
Il «termine abuso» è un termine-ombrello, un cluster per esprimere un rischio fondato: che ogni relazione asimmetrica possa trasformarsi in una relazione abusante e di sopruso a livello di potere, di coscienza, di violazione dell’intimo spazio del rapporto con Dio. Dunque, un abuso che non si ferma alla dimensione fisica ma che si dispiega come un’ingerenza distruttiva a livello psichico, spirituale e morale.
Questa dinamica degenerante fino alla distruzione della vita della vittima sembra trovare, purtroppo, un terreno fertile nell’istituzione cattolica. Infatti, l’ordinamento clericale e gerarchista, che condensa in sé potere sacrale e di governo, può essere terreno fertile in sé perché tali rischi diventino pratiche consolidate.
Dal silenzio al safeguarding
È proprio papa Benedetto XVI a scrivere che si è giunti a un oscuramento della luce del Vangelo che neppure secoli di persecuzione avevano raggiunto[1]. E sono in primo luogo le persone abusate a sperimentare sulla propria pelle come il Vangelo possa essere non solo oscurato ma tradito, usato per fare del male e anche, paradossalmente, «fonte» di male.
Le loro confessioni, quando le vittime trovano la forza per farle e luoghi adatti e specialisti capaci di accogliere tali condivisioni dando loro credito, rivelano un sottobosco atroce di prevaricazioni di ogni tipo con annientamento della dignità e dell’identità oltre che della corporeità.
La «fantasia delirante» degli abusatori / delle abusatrici, unitamente alla forza conferita loro dalla struttura dell’istituzione ecclesiastica, hanno compiuto e compiono veri crimini, fino a pochi anni fa, «silenziosi».
Per questo la Chiesa cattolica, attraverso le decisioni delle Conferenze episcopali nazionali, ha iniziato, con coraggio, a porre sempre più attenzione non solo ad una azione punitiva nei confronti dei colpevoli ma alla protezione delle persone vulnerabili attraverso una politica di prevenzione. Ora la stessa visione di prevenzione è superata da una prospettiva di approccio molto più ampia riassumibile nel concetto di safeguarding (sicurezza).
Ma la ricerca e il cammino di autocoscienza della Chiesa ha recentemente compreso che il punto centrale da cui partire è quello teologico ed ecclesiologico. Solo partendo da qui, con l’aiuto determinante dell’aggiornamento e adeguamento del Codice di diritto canonico (libro VI), si può intervenire sul sistema Chiesa in modo promettente.
Il vangelo come misura
Da questa innovativa comprensione del fenomeno discende, a sua volta, un nuovo paradigma etico e un accompagnamento psicologico e spirituale adatto (cioè, non generico) a coloro che sono stati/e abusati/e. Dunque, sembra necessario un ripensamento a livello teologico, dottrinale, etico e legislativo unitamente alla sensibilizzazione di tutto il popolo di Dio e un’adeguata formazione del clero.
Senza questa visione i report, anche i più scientificamente accurati, sono e saranno «lettera morta» e i protocolli per la prevenzione pressoché inattuati. E le vittime sempre più emarginate e ancor più ferite perché costrette al silenzio: «Se non mi credono, perché parlare aggiungendo dolore a dolore?».
A questa attenzione al fenomeno degli abusi nella Chiesa, c’è un’obiezione comune che serpeggia in molti ambienti ecclesiali. Tale obiezione si può esprimere più o meno così: il personale religioso non è costituito solo da abusatori seriali e gli abusi avvengono dappertutto e la più parte accade in famiglia: perché dunque tutto questo clamore per i casi che succedono nella Chiesa?
È vero che molte realtà in cui si vivono relazioni asimmetriche sono foriere di possibili abusi. Ciò, tuttavia, non esonera il popolo di Dio dalla vergogna che siano proprio i discepoli di Gesù a fare gesti e, addirittura, ad avere uno stile di relazione abusante. Il coinvolgimento anche di un solo prete, religioso/a, catechista, educatore, cristiano laico si presenta come dato assolutamente più che deprecabile, vergognoso e contrario al Vangelo che si proclama di amare.
Realtà sistemica
Appare, dunque, incontrovertibile che gli abusi sulle persone vulnerabili siano dati di fatto reali, diffusi, molto gravi[2] sia a livello etico-spirituale[3] sia giuridico-legale[4]. Infatti, il termine di paragone con cui discepoli di Gesù sono chiamati a confrontarsi continuamente è il Vangelo, non i crimini degli altri.
Uno dei punti nodali per la comprensione delle radici degli abusi è cogliere il fenomeno nella sua realtà sistemica le cui radici vanno ben oltre le fragilità delle vittime e/o l’eventuale patologia degli abusatori.
Queste ultime, seppure esistenti, non sono, infatti, le sole ragioni del «sistema abusi» ma, al massimo, di «questi» abusi. È evidente che non si tratta di gravità: il singolo abuso è gravissimo. Si tratta, invece, di trattare il fenomeno in termini promettenti e non solo di trovare soluzioni contingenti a questa o quella situazione.
Sarebbe davvero il minimo anche se, purtroppo, si deve tristemente constatare che, in molti contesti, la pratica è ancora molto lontana dalle proclamazioni di principio.
Ferruccio Ceragioli – Carla Corbella (a cura), Abusi nella Chiesa. Un approccio interdisciplinare, Àncora, Milano 2025, pp. 200, € 17,00. ISBN: 9788851429713. Carla Corbella è docente di Etica della vita presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, Sezione parallela di Torino

[1] Benedetto XVI, Lettera pastorale cattolici dell’Irlanda, 19 marzo 2010, n. 4.
[2] Graviora dice il motu proprio del 2001 di Giovanni Paolo II.
[3] Colpa morale e peccato come si esprime il Codice di diritto canonico del 1983.
[4] Crimine come Benedetto XVI l’ha definito e dunque un reato punibile dalla legge penale civile.






Quello che mi meraviglia non è tanto la teologia, l’ecclesiologia, il diritto canonico, la morale… e che qui le si definiscano materie inadeguate a far fronte agli abusi, quanto piuttosto il silenzio imposto dai gerarchi.
Inoltre che si sia atteso e si attenda, ancor oggi nonostante tutto quello che è successo, che questi comportamenti siano abusi conclamati e non si intervenga a priori per educare i candidati al presbiterato e all’episcopato ad uno stile di mitezza evangelica.