“Caso Becciu”: verso la sentenza

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Il cosiddetto “Caso Becciu” è in vista della sentenza conclusiva del processo. Riceviamo da Andrea Paganini, che si è impegnato in modo approfondito a seguire la vicenda (scrivendone anche su queste pagine), la sua ricostruzione dei passaggi fondamentali del “Caso Becciu” che riportiamo di seguito (a questo indirizzo si trova la rassegna stampa da lui curata).

becciu

Il 24 settembre 2020 il cardinale Giovanni Angelo Becciu ha presentato a Papa Francesco la propria rinuncia – forzata – «alla carica di Prefetto della Congregazione dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato» (così ha comunicato la Sala Stampa della Santa Sede). Per più di nove mesi la Santa Sede non ha fornito nessuna spiegazione, ma alcune testate giornalistiche hanno attivato una campagna violentissima e martellante in cui hanno addossato numerose colpe al cardinale. Lui si è proclamato innocente, ha trovato la vicenda surreale e spera che l’equivoco si chiarisca.

Fin dall’inizio ho seguito il “caso Becciu” con grande attenzione; ho poi compilato un’articolata rassegna stampa (consultabile qui), che intende aiutare gli uomini e le donne di buona volontà a farsi un’idea compiuta della vicenda, nella certezza che la verità ci renderà liberi. Tutti. Sempre nella convinzione della sacralità del principio della presunzione d’innocenza, che papa Francesco ha definito «un diritto umano»; fino a prova contraria.

In 14 punti (14 come le stazioni della Via crucis) offro, da una prospettiva che ritengo equilibrata, un riassunto di quanto è emerso negli ultimi tre anni e tre mesi.

  1. Sull’ipotesi di complotto contro il cardinale Pell

Qualcuno – chi? – ha messo in testa al cardinale George Pell, e all’opinione pubblica mondiale, che il cardinale Becciu sarebbe stato un suo nemico e che addirittura avrebbe complottato contro di lui pagando i testimoni dell’accusa nel processo che l’ha visto protagonista in Australia. Era una bufala, ma Pell – strumentalizzato? – è caduto nella trappola, ha esultato alla destituzione di Becciu e ha attivato una campagna giustizialista indegna, bullista e ottusa contro il suo confratello. Si è poi capito che il denaro intercettato dalla giustizia australiana – parecchi milioni di euro – non era… mai stato intercettato (era il frutto di un errore di calcolo), mentre le insinuazioni di complotto risultano malevole e infondate: i soldi mandati in Australia non erano per sostenere l’accusa contro Pell, bensì, viceversa, per finanziare la sua difesa. Un altro versamento poi – come dichiarato dal card. Pietro Parolin – era destinato all’acquisto di un dominio internet, previa l’autorizzazione dello stesso Pell. Nel frattempo, è chiaro che si trattava non solo di una calunnia concepita per mostrificare, ma della calunnia peggiore che si potesse immaginare, perché presupponeva un’odiosa operazione di malizia, di perfidia. I fatti hanno dimostrato che il cardinale Becciu non solo era innocente, ma era la vittima designata di una brutale montatura (orchestrata da chi?), questa sì perfida e perversa.

  1. Sull’Obolo di San Pietro

Qualcuno – chi? – ha attivato un’orchestratissima campagna stampa affermando che la Segreteria di Stato del Vaticano avrebbe utilizzato l’Obolo di San Pietro per compiere degli investimenti immobiliari, o addirittura speculativi; e beninteso dando la colpa all’ex sostituto Becciu. L’Obolo di San Pietro è il denaro che i fedeli di tutto il mondo donano al papa per le necessità della Chiesa (finanziamento della sua missione, della Santa Sede, dello Stato della Città del Vaticano) e per azioni di carità. Ovviamente l’opinione pubblica, scandalizzata, ha sollevato un’ondata di indignazione, poiché i giornaloni titolavano che i soldi per i poveri venivano destinati ad altri scopi. A parte il fatto che papa Francesco ha spiegato, il 26 novembre 2019, che il denaro della Chiesa va saggiamente amministrato («Tenere i soldi nel cassetto non è una buona amministrazione. La buona amministrazione è cercare di fare un investimento e fare in modo che il capitale non si svaluti, si mantenga o cresca un po’. Questa è una buona amministrazione: chiaro?»), e a parte il fatto che la Chiesa da sempre per sostenersi si serve anche di investimenti in campo immobiliare, i fatti emersi al processo hanno dimostrato che l’accusa era una bufala: in realtà nemmeno un centesimo dell’Obolo di San Pietro è stato utilizzato per l’investimento immobiliare di Londra al centro del processo in corso in Vaticano. La domanda ora è: come mai il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi – vale a dire l’accusatore del cardinale Becciu, che fra l’altro è pagato pure con l’Obolo di San Pietro – ha alimentato e cavalcato tali menzogne e calunnie, causando discredito e danno alla Chiesa fino quasi alla fine del processo, smentendole solo nella requisitoria finale, quando ormai la frittata era fatta e non poteva più negare l’evidenza?

  1. Sull’accusa di aver arricchito se stesso o propri familiari

L’orchestratissima campagna stampa promossa dal gruppo GEDI, ma non soltanto, ha sostenuto che il cardinale Becciu possedesse conti all’estero (in Australia, in Svizzera e così via) e avesse versato denaro della Chiesa a suoi fratelli. Con una semplice verifica – dovere deontologico dei giornalisti seri – si sarebbe constatato che Becciu non ha mai posseduto conti all’estero, non ha migliorato la propria condizione economica, non ha ville, case o appartamenti, guida una vecchissima automobile e ha un conto in banca molto molto modesto. Fin dal 25 settembre 2020 il cardinale aveva chiarito pubblicamente d’aver versato – come era sua facoltà in quanto Sostituto alla Segreteria di Stato – 100.000 euro alla Caritas della Diocesi sarda di Ozieri, il cui vescovo ne aveva fatto richiesta, per la realizzazione di un progetto caritativo. Siccome però alla Spes – vale a dire il braccio operativo della Caritas – lavora da molti anni anche un fratello del cardinale (il quale fra l’altro, percependo uno stipendio da insegnante, fino al 2016 ha lavorato a titolo gratuito; come ha lavorato per volontariato pure dopo la maturazione della pensione, dal 2021 in poi), la stampa prevenuta ha affermato che quei soldi sarebbero finiti nelle sue tasche. I fatti emersi al processo hanno dimostrato invece che quei 100.000 euro sono sempre stati sul conto della Caritas e servono attualmente alla realizzazione di un centro per persone povere e disagiate, scartate dalla società. Sono inoltre stati elargiti 25.000 euro per l’acquisto di una macchina per la panificazione distrutta da un incendio. Nemmeno un centesimo è andato a familiari di Becciu. Il peculato quindi, di cui si è voluto accusare il cardinale, non esiste; anzi al processo è emerso che egli ha donato alla Caritas dei soldi propri (almeno 50.000 euro, tanto era attaccato al denaro!). Come si spiega, dunque, la vergognosa campagna di diffamazione fondata sul nulla? Chi l’ha ideata e realizzata?

  1. Sul palazzo di Londra in Sloane Avenue 60

Da sempre – e in modo documentato quantomeno dai Patti Lateranensi – la Santa Sede per sostenersi investe nel mattone, possedendo e amministrando immobili in alcune città, Londra compresa. A partire dal 2019 una violenta e organizzatissima campagna stampa ha voluto addossare all’ex sostituto alla Segreteria di Stato Becciu la colpa per un investimento immobiliare che avrebbe comportato grosse perdite. A parte il fatto che prima della Brexit il palazzo in Sloane Avenue 60 di Londra presentava tutti i presupposti per essere un buon investimento, la decisione di investire in quell’edificio non è certamente intestabile a Becciu, il quale si era limitato a ratificare quanto elaborato e consigliato dal capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, vale a dire da monsignor Alberto Perlasca, esperto in materie finanziarie e amministrative. Tanto meno può essere intestata a Becciu la decisione di affidare l’investimento a un finanziere o a un altro, vale a dire di passare nel 2018 da Raffaele Mincione a Gianluigi Torzi (che non ha mai nemmeno conosciuto). L’acquisto dell’immobile, che il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, riteneva «un buon affare», avvenne quando Becciu non lavorava più in Segreteria di Stato: la richiesta del prestito per effettuare l’operazione – prestito dapprima accordato e in seguito rifiutato dallo IOR – venne infatti presentata dal suo successore, monsignor Edgar Peña Parra. La recente vendita del palazzo, infine, è stata realizzata nel mezzo dello scandalo in fretta e male (il valore dell’immobile è già risalito). A prescindere dalla validità dell’investimento, insomma, né l’acquisto né la vendita del palazzo sono riconducibili a Becciu. E allora chi e perché ha montato questo scandalo a livello mondiale addossandogli in modo mirato responsabilità che lui non aveva?

  1. Sulle sentenze di Londra e di Roma a proposito della compravendita del palazzo in Sloane Avenue 60

La compravendita del palazzo di Londra in Sloane Avenue 60 non è solo oggetto del noto procedimento giudiziario in corso in Vaticano, ma pure di processi che si sono svolti e che ancora si stanno celebrando in Gran Bretagna e in Italia. Le sentenze pronunciate finora (a Londra nel marzo 2021, nell’agosto e nell’ottobre 2022; a Roma nell’ottobre 2021 e nel gennaio 2023) hanno smentito categoricamente i teoremi della magistratura vaticana – vale a dire del promotore di giustizia Alessandro Diddi – e scagionano completamente il cardinale Becciu il quale, essendo del tutto estraneo alla vicenda, non vi viene nemmeno menzionato. Tutto risulta invece ruotare attorno a monsignor Alberto Perlasca, il capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, il quale fra l’altro ha firmato contratti per i quali a quanto pare non disponeva di alcun diritto di firma (incredibile ma vero: proprio su questo personaggio inaffidabile si basano le accuse di Diddi). Non solo: nella sentenza del giudice londinese Tony Baumgartner si dimostra chiaramente che il cardinale Becciu è stato tirato in mezzo dai magistrati vaticani arbitrariamente, ingiustamente, in modo spietato (i pubblici ministeri vaticani hanno fornito alla Corte inglese «informazioni false» e «spaventose»). Ma un processo è ancora in corso e qualche mese fa i pezzi grossi della Santa Sede, avvalendosi del “segreto pontificio” (mentre a Becciu è stato levato qualsiasi scudo di quel genere), si sono rifiutati di consegnare ai Giudici londinesi i documenti che getterebbero finalmente luce sulla vicenda. La Giustizia inglese però non ci sta e non si piega a favoritismi di sorta: ora ha ordinato la consegna obbligatoria della corrispondenza intercorsa tra il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e il sostituto monsignor Edgar Peña Parra a proposito della compravendita dell’immobile di Londra: solo così sarà possibile finalmente fare chiarezza e stabilire le rispettive responsabilità. La verità dei fatti è una sola: non è possibile che quella portata alla luce dai giudici di Londra e di Roma risulti diversa da quella decretata dalla Città del Vaticano. Chi non vuole che la verità venga alla luce? E cosa ha da nascondere?

  1. Sulla vicenda Marogna (impropriamente chiamata “dama del cardinale”)

Con il senno del poi, data la riservatezza richiesta dalle trattative per la liberazione di ostaggi, probabilmente sarebbe stato meglio non levare il segreto pontificio da questa vicenda (segreto che era stato imposto da papa Francesco), per non mettere ulteriormente in pericolo le esistenze di generosi missionari che operano in vari paesi del mondo. Ma alle menti morbose che hanno ordito la campagna di diffamazione contro il cardinale Becciu non dovette parer vero che la presenza di una donna, Cecilia Marogna, offrisse loro lo spunto per insinuare qualcosa di piccante, come in un romanzo d’appendice della peggior specie: ed ecco inventata la “dama del cardinale”. In realtà la collaboratrice, presentatasi come esperta in materia di geopolitica e di intelligence con referenze importanti, era stata incaricata – non da Becciu soltanto – di mediare in favore di suor Gloria Cecilia Narváez, una religiosa colombiana rapita in Mali da un gruppo jihadista. Con il suo aiuto era stata contattata la società britannica Inkerman, specializzata nelle trattative per la liberazione di persone rapite. Con il consenso del Papa, i sostituti alla Segreteria di Stato Becciu e Peña Parra avevano poi autorizzato il pagamento di alcuni contributi per una «missione umanitaria», che per ovvi motivi doveva rimanere segreta, a due società: la stessa Inkermann e la Logsic. Solo nel settembre del 2020 si capì che quest’ultima era riconducibile specificatamente alla signora Marogna, la quale – secondo l’accusa – avrebbe usato parte di quel denaro scorrettamente, per spese personali. Ma, se l’accusa venisse confermata, ciò avvenne all’insaputa dei due sostituti che evidentemente sono stati ingannati. Con il senno del poi… chissà se Gesù avrebbe scelto Giuda tra i dodici. La domanda è piuttosto: chi si è incaponito cocciutamente dietro insinuazioni fantasiose e pregiudizievoli? E perché ha voluto dare pubblicità a operazioni riservate, mettendo a repentaglio l’incolumità di tanti religiosi che operano in paesi a rischio?

  1. Sull’accusa di offesa al Re

Nella sua smania irrefrenabile, spulciando il codice penale vigente in Vaticano, a un certo punto il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi ha voluto accusare il cardinale Becciu perfino di «offesa al Re», vale a dire al Papa. Inconsapevole e ridicolo parossismo! Ora sappiamo che in questa vicenda il Papa è stato sì ingannato, ma da coloro che lo hanno tratto in trappola facendogli credere con una montatura che un suo fedele collaboratore fosse un corrotto: minando così la fiducia nel cuore stesso della Chiesa istituzionale. Quando i fulmini vogliono colpire una casa fanno sì che la casa si sbarazzi del parafulmine accusandolo delle loro colpe. Il fatto è che Diddi ha potuto fare il bello e il cattivo tempo a proprio piacimento: ha cambiato le leggi a procedimento in corso facendo firmare discutibili rescripta al Supremo Legislatore, ha tagliuzzato la testimonianza di Perlasca utilizzando solo i pezzi che riteneva utili al suo fine e occultando invece quelli che gli riuscivano scomodi, ha protetto Francesca Immacolata Chaouqui e ha tenuto nascosti i suoi messaggi a Genoveffa Ciferri (l’amica di Perlasca)… chi e Perché, allora, ha realmente offeso il Papa e la Chiesa tutta?

  1. Sulla messa “in coena Domini” celebrata da papa Francesco a casa del cardinale Becciu

Il Giovedì Santo del 2021 papa Francesco, a sorpresa, decise di non celebrare l’importante Messa “in coena Domini” nella Basilica di San Pietro, bensì in modo privato nella casa del cardinale Becciu. Tale gesto è stato interpretato in vari modi e forse solo lui sa cosa lo mosse realmente. Certamente non si trattò di un gesto di perdono (anche perché avrebbe significato implicitamente ritenere Becciu colpevole, prima ancora del rinvio a giudizio). Si sa che negli anni precedenti il Papa si recava il Giovedì Santo – memoria dell’istituzione dell’Eucarestia e pure del sacerdozio – a casa di Becciu per pranzare con alcuni preti di Roma. Forse, con quella visita e con la Messa concelebrata, ha voluto semplicemente esprimere solidarietà e vicinanza fraterna a un uomo che viveva il proprio Calvario. Fatto sta che in tre anni gli incontri tra i due non sono mancati, anche in udienze private concesse da Bergoglio a Becciu. Il 1° settembre 2021 papa Francesco ha detto a proposito del cardinale: «Spero con tutto il cuore che sia innocente. Inoltre, è stato un mio collaboratore e mi ha aiutato molto. È una persona di cui ho una certa stima, quindi il mio augurio è che ne esca bene». Nell’agosto del 2022 Francesco lo ha invitato a partecipare al Concistoro e alla vita del collegio cardinalizio: anche per lui deve valere il diritto alla presunzione di innocenza. Forse il Papa, che vuole tenere aperti i canali del dialogo, si è reso conto di essere stato ingannato – da chi? – e vuole che la verità venga alla luce?

  1. Sull’«Espresso», «Report», «The Pillar», «La Verità» e simili

Il 24 settembre 2020 qualcuno – chi? – recapitò tra le mani di papa Francesco, prima ancora che la rivista arrivasse nelle edicole, una copia dell’«Espresso» con un articolo di Massimiliano Coccia e una copertina fabbricata ad arte per provocare la cacciata del cardinale Becciu. Era l’inizio di una vera e propria martellante campagna di diffamazione – altrimenti detta macchina del fango, killeraggio mediatico, mascariamento o character assassination – contro un uomo che, fino a prova contraria, è completamente innocente, vittima della più grave persecuzione a mezzo stampa orchestrata nella storia contro un essere umano. Papa Francesco ha detto: «Il lawfare inizia attraverso i mass media, che denigrano [l’obiettivo] e insinuano il sospetto di un reato. Si creano indagini enormi e per condannare basta il volume di queste indagini, anche se non si trova il reato». E ancora: «La disinformazione è uno dei peccati del giornalismo, che sono quattro: la disinformazione, quando un giornalismo non informa o informa male; la calunnia – tante volte si usa quello; la diffamazione, che è diversa dalla calunnia ma distrugge; e il quarto è la coprofilia, cioè l’amore per lo scandalo, per le sporcizie. Lo scandalo vende. E la disinformazione è il primo dei peccati, degli sbagli – diciamo così – del giornalismo». Questa tristissima vicenda, basata esclusivamente su menzogne e calunnie è la rappresentazione plastica della peggiore decadenza del giornalismo dell’epoca nostra. Avrà anche ottenuto una brutale gogna mediatica senza precedenti, ma come mai il sistema mediatico italiano e mondiale non ha trovato gli anticorpi – fatte salve pochissime lodevoli eccezioni – per reagire alle polpette avvelenate?

  1. Sulla causa di beatificazione di Aldo Moro (e sulle altre accuse di Report)

Anche Report, una trasmissione televisiva che sostiene di fare giornalismo d’inchiesta, ha voluto partecipare al lancio di fango e s’è prestata a diffondere le calunnie, un po’ come nella favola Il lupo e l’agnello di Esopo, la cui morale risulta chiara: «La favola mostra che contro chi ha deciso di fare un torto non c’è giusta difesa che valga». I lupi mannari che applicano questa logica perversa sono accomunati da tre caratteristiche: 1) selezionano le informazioni in modo prevenuto per sostenere le loro tesi faziose e, quando non le trovano, come il lupo della favola, le inventano di sana pianta; 2) la loro indiscussa carenza di argomenti li fa sposare la famosa logica dell’illogico, quella del lupo che sta a monte dell’agnello e lo accusa di sporcargli l’acqua, per intenderci; 3) la loro prepotenza è crudele e ingiustificabile. Ma i lupi di Report – certo in un lavoretto ben commissionato – hanno fatto i conti senza l’oste, dando voce anzitutto alla figlia di Aldo Moro, la quale ha affermato che il cardinale Becciu le avrebbe scritto «la lettera più volgare e violenta che io abbia ricevuto», letterale. Per rincarare la dose ha aggiunto d’aver detto a papa Francesco, in un’udienza privata: «non le ho portato la lettera di questo signore per non amareggiarla». Ma che buon cuore! Ranucci e compagnia si sono guardati bene dal chiederle quella lettera – ciò che ogni giornalista serio avrebbe fatto – oppure, se l’hanno chiesta, si sono guardati bene dal mostrarla. Ma poi – come nella favola di Esopo – arriva la logica della forza di gravità: la lettera è stata pubblicata da «Famiglia Cristiana» e dal «Messaggero» ed è quanto di più civile e cortese si possa immaginare. Non solo: nella stessa puntata di Report, Ranucci e co. hanno dato voce a un impostore, vale a dire a Nicola Giampaolo, sedicente postulatore di Santa Romana Chiesa, il quale ha sostenuto d’aver ricevuto nel giugno del 2018 una richiesta di tangente per far avanzare la causa di beatificazione di Moro; mandante ovviamente il prefetto della Congregazione dei Santi, il cardinale Becciu! Polverone! Fango aggiunto al fango! Già, già, solo che di lì a poco, come nella favola di Esopo, entra in gioco la logica del buon senso, che in questo caso si chiama cronologia dei fatti: come faceva il Giampaolo – noto millantatore – a rappresentare Aldo Moro nel giugno del 2018, se dall’aprile di quello stesso anno non era più il postulatore della causa? E, soprattutto, cosa c’entra Becciu con questa vicenda – già smentita da altre fonti –, se è entrato in Congregazione nel settembre del 2018? È la stessa logica di Esopo – come poteva l’agnello aver insultato il lupo, se non era ancora nato? – che smaschera la menzogna con le regole della fisica. Il vescovo di Ozieri, monsignor Corrado Melis, ha poi rivelato un particolare inedito: «Il buon Giorgio Mottola di Report è venuto da me per un’intervista dove io dichiaravo, documenti alla mano, la trasparenza assoluta di ogni centesimo passato dalla CEI e dalla Carità del Papa (Obolo di San Pietro) alle attività della Caritas diocesana con regolari domande e certamente l’interessamento anche (ripeto: “anche”) del Sostituto alla Segreteria di Stato mons. Becciu. Peccato che quell’intervista andasse contromano rispetto al senso di marcia che era stato assegnato (presumo dai vertici!) al servizio di Report e che la “scappatella” infedele di Mottola si sia risolta in un “il Vescovo di Ozieri conferma ciò che afferma Becciu”». Ecco servita un’altra distorsione dei fatti: i giornalisti privi di deontologia professionale procedono in modo selettivo: non cercano la verità, ma solo conferme – oltretutto taroccate – alle loro tesi; quando invece trovano smentite, allora sorvolano, ignorano, tagliano. E così la trasmissione di Ranucci, con accuse pretestuose e infondate, sintomi di un vero “metodo Report”, è precipitata al livello della Chaouqui, che pure aveva sgamato nella puntata dell’11 gennaio 2021! La Radiotelevisione Svizzera (RSI) da parte sua si è comportata allo stesso modo, nonostante i miei ripetuti richiami alla correttezza inoltrati al responsabile del Dipartimento Informazione Reto Ceschi: non ha cercato la verità, ma si è limitata a diffondere la versione calunniosa di pregiudicati come Massimiliano Coccia e co. Un’assoluta mancanza di professionalità, uno spettacolo indecoroso! In questo tempo viviamo: tempo da lupi. E in questo mondo, dove i lupi rapaci la fanno da padroni. Ma è giornalismo questo, che beve e fa bere le veline diffamatorie, come quelle propalate dall’«Espresso», da Report ecc.? Alle vittime innocenti – agnelli o capri espiatori – non resta che rispondere punto per punto con «la forza della verità» (Fedro), confidando nel Buon Pastore e sperando che il manzoniano «buon senso» sia più forte del banale «senso comune». Nel mondo del giornalismo – anche cattolico – Becciu non lo difende nessuno: chi “sta con il Papa” non lo difende perché teme che sarebbe come affermare che Francesco ha sbagliato; chi sta contro il Papa non lo difende perché Becciu sta con Francesco più di chiunque altro; e infine ci sono i complici, coloro che, con disinformazioni e lusinghe, hanno tratto il Papa in inganno: quelli gongolano e si sfregano le mani. Ma sia ben chiaro che ogni giornalista si qualifica attraverso le proprie azioni, non con la propria popolarità: troppo facile raccogliere consensi gridando «Crucifige» e «Liberate Barabba!»! Benché facciano a gara a chi la spara più grossa, i lupi cooptati da forze oscure saranno smascherati, non appena l’alba verrà, all’impatto con la verità dei fatti.

  1. Sul sistema giudiziario vaticano

L’operato del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi è connotato da una serie impressionante di abbagli, granchi e gravi pecche, nel migliore dei casi. Ma nel sistema giudiziario del Vaticano – dove non vige una conquista della civiltà moderna come la separazione dei poteri – si sono visti anche imbeccamenti calunniosi a certa stampa, leggi modificate a procedimento in corso (sempre in sfavore degli imputati), magistrati dell’accusa che non obbediscono al giudice, video di testimonianze censurati, verbali pieni di omissis, testimoni che ammettono d’essere stati manipolati (senza che si approfondisca per capire da chi e perché), interrogatori calendarizzati e poi improvvisamente cancellati, messaggi chat tenuti nascosti, una pregiudicata che muove le pedine a proprio piacimento, promotori di giustizia indegni che non ne azzeccano una, giudici che approvano senza battere ciglio… E intollerabili interventi censori sul materiale probatorio. Perché? Cosa nasconde il Tribunale vaticano? La cosa più grave – a mio parere – è accaduta nel gennaio del 2023: i Giudici, dopo averlo calendarizzato, hanno inspiegabilmente cancellato l’interrogatorio della Chaouqui previsto per il 16 febbraio (già spostato una volta), nonché il confronto Chaouqui-Ciferri, richiesto dalle difese. In un articolo del 14 gennaio 2023 si legge un’affermazione di Chaouqui, mossa evidentemente da odio: «Io e il papa abbiamo un nostro modo di comunicare informazioni, e non lo spiegherò nei dettagli certo a voi». Parlava ai giornalisti che aveva convocato per il suo show, ma… in tribunale non si potrebbe pretendere che spieghi questo “modo di comunicare”? Chi faceva – o fa – da tramite tra Chaouqui e il Papa? Forse la stessa persona che gli portò l’«Espresso» prima ancora che arrivasse nelle edicole? Come mai il Promotore di Giustizia Diddi ha nascosto 120 su 126 messaggi intercorsi tra la Chaouqui e la Ciferri? E come mai i documenti pontifici e il materiale riservato della Santa Sede detenuti abusivamente dalla Chaouqui, trovati durante una perquisizione effettuata dalla Guardia di Finanza di Roma nel dicembre del 2020, non hanno ancora avuto conseguenze sul piano giuridico? Le contraddizioni emerse sono davvero troppe ed è necessario che tutte le parti dispongano integralmente dei verbali di Perlasca e di tutti i messaggi inoltrati dalla Ciferri, com’era necessario che potessero interrogare approfonditamente la Chaouqui, onde far emergere i retroscena e le motivazioni rancorose delle sue montature. Se non adempie le condizioni minime per il giusto processo, la Giustizia vaticana dimostra di non amare la verità e perde la propria credibilità. E quanto sia importante essere credibili l’ha testimoniato con la vita un magistrato serio e beato: Rosario Livatino. Nel febbraio scorso il Papa ha detto ai magistrati che bisogna «evitare il rischio di “confondere il dito con la luna”: il problema non sono i processi, ma i fatti e i comportamenti che li determinano». In questo modo si presume che quei comportamenti e quei fatti siano veri, contraddicendo ciò che più volte il Papa stesso ha sostenuto in altri contesti, vale a dire che la presunzione di innocenza fino a prova contraria è un diritto umano fondamentale; ma se la luna non c’è? Non è forse il senso stesso dei processi quello di verificare se le accuse ipotizzate nel rinvio a giudizio sono vere o false, se sono fondate sulla realtà o su una messinscena? Se bastasse l’esistenza di un processo per dedurre che fatti e comportamenti sono reali, allora non sarebbe nemmeno necessario aspettarne l’esito, sarebbe una perdita di tempo, visto che tutto è già “chiaro” prima; allora Gesù era colpevole a prescindere, e non c’è nulla da discutere, tanto più che era accusato dalla più alta autorità religiosa dell’epoca. Ma Chi ha scritto quel discorso al Papa?, il quale solo poche settimane prima aveva chiarito lucidamente: «guardatevi da coloro che creano l’atmosfera per un processo, qualunque esso sia. Lo fanno attraverso i media in modo tale da influenzare coloro che devono giudicare e decidere. Un processo deve essere il più pulito possibile, con tribunali di prima classe che non hanno altro interesse che salvare la pulizia della giustizia». E allora, com’è possibile ciò che è accaduto nell’Ufficio del Promotore di Giustizia negli ultimi anni?

  1. Sulle querele contro l’«Espresso», «Report», «La Verità», Perlasca, Chaouqui e co.

Il cardinale Becciu non ha paura della verità. Anzi, non aspetta altro che venga alla luce, in ogni sede. Chissà se tutti i querelati fanno parte della regia di un complotto o se qualcuno, semmai, si è prestato a un gioco sporco in buona fede (e in mancanza assoluta di professionalità). Fatto sta che se non si fosse attivata questa mostruosa macchina del fango del tutto priva di fondamento, finalizzata ad accerchiare in modo concertato e a mettere alla gogna – per tre anni e tre mesi! – un uomo fino a prova contraria innocente, non solo non si sarebbero ingannati milioni e milioni di persone, ma si sarebbero potuti risparmiare centinaia di milioni di euro (a cominciare dalle tonnellate di carta imbrattata di menzogne)… a questo punto sottratti al bene comune. È auspicabile che i responsabili siano chiamati a rispondere davanti alla giustizia dei tremendi danni che hanno causato.

  1. Sul processo

«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani» (Mt 10,16-18). «E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,19-20). Il cardinale Becciu ha partecipato pazientemente al processo, presentandosi ogni volta che era richiesta la sua presenza: si è difeso «nel processo» (non dal processo), come ha riconosciuto anche il Promotore di Giustizia aggiunto Settimio Carmignani Caridi. Il processo è iniziato il 27 luglio 2021, ma per più di sette mesi non è entrato in materia, poiché il Promotore di Giustizia Diddi non ha obbedito agli ordini del Presidente del Tribunale, vale a dire consegnare il materiale probatorio integralmente («non cominceremo l’esame delle questioni di questo processo finché la difesa non avrà conoscenza completa degli atti»). Ciononostante, il Presidente Pignatone ha deciso di passare alla fase dibattimentale, nella quale è emerso che il testimone Perlasca, la cui deposizione in istruttoria risulta piena di omissis, era manipolato; ma il Tribunale ha protetto la manipolatrice, cancellando l’interrogatorio di Francesca Immacolata Chaouqui calendarizzato per il 16 febbraio 2023 e tenendo nascosti 120 messaggi su 126 intercorsi tra lei e Ciferri (l’amica di Perlasca). Perché i magistrati non cercano la verità? Cosa nascondono? Nell’estate del 2023, dopo due anni di processo e 67 udienze, livido di accanito furore, il Promotore di Giustizia Diddi ha chiesto una pena di 7 anni e 3 mesi di carcere per il cardinale Becciu; ma senza fornire un briciolo di prova per sostenere i suoi teoremi! Il 22 novembre e il 6 dicembre 2023 i legali del cardinale Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo hanno smontato una per una tutte le accuse, dimostrandone l’assoluta infondatezza. Ora siamo in attesa della sentenza.

  1. Come vive tutto questo il cardinale Becciu?

La condotta del cardinale Becciu risulta coerente al Vangelo, in piena fedeltà al Papa, prima come dopo la sua destituzione: «Un’esperienza magnifica: vedere il santo padre con coraggio diffondere la Parola di Dio. Il mio servizio è stato solo questo: di aiutarlo in questo». E quando s’è scatenata la burrasca: «L’ho presa come un figlio che si vede non capito dal proprio padre e viene mandato via dalla propria casa ma che non perde la speranza che il padre prima o poi capisca che ci sono state delle accuse false e che lo riabbracci». Cosa doveva pensare Gesù, quando era appeso alla croce e si sentiva abbandonato perfino dal Padre? Certamente nessuno ha amato più di Lui.

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6 Commenti

  1. Mara 14 dicembre 2023
  2. Giovanni 12 dicembre 2023
  3. Adelmo li Cauzi 12 dicembre 2023
    • Gian Piero 12 dicembre 2023
  4. Christian 11 dicembre 2023
    • Esther 13 dicembre 2023

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