Egitto-Sinai: Il monastero a rischio

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Il 28 maggio una sentenza della corte d’appello del Cairo ha messo in allarme la comunità del monastero di santa Caterina al Sinai, l’ortodossia ellenica e mondiale e tutti i pellegrini cristiani. La sentenza trasforma lo statuto del monastero: la proprietà passa allo Stato, i monaci possono restare, ma la gestione dell’intera area è in capo alla Società archeologica del Paese. Nei primi momenti si parlava anche di un allontanamento dei monaci e di un uso turistico degli spazi della costruzione e della riduzione del monastero a museo.

Una commissione greca si è recata al Cairo il 2 giugno per chiarire la questione. Lo status quo prevede che la proprietà del sito, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2002, sia del Governo greco e che la giurisdizione ecclesiastica sia del patriarcato di Gerusalemme.

Si tratta di uno straordinario concentrato di storia e di relazioni tra fedi. Fondato dall’imperatore Giustiniano nel 546, garantito dal profeta Maometto nel 623, dal sultano Selim nel 1517 e da tutti i potentati successivi comprese le comunità beduine, il monastero vive oggi una rinnovata tensione. Si capisce l’intervento di molti protagonisti.

Polo turistico

Il Governo egiziano di Abdel Fattah al-Sisi è condizionato dai precedenti interventi dei fondamentalisti Fratelli musulmani, che perseguono la chiusura del monastero da un paio di decenni e accusano il monastero di essersi impadronito di 71 immobili che, a loro avviso, apparterrebbero allo Stato. Al-Sisi è stretto dal contesto geopolitico, che registra il conflitto cruento israelo-palestinese e dalla presenza di gruppi jihadisti sul Sinai. Persegue una valorizzazione dell’intera area del Sinai come polo turistico da affiancare a quelli già attivi nel Paese.

Davanti alle proteste la Presidenza ha confermato di voler preservare lo statuto religioso unico e sacro del monastero di santa Caterina prevenendo qualsiasi violazione, confermando i precedenti accordi con Atene e difendendo la decisione della corte che non contraddirebbe le posizioni condivise.

Il portavoce del ministro dell’Interno ha assicurato che niente cambierà per il monastero i suoi edifici e i suoi cimiteri e ha garantito l’uso continuato delle aree adiacenti. Solo aree remote, disabitate e senza documentazioni di proprietà sanno considerate terreni demaniali. L’archeologo Abdel Rahim Fihan della Società archeologica ha difeso la sentenza volta a valorizzare il patrimonio a beneficio di tutti e dei monaci.

I greci e il patriarca di Gerusalemme

Le precisazioni non hanno placato le preoccupazioni greche. Un accordo era stato raggiunto fra i due Paesi nel dicembre scorso, condiviso dai monaci, ma non è ancora stato sottoscritto, nonostante l’impegno personale di al-Sisi nell’incontro con il Presidente greco, Kyriakos Mitsotakis del 7 maggio scorso. I due Presidenti si sono sentiti per telefono, come anche i due ministri interessati. Quello greco, Gerorge Gerapetritis, ha ricordato al collega l’intesa già raggiunta nel quadro del Consiglio di Alta cooperazione di Atene.

Molto preoccupate sono le autorità ortodosse. Il primate della Chiesa ortodossa greca, Geronimo, ha dichiarato la sua «immensa tristezza e legittima collera» davanti alla sentenza del Cairo, diffida del ricorso possibile alla Corte di cassazione egiziana e si appella al Governo greco: «Se il governo non esige la firma dell’intesa raggiunta sarebbe una sconfitta nazionale, religiosa e mondiale […]. Non voglio e non posso credere che anche oggi l’ellenismo e l’ortodossia possano sopportare una “caduta” storica».

Una figura importante del mondo ellenico, il vescovo ortodosso della diocesi degli Stati Uniti, Elpidophoros, ha espresso profonda preoccupazione davanti a una decisione che mette in questione secoli di devozione e di pace testimoniati dal monastero. È intervenuto anche il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli che ha espresso la dolorosa sorpresa davanti alla sentenza del tribunale che modifica il regime di proprietà del sito monastico.

Particolarmente interessato è il Patriarca di Gerusalemme, Teofilo III, che riafferma in una dichiarazione del 30 maggio la propria giurisdizione e protezione sulla presenza monastica a Santa Caterina del Sinai e chiede il riconoscimento dello status quo, la libertà di culto e la libertà di movimento dei pellegrini. Prende atto delle rassicurazioni egiziane ma promette di monitorare attentamente la situazione e i suoi sviluppi.

Quindici secoli e porte chiuse

Il monastero che secondo la tradizione sorge sul luogo dove Dio è apparso a Mosè nel roveto ardente giace ai piedi del monte che ha visto la consegna delle tavole della legge e custodisce i resti di santa Caterina e numerose altre reliquie. Vi hanno vissuto Giovanni Climaco e Gregorio del Sinai.

Possiede un’importante biblioteca di testi antichi (oltre 4.500 volumi) e 2.000 icone bizantine del V-VI secolo. Da quindici secoli e senza interruzioni sono presenti i monaci. L’attuale comunità è composta da una ventina di persone in larga maggioranza provenienti da altri Paesi, soprattutto dalla Grecia, e quindi è esposta alle cangianti disposizioni amministrative.

Il rappresentante del monastero in Grecia, Porphirios Thracaeos, ha sottolineato che non si può isolare il monastero dai possedimenti viciniori che garantiscono la sua solidità finanziaria e amministrativa. Non ha alcuna fiducia in ulteriori ricorsi giudiziari e invoca un rinnovato accordo politico fra Stato e arcivescovo del Sinai, o fra Egitto e Grecia che permetta a quest’ultima di prendersi cura dell’istituzione monastica. Rileva inoltre che se la trasformazione di Santa Sofia e del monastero di San Salvatore in Chora in moschee (in Turchia) è cosa terribile, se trasformare una costruzione di chiesa in museo è cosa disdicevole, ridurre un monastero vivo in museo è una violazione dei diritti dell’uomo e della libertà religiosa.

Nel frattempo i monaci hanno deciso di chiudere le porte a tutti, pellegrini compresi, in segno di protesta.

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