Vangelo di Giovanni

di:

casneda

Il Vangelo di Giovanni contiene la beatitudine assicurata da Gesù risorto: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto». Ma come si potrà ancora credere in Gesù senza più vederlo nel tempo successivo al suo ritorno al Padre? Qual è il rapporto tra vedere e credere? Si può concludere sulla possibilità di credere senza vedere tramite la testimonianza del libro? La studiosa Alessandra Casneda dimostra che questo è possibile.

Sono questi i temi di fondo che la monaca benedettina, laureata in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, affronta nella sua tesi di dottorato che conclude i suoi studi al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Attualmente insegna esegesi del vangelo di Giovanni presso lo Studio teologico delle Benedettina Italiane, annesso al Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma.

La tesi non esamina il c. 20 del Vangelo di Giovanni (= Quarto Vangelo, QV) solo a livello esegetico, ma si serve del metodo narrativo per cogliere l’intreccio tematico e drammatico che l’autore del Vangelo ha intessuto fra i vari episodi distinti del primo giorno di Pasqua che condivide coi Sinottici (20,1-10.11-18.19-23: scoperta della tomba vuota, il via vai dal sepolcro, la presenza di figure angeliche, l’incontro con Gesù risorto, l’invio in missione).

Essi vengono raccontati in modo da ottenere due effetti. Il primo è quello di mostrare come la nascita della fede pasquale non dipenda per nessun discepolo dalla percezione visiva fisico-materiale del Risorto, ma si sviluppi secondo una modalità valida anche per quanti non potranno più vedere Gesù. Il secondo effetto è quello di coinvolgere il lettore in un’operazione adatta a renderlo informato, formato e competente in vista della decisione che sarà invitato a prendere alla fine della lettura.

Il capitolo 20 del Vangelo di Giovanni: analisi narrativa

Nell’introduzione (pp. 7-32), l’autrice espone lo scopo e l’ipotesi della ricerca, ripercorre la storia della ricerca su Gv 20 e rimarca tre osservazioni per impostare lo studio di Gv 20: 1) Il lessico giovanneo del vedere; 2) Vedere e credere (con la distinzione dei livelli narrativi intradiegetici ed extradiegetici); 3) Il rapporto col macro racconto.

Nel c. I (pp. 33-72) Casneda elenca le note di metodo, la delimitazione e l’articolazione di Gv 20. Si descrive il metodo dell’analisi narrativa e semiotica (con attenzione ai segni giovannei) e si identificano quattro scene con altrettanti programmi narrativi: 20,1-10.11-18.19.23.24-29. Essi sono conclusi da un finale extradiegetico (vv. 30-31).

Il c. II (pp. 73-150) esamina Gv 20,1-10. Seguendo i suggerimenti del metodo narrativo, si individua dapprima l’intreccio: esposizione, complicazioni, verso la soluzione, commento del narratore, conclusione.

Casneda compie quindi un affondo sui personaggi (Maria di Magdala, Pietro e il discepolo amato posti a confronto, Gesù), delinea il percorso del lettore tra background, suspense e tecniche narrative (suspense, showing e punto di vista; telling: spiegazioni, segni scritti e nuova suspense).

Nelle osservazioni conclusive annota il fatto di credere nel Risorto vedendone il segno e la necessità di leggere e decodificare i segni.

Il c. III (pp. 152- 250) analizza Gv 20,11-18. L’autrice compie dapprima una preliminare precisazione di metodo. Si studia il senso e il ruolo nella storia dell’incontro di Maria di Magdala con due angeli (criterio della caratterizzazione, criterio dell’anagnṓrisis, criterio del parallelismo, criterio del lettore).

L’intreccio vede una nuova esposizione (v. 11a), il presentarsi di molte complicazioni, di una difficoltà e il progresso verso la soluzione (vv. 11b-15). C’è il superamento della difficoltà (20,16, con annotazioni su anagnṓrisis e peripéteia), a cui seguono il rimbalzo dell’intreccio (20,17) e la conclusione (20,18).

Si descrive il percorso narrativo di Maria di Magdala, si compie un affondo sul suo personaggio e su quello degli angeli e si esamina il percorso del lettore (background: il differente grado di conoscenza fra il lettore e il personaggio; suspense, sorpresa e showing; l’anagnṓrisis o riconoscimento di Maria e l’impasse del lettore, telling). Si traggono delle osservazioni conclusive sul vedere il Risorto riconoscendone il segno e sul credere nel Signore leggendo.

Si elencano le questioni risolte e quelle aperte e si delinea il rapporto tra i modelli compositivi di 20,11-18. Essi sono: l’articolazione e l’ermeneutica del passo secondo i vari principi compositivi (comparsa/scomparsa dei personaggi, loro caratterizzazione, dialoghi/discorsi, parallelismo di somiglianza tra l’angelofania e la cristofania, l’anagnṓrisis) e l’organizzazione dei principi compositivi.

Il c. IV (pp. 251- 314) procede con lo stesso metodo nell’analisi di Gv 20,19-23. Due premesse di metodo espongono dapprima le incongruenze narrative e le difficoltà esegetiche e poi l’intreccio e gli altri modelli compositivi. L’intreccio mostra una nuova esposizione (v. 19a), una prima serie di complicazioni (vv. 19b-20: la venuta di Gesù; il saluto di pace; la visione del Risorto come anagnṓrisis) e una seconda serie di complicazioni (vv. 21-23: la ripetizione del saluto di pace; l’invio dei discepoli; il dono dello Spirito; il potere di perdonare i peccati).

Nella sintesi si delinea il completamento dell’iter di formazione discepolare e il rapporto tra l’intreccio e gli altri modelli compositivi. L’affondo sui personaggi riguarda Gesù e i discepoli. Il percorso contiene la descrizione del lettore di primo e secondo livello, la sorpresa e suspense, showing, telling e nuovi segni scritti: tra lettura e decisione di fede. Nelle osservazioni conclusive si ricordano il tema del vedere il Risorto e i suoi segni per conoscere il Figlio e si riprende il tema del leggere per credere. Si ricordano, infine, le questioni irrisolte e aperte.

Nel c. V (pp. 315-358) si studia Gv 20,24-29. L’intreccio prevede una nuova esposizione (20,24) su Tommaso detto Didimo, uno dei Dodici assente alla venuta del Risorto. Una nuova azione (v. 25) comprende l’inizio dell’azione, la complicazione, la soluzione della complicazione e la fine dell’azione. I vv. 26-28 contengono una nuova esposizione, il superamento della difficoltà di Tommaso, l’anagnṓrisis di Gesù come confessione di fede nel Signore e Dio (v. 28). La conclusione (v. 29) contiene la conferma del Risorto dell’autenticità dell’anagnṓrisis (riconoscimento) di Tommaso e il macarismo.

Nella sintesi si descrive il percorso narrativo di Tommaso e il suo rapporto col lettore. L’affondo sui personaggi riguarda dapprima Tommaso, un personaggio costruito tramite ironia, fraintendimento e confronto fra le voci. Si esamina di seguito l’effetto della costruzione di Tommaso nella cooperazione di lettura, la figura dei discepoli e quella di Gesù. Il percorso del lettore si delinea tra sorprese, suspense e rinnovata curiosità. Si tratta di una vicenda che solleva dubbi e perplessità su Tommaso, sul futuro prospettato al lettore ma che trova risposte e chiarimenti. È un personaggio e una vicenda per lettori di secondo livello. Le osservazioni conclusive si soffermano sul voler vedere il Risorto per credere e la beatitudine assicurata a colui che crede senza aver visto il Risorto.

Il c. VI (pp. 359-368) esamina i vv. 30-31. Due difficoltà esegetiche riguardano il significato di sēmeia (segni) e la scelta da compiere tra il congiuntivo aoristo e il congiuntivo presente della proposizione finale: affinché «cominciate a credere/affinché crediate». Cambierebbero le interpretazioni circa la proposizione finale, i destinatari e le intenzioni del Quarto Vangelo.

Chi sceglie il congiuntivo aoristo vi vede un valore ingressivo («affinché cominciate a credere») e allora lo scopo del Vangelo di Giovanni sarebbe quello di suscitare la fede in chi ancora non crede e il racconto giovanneo avrebbe un intento missionario.

Chi opta per il congiuntivo presente enfatizza il processo in atto e traduce «affinché continuiate a credere», ossia crediate più profondamente. Il Quarto Vangelo avrebbe in questo caso lo scopo di approfondire la fede della comunità credente.

Per altri, la questione dei destinatari e dello scopo del Quarto vangelo non può essere risolta solo su base grammaticale, in quanto l’autore può aver fatto uso dell’aoristo o del presente in modo inaccurato.

Per l’autrice non è necessario scegliere. Il libro dei segni e la comunità credente – a cui il libro rinvia come luogo in cui sperimentare la presenza dello Spirito, l’ermeneuta e l’attualizzatore della persona di Gesù – «appaiono così offerti come mediazioni formidabili di un percorso possibile anche per un lettore di primo livello, inesperto e non necessariamente già credente» (p. 363).

La studiosa analizza quindi il finale a sorpresa dei vv. 30-31. Essi parlano di segni fatti e di segni scritti, di credere tramite i segni e di credere che Gesù è il Figlio di Dio per avere vita nel suo nome. È necessaria una nuova cooperazione di lettura.

Conclusione: credere senza vedere, il libro, l’analisi narrativa

Il c. VII (pp. 369-374) espone la conclusione del lavoro. Essa si articola in due paragrafi: 1) credere senza vedere tramite la testimonianza del libro; 2) il contributo dell’analisi narrativa allo studio di Gv 20.

Lo studio della Casneda, condotto secondo l’analisi narrativa e semiotica, mette in luce l’intreccio tematico e drammatico fra le varie scene di Gv 20. I quattro episodi narrati sono accomunati dal ruolo del vedere nella nascita della fede pasquale.

Riportiamo ampi stralci delle sintetiche ma decisive conclusioni tratte dall’autrice, difficili da riassumere altrimenti.

Credere senza vedere tramite la testimonianza del libro

Il macarismo annunciato da Gesù a Tommaso rassicura il lettore del fatto che, qualora si deciderà a credere, gli sarà riservata la beatitudine di credere senza vedere. Il finale extradiegetico subentra poi a precisare i termini in cui questa esperienza sarà possibile: il credente del tempo post-pasquale ha a disposizione il libro che narra i segni compiuti da Gesù, rivelatori della sua identità di Signore Figlio di Dio. «Recuperando la tradizione sapienziale per cui il libro è ponte fra le generazioni e benedizione attraverso i tempi, il QV trasforma l’impossibilità di vedere il Risorto nella grazia di una fede sapiente, che sa scorgere e accogliere nella testimonianza del libro e dei suoi protagonisti il fondamento su cui poggiarsi» (pp. 369-370).

Prima dell’ultima vicenda di Tommaso e del finale, il QV colloca nel c. 20 una serie di racconti – i racconti del primo giorno (20,1-10.11-18.19-23) – dove i fatti relativi alla risurrezione di Gesù che il QV condivide coi Sinottici (la scoperta della tomba vuota, il via vai dal sepolcro, la presenza di figure angeliche, l’incontro con Gesù risorto, l’invio in missione) vengono raccontati in modo da ottenere due effetti.

Il primo è quello di mostrare come la nascita della fede pasquale non dipenda per nessun discepolo dalla percezione visiva fisico-materiale del Risorto, ma si sviluppi secondo una modalità valida anche per quanti non potranno più vedere Gesù.

Il secondo effetto è quello di coinvolgere il lettore in un’operazione adatta a renderlo informato, formato e competente in vista della decisione che sarà invitato a prendere alla fine della lettura.

Nei tre racconti del primo giorno la percezione visiva svolge una funzione di primo piano, sia nel percorso narrativo dei protagonisti, sia nella loro trasformazione in testimoni oculari della risurrezione di Gesù. Mai, però, è la mera visione del Risorto a condurre alla fede.

La percezione visibile fa parte di un processo conoscitivo che include vari elementi: la presenza di un segno che attiva una dinamica di riconoscimento, la capacità di decodificazione del segno, l’apertura alla rivelazione in atto, la disponibilità a farsi coinvolgere nell’iter della sequela post-pasquale che la rivelazione mette in moto…, oltre che – orizzonte ultimo di ogni vicenda – la libera volontà di rivelarsi e farsi riconoscere da parte del Risorto.

I racconti del primo giorno informano su quanto accaduto e ne certificano la solidità proprio grazie alla presenza di discepoli divenuti testimoni oculari. La fede dei testimoni, però, non appare mai vincolata alla visione del Risorto, sottolinea l’autrice. Al contrario, le primissime esperienze pasquali si sviluppano in modo che risulta valido anche per chi, come il lettore del tempo post-pasquale, non potrà più godere della visione di Gesù. Questi, infatti, potrà vivere un’esperienza analoga a quella dei discepoli della prima ora, non perché vedrà il Risorto, ma perché avrà a disposizione i suoi segni e tutte le indicazioni necessarie su come tali segni possano essere riconosciuti e decodificati.

Alla fine del libro – secondo la studiosa – il lettore viene posto dinanzi alla spiegazione dei suoi intenti e deve decidere se accogliere la testimonianza e credere in Gesù Cristo Figlio di Do. Egli, però, dovrebbe essere ormai entrato in possesso di un bagaglio informativo e formativo tale da poter valutare in modo autonomo e competente se la testimonianza su Gesù e la proposta del racconto siano valide e meritevoli di fiducia. L’intenzione della strategia narrativa è infatti è quella di coinvolgere il lettore non solo a livello timico, ma anche cognitivo, spingendolo progressivamente verso una valutazione personale del narrato.

Le vicende di Gv 20 vengono così offerte come racconto paradigmatico – informativo e formativo ad un tempo – della comprensione giovannea del rapporto tra vedere e credere nel tempo post-pasquale, in modo che il lettore possa maturare una posizione personale consapevole e fondata.

Le vicende del primo giorno della settimana assumono un vero carattere fondativo per il futuro della comunità dei discepoli, non solo in forza dei fatti che vi accadono, ma anche in forza del modo con cui tali fatti vengono consegnati ai futuri credenti. Quando il lettore giungerà alla vicenda di Tommaso – annota Casneda – il discepolo che si trova come lui a dover credere senza vedere, avrà strumenti e informazioni sufficienti per valutare il libro, la storia e sé stesso.

Il contributo dell’analisi narrativa allo studio di Gv 20

L’autrice espone cinque contributi maggiori degni di nota.

  • L’applicazione del metodo narrativo ha offerto un apporto indispensabile per impostare la ricerca sul rapporto fra vedere e credere in modo coerente coi dati del racconto evangelico.

La distinzione dei livelli discorsivi (identificabili stabilendo «chi dice cosa a chi») applicata ai tre incisi giovannei che hanno per oggetto il racconto stesso (19,35; 20,30-31; 21,24) chiarisce che, se ai personaggi del libro spetta di vedere e credere, al lettore spetta invece di leggere e credere sulla base dei segni compiuti da Gesù e raccontati nel libro.

Una tale comprensione rende inconsistente – secondo Casneda – la linea ermeneutica per cui nel QV vedere e credere si escludono e lascia emergere le due vere difficoltà sollevate dal racconto giovanneo: a) Come si articolano il vedere e il credere nello sviluppo degli intrecci e nel percorso dei personaggi di Gv 20; b) In che modo leggere del Risorto e della visione che i suoi discepoli ebbero di lui e dei suoi segni è in grado di orientare il percorso di un lettore che non più vedere nulla, ma che alla fine del libro è interpellato sulla fede?

L’identificazione dei due livelli discorsivi e delle rispettive difficoltà ha deciso l’impostazione dell’analisi, assestata su una netta distinzione del livello intra- ed extradiegetico, e ha permesso di ottenere i risulti sopra menzionati.

Va ricordato che i tre incisi di 19,35; 20,30-31; 21,24 non riguardano solo Gv 20, ma tutto il QV. Pertanto, non solo Gv 20 ma tutto il QV prevede la presenza di due livelli discorsivi. Inoltre, la questione del ruolo del vedere nella fede dei personaggi e la questione della fede del lettore sono già presenti in Gv 1–19. Per chiarirle è necessario anche in quei testi distinguere il livello intradiegetico e quello extradiegetico. L’approccio narrativo al QV appare fecondo ben oltre lo studio di Gv 20.

  • Lo studio degli intrecci ha chiarito la natura dei programmi di Giovanni 20: si tratta di episodi relativamente autonomi, imbricati fra loro in modo da presentare un intreccio complessivo unificato, sia a livello tematico sia a livello drammatico.

L’unificazione tematica è piuttosto evidente, dato che ciascun episodio ripropone gli stessi temi: narra gli eventi relativi alla risurrezione di Gesù, inclusa la nascita della fede pasquale dei suoi discepoli, come realizzazione delle promesse dei discorsi d’addio, problematizzando il ruolo del vedere attraverso una scena di anagnṓrisis. Il tema unificante dell’intero capitolo è dunque il ruolo del vedere nella fede pasquale.

L’intreccio complessivo, d’altra parte, presenta anche un’unificazione drammatica. Ogni episodio è collegato al precedente e al seguente in forza delle istanze narrative (coordinate spazio-temporali e personaggi) e, soprattutto, in forza di una trama di situazione che, da un lato, prevede la conclusione dell’azione intrapresa – elemento essenziale perché si possa parlare di episodio – e, dall’altro, rimane aperta, o perché avvio di una nuova complicazione che fa rimbalzare l’intreccio, o perché spalancata su un futuro (quello dei protagonisti) che non viene narrato. Inoltre, all’incedere di una trama di situazione, viene sviluppata anche una trama di rivelazione che ha per oggetto Gesù, la sorte dei suoi e il futuro post-pasquale del credente.

La rivelazione appare graduale: ogni episodio completa le informazioni trasmesse da quelle precedenti e, al contempo, solleva domande che trovano risposta in quelle successive. In questo modo, il tema che accomuna i quattro episodi – il ruolo del vedere nella nascita della fede pasquale – viene portato avanti mediante uno sviluppo drammatico e non semplicemente giustapponendo gli episodi. Un disegno narrativo presiede alla composizione del capitolo.

  • Secondo l’autrice, l’analisi narrativa ha offerto plausibilità e ragion d’essere alle tensioni narrative evidenziate dagli studi storico-critici.

Le discontinuità fra un episodio e l’altro sono interpretabili come elementi tipici dell’incedere di qualsiasi intreccio ben orchestrato, capace di creare tensioni attraverso il sapiente gioco di complicazioni risolte e rilanciate. Invece, le incongruenze interne ai vari episodi appaiono come caratteristiche proprie dello stile giovanneo (così le ripetizioni con variazioni, le scene o azioni doppie ecc.). In particolare, la decisione di lasciare allo sviluppo della storia di colmare i gaps con l’informazione attesa o con altre informazioni al posto di quelle taciute ha permesso di seguire con maggior chiarezza lo sviluppo delle storie e la rivelazione in corso.

Si è così assodato quanto ipotizzato fin dall’inizio dello studio: chi ha presieduto alla stesura del c. 20 è un abile scrittore, non solo per la maestria con cui adopera l’ironia, la sýgkrisis o il meccanismo dell’anagnṓrisis, ma anche per la capacità di dar vita a un racconto chiaramente attraversato da una strategia narrativa d’insieme che risponde all’intenzione complessiva del libro, descritta nel finale. Anche qualora abbia lavorato con materiale eterogeneo e di diversa provenienza, ha saputo sfruttare con destrezza e intelligenza le inevitabili fratture e lacune, a favore di un disegno che, nel suo insieme, ci consegna come narrativamente riuscito e teologicamente coerente.

  • Gli strumenti narrativi hanno permesso di valutare non pochi dei problemi esegetici che quasi ogni

pericope di Gv 20 ha sollevato nel corso degli studi giovannei (cf. il rapporto fra 20,8 e 20,9 o la difficoltà dell’uscita di scena silenziosa del discepolo amato in 20,10).

  • Il supporto della semiotica ha permesso di chiarire il meccanismo delle scene di anagnṓrisis e ha

posto in maggior luce la correlazione esistente fra forma espressiva e contenuto del racconto evangelico. Si pensi all’emersione della struttura segnica di alcuni episodi o all’identificazione del ruolo di showing e telling nella costruzione del significato del racconto.

L’opera si conclude con le sigle e abbreviazioni (pp. 375-380), la bibliografia (pp. 381-404: fonti, strumenti, studi), l’indice delle citazioni bibliche (pp. 405-414), l’indice degli autori (pp. 415-418) e quello generale (pp. 419-425).

Siamo di fronte a una tesi di dottorato davvero brillante, complessa e ricca di risultati. Il taglio è tecnico e richiede la conoscenza delle metodologie di studio legate all’analisi narrativa e semiotica.

Il metodo narrativo ha il grande merito di far gustare le movenze del testo, interpellando da vicino la cooperazione del lettore. Esso integra e ingloba in sé il metodo storico-critico, arricchendolo di apporti ermeneutici non altrimenti raggiungibili.

Secondo Casneda, in Gv 20 si evince chiaramente che un disegno narrativo presiede alla sua composizione, permettendo di giustificare la plausibilità e la ragion d’essere della presenza di tensioni narrative evidenziate dagli studi attuati col metodo storico-critico.

  • ALESSANDRA CASNEDA, Giovanni 20. Uno studio narrativo (Analecta Biblica 241), Gregorian & Biblical Press, Roma 2023, pp. 432, € 40,00, ISBN 9791259860217.
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