altro meglio!!?
No, certo che no, ma la stupidita’ e’ intersex, alligna negli uomini come nelle donne, che parlino di religione, di politica o d’ altro. La cosa migliore, in casi come questo, e’ sorridere passando oltre.
Concordo..oggi come oggi trovo assurdo non credere in Dio dopo il fallimento dell illuminismo
Non so che donne abbia mai visto lei in chiesa, ma posso assicurarmi che tutto quello che ha detto è falso.
Nelle parrocchie “quelle vere” sono quasi sempre le donne che decidono. Nelle catechesi della mia parrocchia ci sono più catechiste che catechisti, io sono solo un’eccezione in quanto uomo, e le decisioni sul da farsi le prendono loro, idem per quanto riguarda bar dell’oratorio, animazione ecc. Il don dà quasi sempre il suo assenso, a meno che la proposta non sia contraria alla fede cattolica. E posso dire per certo che nessuna di loro vuole diventare prete: sanno benissimo che quello con il colletto è l’ultimo che comanda in una parrocchia che funziona. Anzi, ho sentito dire da alcune parrocchiane normalmente femministe che non accetterebbero mai di confessarsi da un prete donna.
Avanzo il sospetto che si tratti di niente di più che di un colpo di coda riconducibile ancora al pontificato precedente. Dubito che nel prossimo futuro troveremo ancora traccia di temi di questo genere, ma rimango disponibile a farmi sorprendere.
Io credo alla Provvidenza, che ha provveduto, provvede, e provvederà.
Anche litigando (discutendo) sugli argomenti.