
In tempi di estremismi e di appiattimenti, di semplificazioni e di disabitudine all’analisi, le continue discussioni sulla guerra e i conflitti di cui si ha notizia, fanno emergere un discorso spesso binario, bellicista o pacifista con posizioni radicali ed estreme, «senza se e senza ma». Ci sono figure e testimonianze che ci aiutano a contrastare la tendenza ad appiattire e a trincerarsi in posizioni a volte troppo facili.
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Attilio Bolzoni, durante un incontro pubblico al quale ho assistito, diceva che chiunque va contro vento, che sia giornalista, infermiere, sacerdote o missionario, viene osteggiato, amato e odiato. Mi viene in mente la figura e l’operato di Padre Paolo Dall’Oglio. Ne ho parlato con Riccardo Cristiano, fondatore dell’associazione giornalisti amici di padre Paolo e autore del libro su Dall’Oglio dal titolo Una mano sola non applaude. Gli ho chiesto se padre Paolo può essere considerato un rivoluzionario, uno che sparigliava le carte, alla maniera di don Lorenzo Milani, per esempio. Gli ho ricordato una frase (anche una prassi?) di padre Paolo riportata nel suo libro Il mio testamento (pubblicato nel 2023, nel decennale del suo rapimento a Raqqa): «Per obbedire bisogna saper disobbedire». Cristiano mi risponde così: «Sì, perché obbedire senza sapere disobbedire può voler dire essere acquiescenti».
Padre Paolo ha saputo disobbedire ma anche obbedire, era infatti un sacerdote gesuita. Certo, come si vede nel docufilm Padre Dall’Oglio (uscito nel 2024, disponibile su RaiPlay), ha spesso disobbedito (a logiche troppo umane?) per obbedire a quel Dio di cui lui stesso, in un passaggio del film, dice, per raccontare la sua vocazione: «Vuoi essere mio?», sono le parole che Dio gli rivolge.
Essere di Dio forse è anche o soprattutto spendere la propria vita senza filtri e senza risparmiarsi? Arturo Paoli, nel libro Liberare la relazione umana, pronuncia quelle parole che ancora oggi interrogano chiunque, laico o religioso, si confronti con certe domande o scelte di fondo: «La scelta del celibato io la intendo come una missione a essere guerrillero, rivoluzionario». Padre Paolo Dall’Oglio rientrava in pieno in questo filone, in questa «tradizione». Forse quando Arturo Paoli lo scriveva, cinquant’anni fa, il contesto culturale e spirituale (e politico) era più preparato, una certa coscienza era più diffusa?
Paolo, come disse affettuosamente una signora di Bordighera venuta alla presentazione del mio libo Welcome in Siria, che lo aveva incontrato più di trent’anni fa, «era un cavallo pazzo». I folli di Dio, probabilmente, oltre che scuotere le coscienze, non sanno aspettare i tempi «troppo umani». Tonio Dellolio, di Pax Christi Italia, mi ha raccontato che poco prima di andare a Raqqa, cioè prima del suo ultimo viaggio in Siria (tranne che non si scoprirà qualcosa, la speranza è sempre l’ultima a morire), Paolo voleva organizzare un gruppo di persone disarmate che andassero in Siria, come corpi di pace, sul modello della marcia dei 500 che organizzò don Tonino Bello a Sarajevo nel dicembre del 1992.
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Ho parlato con Nello Scavo di questo paragone tra padre Paolo e don Tonino Bello, lui da inviato di guerra che ha trascorso negli ultimi anni molto tempo in Ucraina, pur condividendo l’ispirazione di don Tonino Bello, mi faceva notare che, in generale, non è così semplice oggi fare «come don Tonino Bello», sia perché sono cambiate le tecnologie belliche negli ultimi trent’anni, sia perché, come ammettono anche i volontari dell’Operazione Colomba che stanno sul fronte in Ucraina, «la contraerea non puoi evitarla o liquidare l’uso di armi come una violazione della nonviolenza».
Mi disse anche di essere stato contestato da certi pacifisti «duri e puri» in qualche incontro pubblico per aver detto queste parole. Io, da obiettore di coscienza al servizio militare e da cattolico antimilitarista, mi voglio fare interrogare, soprattutto dalle parole di padre Paolo riportate in un documento di Riccardo Cristiano dal titolo «Autodifesa e nonviolenza in Paolo Dall’Oglio».
Rinvio alla lettura di quel documento ma vorrei riportare almeno un passaggio, quello in cui si racconta di due ragazzi siriani che chiedono, nel 2012, a padre Paolo, la benedizione per andare a combattere «chi voleva uccidere i loro cari, violentare le loro donne, torturare i loro figli. Questi gli dicevano: “Abuna (padre), oggi partiamo per Homs, per combattere. Siamo venuti a domandare la tua benedizione e l’elemosina della tua parola”. Paolo, a Musa, uno dei due giovani, rispose: “Voi andate a combattere. Ma se un giorno smetterete di riconoscere la dignità umana del vostro nemico perderete la vostra, e per il Paese sarà finita” (…). Il più giovane dei due disse: “Sì bisogna astenersi dal compiere atti mostruosi, inumani, evitare di diventare belve”».
A tal proposito, Benedetto, dottorando di Siena, che segue le vicende del Rojava, fa notare che i curdi che combattevano contro i jihadisti dell’ISIS, fino a meno di dieci anni fa, «seppellivano i corpi dei miliziani che erano stati uccisi durante la battaglia». Credo di poter raccontare dal di dentro alcuni snodi cruciali collegati ai conflitti sociali e alle insurrezioni popolari degli ultimi venti anni, perché ho partecipato, da reporter indipendente che ha avuto la possibilità di vivere per lunghi periodi in certi territori, a varie mobilitazioni dal basso soprattutto in Val di Susa ma anche in altre località. Quello che ho notato è che sia a livello mediatico che a livello di base, c’è una tendenza forte alla colpevolizzazione, a indietreggiare e, soprattutto, a evitare di gestire i conflitti, a rimuoverli quindi, e la difficoltà di discutere su temi come la nonviolenza, appunto.
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Un po’ di anni fa in una casa occupata da anarchici, a Firenze, trovai un libricino dal titolo I malintesi della nonviolenza, credo di un certo Enrico Peiretti ma non ne sono sicuro (ho perso le tracce di quel libricino denso e interessante). Riccardo Cristiano, il 2 dicembre di quest’anno, alla sala stampa della Camera dei deputati, in un incontro per presentare il libro Welcome in Siria, ha citato degli esempi per spiegare cosa significa «nonviolenza attiva», riferendosi alla testimonianza di Paolo Dall’Oglio. Anche papa Francesco ha esortato a elaborare maggiormente la nonviolenza attiva che comporta necessariamente una maggiore consapevolezza anche di cosa sia l’autodifesa, quando sia realmente tale e come vada esercitata.
Non ho la pretesa di offrire soluzioni o proposte preconfezionate, solo di offrire qualche spunto per contribuire, nel mio campo, che è quello della lotta dal basso, nonviolenta, cosciente che la pace è, per dirla con don Tonino Bello, «un cammino in salita». Paolo Dall’Oglio, a tal proposito, affermava: «Se è vero che credo nell’azione nonviolenta, non credo invece al diritto di giudicare l’opzione di autodifesa armata delle vittime di un regime torturatore e liberticida come quello di Assad, in un’indifferenza mondiale totale».
Sperimento da diversi anni, in modo anche individuale, la possibilità di sostenere uno scontro, un conflitto quotidiano, applicato soprattutto all’autogestione dei mezzi di trasporto pubblici, ho riportato veri spunti in un libro e in un monologo teatrale ma anche in altri scritti sparsi. Ho sperimentato e sperimento spesso la possibilità di «mantenere l’umanità» pur confliggendo, perché a livello psicologico, non esprimere le proprie emozioni o frustrazioni, porta a una forma di depressione individuale e collettiva, quindi politica.
In quel libricino sui malintesi della nonviolenza (ma anche in altri testi) ho letto che Gandhi diceva che è preferibile una risposta attiva, anche violenta, a una violenza istituzionalizzata, anziché una complicità passiva con quella stessa violenza che viene dall’alto. Questo discorso potrebbe e dovrebbe avere una declinazione quotidiana a mio avviso, altrimenti si rimane nell’ambito dell’occasionalità (una manifestazione di piazza o il voto ogni cinque anni o altre ritualità importanti che perdono sostanza se non declinati nel quotidiano con uno sforzo creativo costante).
Anche il discorso dell’Educazione alla legalità, per tornare ad Attilio Bolzoni, se diventa «rito» non produce anticorpi, si veda il suo ultimo libro dal titolo Immortali, Perché la mafia è tornata a come era prima di Falcone, con spunti interessanti. Noi viviamo in un tempo povero di rielaborazione e di analisi.
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Riccardo Cristiano, sempre lo scorso 2 dicembre a Roma, faceva notare che dovremmo confrontarci, quando affrontiamo il discorso dell’autodifesa, con l’esperienza dei partigiani che fino al 1945 hanno dovuto usare le armi per difendersi dai nazifascisti. Io dico che si può guardare anche ai più recenti movimenti dal basso in Italia, negli anni Settanta, ma anche da prima, talmente importanti che in Francia è uscito un libro dal titolo Les autoreductions italiens. Si riferisce alle azioni dirette da parte di molti operai e delle loro famiglie, che si rifiutavano di pagare le bollette, i mezzi pubblici, l’affitto o occupavano gli alloggi sfitti, senza armi! Per non parlare delle varie forme di lotta armata che ci porterebbe oltre il nostro discorso. Ma bisogna stare attenti al rischio di non affrontare anche questo trauma in quanto anch’esso è uno snodo: discutere è sempre meglio che rimuovere, scandagliare è sempre meglio che perdere un’occasione di capire la realtà, studiare è sempre meglio che trascurare.
Non posso dimenticare una fiaba che avevo trovato tempo fa in un libro per bambini, dal titolo Sognando l’India. La fiaba l’avevo trovata nella pagina dal titolo N come nonviolenza. C’era un serpente che stazionava alle porte di un villaggio e divorava tutti quelli che entravano nel villaggio. Un giorno passò un saggio e il serpente voleva divorare anche lui. Il saggio gli chiese perché voleva mangiare tutti quelli che passavano da lì. Gli parlò a lungo di pace di nonviolenza. Il serpente si persuase delle parole del saggio e gli promise che non avrebbe divorato mai più nessuno, anzi: non avrebbe più sibilato. Da allora chi passava di lì cominciò ad approfittare della sua mansuetudine provocandolo, addirittura qualcuno, visto che il serpente neanche sibilava, lo prendeva a bastonate. Un giorno ripassò il saggio e gli chiese come mai avesse subito le botte senza neanche sibilare. Il serpente rispose che questa era stata la sua promessa. «Ma io ti avevo detto di non divorare quelli che passano da qui, non di subire provocazioni e aggressioni senza neanche sibilare». Da allora il serpente ricominciò a sibilare quando qualcuno lo provocava o provava a colpirlo, e così ritrovò un equilibrio tra sé e gli altri.
Una volta ho visto un documentario sulle occupazioni delle terre incolte in Sicilia, negli anni Cinquanta dello scorso secolo. Uno degli anziani intervistati che aveva partecipato a quelle mobilitazioni, concluse così il suo discorso: «Una volta riuscivamo a lottare per difendere i nostri diritti e le nostre terre, oggi siamo diventati curnuti pacifici». Sarebbe a dire curnuti e mazziati.
A livello profondo, ci sarebbe un lavoro da fare, che costa fatica emotiva ed elaborazione, l’ho fatto nel mio percorso, da quando ho scelto di fare l’obiezione di coscienza al servizio militare scegliendo di fare il servizio civile. Da poco, anche grazie a padre Dall’Oglio, sto smantellando alcuni dogmi o snodi che per diversi motivi vengono poco o niente trattati e discussi nella quotidianità. Forse questo lavoro deve partire dalla riappropriazione della memoria storica, collettiva e individuale.
A un seminario della Rete Radiè Resch, nel 2000, un antropologo angolano, Pedro Miguel, disse che i giovani nati negli anni Settanta, in Africa, avevano trovato i loro paesi decolonizzati, ma il prezzo da pagare per la decolonizzazione era alto, un prezzo psicologico, emotivo e politico: «la cancellazione della memoria storica». Penso che lo stesso, mutatis mutandis, sia avvenuto in Europa e altrove e non riguarda solo i nati negli anni Settanta. A volte anche chi è nato prima, da varie provenienze ideologiche, dimostra di non aver mai elaborato fino in fondo la perdita di un certo sapere quotidiano e storico, il saper conciliare autodifesa e nonviolenza.
Laureato in materie letterarie all’Università cattolica, con una tesi di laurea sulla letteratura degli emigrati italiani in Belgio, Angelo Maddalena è reporter indipendente e scrittore, autore e interprete di monologhi teatrali e canzoni. Nel 2025 ha pubblicato Welcome in Siria, surreal tour (Sikè). Su Paolo Dall’Oglio, l’autodifesa e la nonviolenza, cf. Riccardo Cristiano, «Paolo Dall’Oglio: autodifesa e nonviolenza», pubblicato su SettimanaNews lo scorso 29 luglio 2023





