Il Libro delle Lamentazioni

di:

nason

Già responsabile per la Formazione biblica dell’arcidiocesi di Milano e collaboratore dell’Ufficio ecumenico e dialogo per i rapporti con l’ebraismo, l’autore – Luigi Nason – conosce a fondo i testi biblici dell’Antico Testamento, la tradizione interpretativa cristiana e quella giudaico-rabbinica.

Il primo capitolo del volume è dedicato al titolo del libro biblico e alla sua collocazione nel canone biblico.

I cinque capitoli delle Lamentazioni, attribuiti da gran parte delle versioni antiche e dalla tradizione al profeta Geremia, elevano un tragico lamento a Dio per l’angosciosa situazione di Gerusalemme nel contesto della conquista da parte dei babilonesi (586 a.C.) e della devastazione presente nell’immediato postesilio fra il popolo rimasto in Giuda.

Nella lettura liturgica compiuta nel nono giorno del mese di ’Ab, Lamentazioni intende ricordare la distruzione del tempio nel 586 a.C. da parte dei babilonesi e quella del 70 d.C. ad opera dei romani.

Traduzione e commento

Ogni capitolo di Lamentazioni è costituito da un poema. I cc. 1-2 e 3-4 sembrano collegati fra loro secondo uno schema chiastico e risalire al tempo della caduta di Gerusalemme/Sion.

Il c. 3 pare, invece, sembra provenire dal contesto dell’esilio babilonese. Il suo autore potrebbe essere colui che ha raccolto ed editato i cinque poemi dando loro la forma definitiva.

Mentre nel c. 3 si eleva solo la voce di un singolo, negli altri capitoli si alternano la voce della città e quella del poeta, mentre quella di YHWH tace (“Il silenzio di Dio”).

Nason traduce personalmente il testo ebraico, allontanandosi spesso dalla traduzione ufficiale CEI 2008. Nel c. 3,57-61 interpreta, ad esempio, i perfetti ebraici come perfetti precativi, dal significato identico all’imperativo. Il senso del testo cambia di non poco. Diversa è anche la traduzione dell’ultimo versetto, 5,22, che esprime, con tono dubitativo, il finale aperto tipico del libro: «A meno che tu non ci abbia rigettati per sempre, non ti sia adirato senza misura contro di noi…».

I poemi sono caratterizzati dalla loro forma acrostica (ogni strofa inizia con una lettera dell’alfabeto ebraico), mentre il c. 3 è acrostico, ma con la particolarità per cui ogni versetto inizia con una delle 22 lettere dell’alfabeto, esprimendo completezza e compimento.

Voci in campo

Il genere letterario del lamento sulla caduta della città era conosciuto nell’Antico Oriente antico, ma esso prevedeva il pianto della divinità femminile sulla città, l’intervento della divinità e la ricostruzione della città e del tempio. Questo non è il caso di Lamentazioni, dove Dio tace e la città non è ricostruita. La speranza è flebile, mentre prevalgono il lamento e l’accusa.

Il libro delle Lamentazioni ha un tono lirico e ha una struttura concentrica.

I cc. 2 e 4 menzionano la distruzione: la carestia, l’ira di Dio, la gioia dei nemici, il peccato, le colpe dei falsi profeti, dei sacerdoti e dei re.

I cc. 1 e 5 descrivono il periodo successivo alla distruzione e menzionano vedove e orfani, il confronto con il passato, pianto, desolazione e lamento per tutto ciò che è venuto meno, lo sconcerto e l’insicurezza, il senso della vergogna e la perdita della dignità.

Per Nason i cc. 2 e 4 provengono da un testimone oculare e potrebbero risalire al 570-560 a.C.

Il c. 1 osserva la distruzione di Gerusalemme più da lontano e potrebbe risalire al 530 a.C.

Il c. 3 esprime una universale situazione umana, ma, nella sezione centrale (vv. 39-48), presenta il poeta che si identifica con il popolo sofferente. Si descrive l’allontanamento del popolo da YHWH per propria colpa, il disprezzo delle nazioni e la paura generata dalla gravità della distruzione. Il ricordo vivace della catastrofe nazionale suggerirebbe una data tra il 550-540 per la sua composizione.

Il c. 5, una liturgia, è tipologico più che specifico e sembra riflettere un lungo periodo di sudditanza nazionale e di desolazione di Sion. Potrebbe risalire al 530 a.C.

Nel c. 1 si alternano la voce del poeta e quella di Sion, presentata come una vedova sconsolata. Lamentazioni esprime una letteratura di sopravvivenza, dove il lamento forte è un mezzo per esprimere la propria voglia di sopravvivere e poter continuare a godere del favore di YHWH quando si ricorderà della sua alleanza stretta con il popolo.

I cc. 1–2 presentano, dapprima, la sofferenza e, in seconda battuta, la sua interpretazione. L’esperienza della distruzione della città e del tempio è così grave, assurda e terribile che il solo modo di tentare di affrontarla fu, per il poeta, quella di attribuirla direttamente a Dio.

Il secondo poema fa intervenire la voce del poeta e quella della figlia di Sion. In esso si registra un’impressionante cascata litanica di verbi di distruzione, che hanno come unico soggetto YHWH rappresentato nella sua ira. La sua collera lo ha mosso come un nemico contro la città. L’ira ardente e furiosa si è abbattuta su Sion. Si menziona il fuoco, la nube e la mano ritirata di YHWH, quasi in un controesodo. L’orrore e la gravità della sofferenza sta nel suo apparire senza confini, mentre perfino i bambini e i lattanti vengono meno nelle piazze della città.

Il climax del poema è in 2,13 dove ci si domanda chi potrà mai guarire la disgrazia di Sion, immensa come il mare. Al poeta rimane solo il ministero del linguaggio: parlare alle vittime e aiutarle a sollevarsi da uno stato di prostrazione e a innalzare un grido a YHWH. Sion deve gridare nella notte, effondere come acqua il suo cuore, alzare le mani verso di lui, per la vita dei bambini che muoiono di fame all’angolo di ogni strada (cf. 2,18-19).

Il centro del libro

Il terzo poema rappresenta per molti, come per Nason, il monumentale centro del libro. Si alza la voce solitaria di un uomo – geber –, che ha visto l’afflizione della città. Essa ora tace. Per la terza e ultima volta si presenta Adonai come un nemico che ha rivolto la mano contro il suo popolo, gli ha spezzato le ossa, ha consumato la sua carne e la sua pelle, lo ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da gran tempo, chiuso fra un muro invalicabile e stretto fra pesanti catene.

Nei vv. 3,19-33 il tono cambia bruscamente e “l’uomo” si rivolge a YHWH con un imperativo che appella alla memoria verso l’afflizione e il veleno che l’uomo sperimenta. Egli intende richiamare alla memoria la bontà di YHWH e vuole sperare che, per la bontà sua, il popolo non sparisca definitivamente e che la sua misericordia non sia esaurita. La bontà e la misericordia di YHWH si rinnovano ogni mattina: grande è la tua fedeltà! «La mia parte è YHWH, mi dico, perciò spero in lui» (3,24).

Nason traduce la serie di perfetti affermativi dei vv. 56-62 come “precativi”, corrispondenti cioè a imperativi e non come perfetti che si riferiscono a eventi passati. “Ascolta, fatti vicino, difendi, guarda, ascolta” sono gli imperativi espressi.

Lam afferma: «Questo voglio richiamare al mio cuore, perciò voglio sperare». Il “questo” si riferisce ai versetti precedenti e cioè alla sofferenza passata e alla certezza della fedeltà di YHWH. Solo il ricordare di YHWH ha la forza di cambiare il presente e il futuro. Perciò la richiesta a Lui perché si ricordi costituisce una costante nelle preghiere di supplica.

Lamento e sofferenza interpretati

Nel quarto poema intervengono dapprima la voce del poeta (4,1-11.12-16), tanto cronologicamente e geograficamente vicino agli eventi narrati da sembrare non riuscire a trovare le parole per esprimere la dimensione della catastrofe e cercare di farsene una ragione.

In 4,17-22 si esprime a sua volta la voce del “noi” dei sopravvissuti, con un coro di lamento. Si è in una situazione di depravazione e di deprivazione. Il tema principale è la degradazione, dovuta alla scarsità dei viveri. Essa conduce le madri a cuocere i priori figli per cibarsene. C’è una grande sofferenza fisica, un caldo opprimente. YHWH tace inesorabilmente, mentre il nemico irrompe dalle porte della città.

Nei commentari dei maestri ebrei, la distruzione fu interpretata come la punizione del popolo per la sua colpa. Altrimenti sarebbero rimaste come cause la malvagità divina, l’impotenza di YHWH e il suo abbandono del popolo, con il ripudio dell’alleanza.

I maestri della tradizione partirono da alcuni versetti profetici per attribuire all’idolatria di Israele la causa di ogni male (cf. Ger 26,18). Oltre ad essa, ci fu l’abbandono della torah (cf. Ger 9,11-12) e dei 36 comandamenti, corrispondenti al valore numerico delle lettere di hkfy)iI,. (’ = 1; y = 10; k = 20; h = 5).

Il midrash rabbinico sul Libro delle Lamentazioni introduce anche il pathos divino: Dio piange per aver fatto dimorare la sua presenza in Sion, che ora è lo zimbello di tutti. Egli promette di ritornare alla sua antica dimora.

Il quinto poema è un lamento dei sopravvissuti, che si conclude con un finale aperto, dubitativo. Il commento midrashico glossa il v. 22 in modo che risulti positivo: «… ogni collera finisce alla fine per placarsi».

Il poema inizia con tre imperativi: “ricorda, guarda, vedi”. Prosegue con un lamento e una protesta (vv. 2-18). Tutto è diventato arido e deserto, c’è violenza e umiliazione inflitta alle donne, ai capi, agli anziani e ai giovani.

Il lamento trova il suo climax nei vv. 15-18: «la gioia ha abbandonato il nostro cuore… è caduta la corona dal nostro capo, guai a noi, abbiamo peccato… il monte Sion è desolato, vi scorrazzano le volpi». Nei vv. 19-22 si esprime ciò che YHWH dovrebbe fare, ma che forse non farà… «Tu, YHWH, siedi (risiedi/rimani) per sempre… (5,19). Ora la città siede solitaria… (1,1), abita in mezzo alle nazioni…» (1,3).

Il v. 21 apre alla speranza: «Facci ritornare a te, YHWH, e noi torneremo, rinnova i nostri giorni come un tempo!». Ad esso segue, però, 5,22 che è dubitativo, provocatoriamente aperto, afferma Nason. Egli traduce – a differenza di CEI 2008 –: «A meno che tu non ci abbia rigettati per sempre, non ti sia adirato senza misura contro di noi…». È una non-conclusione. «Il poema è lasciato aperto nel vuoto di una non-risposta di Dio» (T.A. Linalfelt, cit. a p. 80, nota 39). «Ti sei adirato senza misura contro di noi…».

Il lamento del c. 5 è diverso da quello usuale comunitario perché la parte della protesta è molto più ampia, l’invocazione a YHWH in 5,19 molto breve, e perché manca qualsiasi espressione di lode. Il tono è tragico, intriso di protesta. Quando la degradazione è grande, non resta che la protesta espressa con audacia infinita che può aprire la strada a un futuro diverso, a un futuro fondato sulla riscoperta sofferta di un’alleanza con YHWH. «Dove il grido non è espresso, il cielo non si muove e una storia non può iniziare veramente. Non resta che la disperazione. Dove il grido è espresso con audacia e con forza, il cielo può rispondere e la terra può avere una nuova chance. La nuova decisione in cielo e la nuova possibilità sulla terra dipendono dalla protesta che qualcuno ha avuto il coraggio di iniziare» (W. Brueggemann, cit. a p. 83, nota 46).

L’ostinato silenzio di Dio

Dopo la traduzione e un rapido comento ai vari poemi (pp. 4-83), Nason riporta i suoi commenti circa la poetica dell’ostinato silenzio di Dio (pp. 84-176). Egli nota come il libro sia espressione della volontà di sopravvivenza, con un carattere lirico e caratterizzato dall’acrostico alfabetico.

Il libro ha una struttura unitaria, anche se i poemi sono nati probabilmente in tempi distinti e forse raccolti e strutturati dall’autore del c. 3, vicino alla scuola isaiana.

Il libro ha una struttura concentrica. Attorno al lamento del singolo espresso nel c. 3, si articolano i cc. 2 e 4 che parlano della distruzione, mentre i cc. 1 e 5 parlano del tempo successivo alla distruzione.

Lam 3,1-39 sembra proporre un modo alternativo di risposta alla catastrofe rispetto ai restanti poemi. Un correttivo intenzionale. Una sezione parenetica, che invita ad attendere in silenzio, con fermezza e speranza, la divina restaurazione compiuta dall’azione sovrana di YHWH.

Letteratura di sopravvivenza

Sopravvivere è un paragrafo (pp. 119-176) che Nason dedica al fatto che si cercò di sopravvivere attenuando la tragicità delle affermazioni di Lamentazioni con l’annuncio di una speranza. Questo avviene in Lam 3,1-19.

L’altro modo è quello di affrontare direttamente i passi più inquietanti o accusatori per cercare di dare ad essi una risposta immediata.

Le riletture interpretative si ritrovano secondo Nason in Is 40–54, nel Targum ’ekāh e nel Midraš ’ekāh rabbāh. Sion/Gerusalemme è menzionata spesso in Is 40–55, dove si parla anche della sopravvivenza di Sion e dell’uomo sofferente in Is 49–54, quando menziona il servo sofferente, in forma quasi alternata.

La comunità degli esiliati e quella rimasta in Giuda cercano un “linguaggio comune” e un insieme di simboli per prendersi reciprocamente in considerazione e darsi un senso. Is 48 parla dell’uscita del popolo da Babilonia e del ritorno nella propria terra ad opera di YHWH e del suo servo. In Is 49,14-26 YHWH risponde al sentimento di abbandono provato, annunciando il “conforto” invocato in Lamentazioni con l’annuncio del ritorno dei figli di Sion.

Riletture

La sopravvivenza è espressa anche nella tradizione rabbinica. Il Targum a Lamentazioni non è solo traduzione, ma interpretazione ed esegesi. Esso riflette il periodo immediatamente successivo alla distruzione del Secondo Tempio.

Nel Midraš ’ekāh rabbāh è riflessa soprattutto la vita in eccedenza. Nason cita due passi del midrash in cui viene espressa la risposta di YHWH alla perdita dei figli e circa il loro ritorno. Dio è coninvolto emotivamente nella tragedia e si immagina una vita restaurata. La risposta di Dio fa riferimento a una punizione dovuta al peccato. Dio chiama come testimoni i patriarchi, Abramo, la torah e le sue lettere, ma tutti si rifiutano di testimoniare contro Israele. Rachele intercede per i figli che non sono più e Dio promette il ritorno dei figli alla loro terra.

Teodicea e antiteodicea

Secondo Nason, in Lamentazioni c’è un sottile equilibrio fra tesi di teodicea e di antiteodicea. Spesso si giustifica la tragedia con la colpa commessa da Israele, ma altri testi accusano direttamente Dio di essere diventato nemico del suo popolo. Nason cita pensatori moderni e le loro diversificate riflessioni in proposito.

Lo studioso chiude il suo volume con alcune riflessioni sul sopravvivere… nonostante tutto (pp. 177-185). Anche di fronte all’ostinato silenzio di Dio, gli oranti non si arrendono. La loro speranza sta nelle parole dell’uomo di Lam 3 il quale afferma che la fedeltà di YHWH si rinnova ogni mattina (Lam 3,22-239, nell’invocazione di Sion a YHWH perché guardi la propria situazione, nelle esortazioni del poeta che esorta Sion a gridare giorno e notte (Lam 2,18-19). C’è un desiderio di giustizia, spazi di riconoscimento e di catarsi che spianano la strada alla via della giustizia nelle voci della comunità che supplica Dio di farla tornare a lui (5,21).

Secondo Nason, nei testi di Is 34–66 sembra essere presente un tentativo di risposta agli angoscianti interrogativi posti da Lamentazioni.

In Is 34–66 si rammenta un progetto di Dio di far tornare gli esiliati, con il racconto di questo e la certezza che YHWH mantiene l’alleanza e restaurerà Sion. In Is 55 c’è l’esortazione propriamente detta, mentre Is 55–66 riporta l’istruzione profetica sulla comunità restaurata a Sion. In Is 49,14-15.19-22 si trovano gli stessi verbi di Lam 5,20. Sembrano esserci degli intenzionali rapporti letterari e teologici tra Lam 2,13-19 e Is 51,17-22 e 62,6-7.

Alla ricca bibliografia (pp. 186-212) – che cita le fonti del testo biblico, i testi rabbinici, i commenti e gli studi – segue la Postfazione a cura di Giampaolo Anderlini. Egli conferma il lavoro di Nason e ne pone in luce il valore con ulteriori cinque note marginali che concorrono a enucleare i problemi interpretativi esegetico-teologici posti da Lamentazioni. Sono domande che forse rimarranno irrisolte per sempre, ma di cui è onesto prendere atto con senso di responsabilità.

Libro tecnico, che si pone tra i pochi commentari dedicati a questo libro biblico carico di dramma, ma pure sempre aperto alla flebile speranza nella fedeltà di Dio anche nella più grande e tragica sofferenza, segnata dal silenzio di Dio.

  • LUIGI NASON, La poetica del silenzio di Dio. Il libro delle Lamentazioni. Introduzione, tradizione e commento a cura di LUIGI NASON, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2022, pp. 250, € 16,50, ISBN 97888889712817.
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