Fiducia supplicans: cosa possiamo imparare

di:

francesco

La vicenda per alcuni versi incresciosa, per altri stimolante, della recente dialettica instauratasi fra il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar e i contenuti della dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede Fiducia supplicans, offre spazio a una riflessione squisitamente teologica che consenta di chiederci: cosa possiamo imparare da tale circostanza?

Sul metodo

Un primo elemento di riflessione mi sembra potersi porre nella questione del metodo che i presuli africani hanno adottato. In tale prospettiva, dovrebbe risultare chiaro o da chiarire ulteriormente, qualora ve ne fosse bisogno, che la guida pastorale delle comunità ecclesiali nel loro contesto territoriale e culturale dipende dai vescovi e non dalla curia romana.

Essi sono legittimati a intervenire (il fatto che la lettera abbia ricevuto il consenso sia del vescovo di Roma che del prefetto del dicastero lo conferma), precisando, interpretando ed eventualmente dissociandosi, pur nella ribadita fedeltà al papa, da pronunciamenti che ritengono inopportuni per le Chiese loro affidate.

E questo vale sia allorché dalla curia giungano indicazioni che portano indietro l’agire ecclesiale, sia quando si propongano scelte aperturistiche e spinte in avanti, che porzioni del popolo di Dio non sono pronte ad accogliere. L’ecclesiologia che soggiace a tale vicenda è esattamente quella del Vaticano II e fa propria la tanto auspicata sinodalità, che non significa affatto uniformità di vedute.

Sul rapporto persona-natura

L’elemento ulteriore che fa pensare riguarda il contenuto del contendere. Al di là del senso di benedizioni liturgiche o meno e dell’attitudine pastorale che deve accompagnare i ministri della misericordia, non sembra difficile rilevare che, da un lato, si adotta un’antropologia dinamica e centrata sulla «persona», se non sul soggetto, dall’altro, un imprescindibile riferimento fondamentale alla «natura» umana, così come ci verrebbe proposta dalla rivelazione ebraico-cristiana.

La posta in gioco è particolarmente significativa e impegnativa: si tratta, infatti, del rapporto persona/natura e la domanda diventa quale struttura naturale sia compresa nella soggettività personale.

Inoltre, ci si potrebbe chiedere se un organismo vaticano può imporre a una cultura altra una visione antropologica, che appartiene a una prospettiva credente piuttosto occidentale. Papa Francesco nell’incontro coi preti romani avrebbe (il condizionale è d’obbligo perché l’evento era a porte chiuse, ma non tanto sbarrate da non lasciar trapelare alcunché) indicato nel diverso orizzonte culturale il background che ha dato vita alla posizione dei vescovi africani.

Leggo su una fonte attendibile quale Vatican News: «Alla domanda di un sacerdote africano, [il papa] ha detto che la cultura dell’Africa non accetta queste benedizioni perché ci sono sensibilità diverse e che questo è stato chiarito con il cardinale Ambongo».

Sul riferimento alla sacra Scrittura

Tuttavia, la lettera firmata dal cardinale africano e che, a suo dire, sintetizza le indicazioni delle diverse conferenze episcopali del continente nel motivare la propria posizione fa riferimento alla Parola di Dio:

«A sostegno di questa posizione, la maggior parte degli interventi dei vescovi africani si basa soprattutto sulla Parola di Dio. Essi citano passi che condannano l’omosessualità, in particolare Lv 18,22-23, dove l’omosessualità è esplicitamente vietata e considerata un abominio. Questo testo legislativo testimonia la considerazione di queste pratiche nell’ambiente di Israele, così come altre pratiche che Dio proibisce, come l’infanticidio (cf. il sacrificio di Isacco). Una Conferenza episcopale ha aggiunto lo scandalo degli omosessuali di Sodoma (cf. Gen 19,4-11). Nella narrazione del testo, l’omosessualità è così abominevole che porterà alla distruzione della città. Nel Nuovo Testamento, san Paolo, nella Lettera ai Romani, condanna quello che chiama rapporto innaturale (cf. Rm 1,26-33) o morale vergognosa (cf. 1Cor 6,9-10)».

Solo dopo questi riferimenti biblici il documento parla di una sorta di incompatibilità culturale fra la prospettiva della dichiarazione e il contesto africano, riferendosi alla «legge naturale». Se così fosse, soprattutto in relazione alle Scritture, allora dovrebbe essere esclusa ogni apertura benedizionale a coppie irregolari, in particolare omosessuali. E quindi la dichiarazione verrebbe a contraddire la rivelazione stessa.

Tuttavia, dal punto di vista biblico esegetico occorrerà richiamare il documento della Pontificia commissione biblica Che cos’è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica del 30 settembre 2019, che invoca una maggior cautela nell’ermeneutica biblica unitamente a un’attenzione pastorale nei confronti delle persone omosessuali:

«[…] l’esame esegetico condotto sui testi dell’Antico e del Nuovo Testamento ha fatto apparire degli elementi che vanno considerati per una valutazione dell’omosessualità, nei suoi risvolti etici. Certe formulazioni degli autori biblici, come anche le direttive disciplinari del Levitico richiedono un’intelligente interpretazione che salvaguardi i valori che il testo sacro intende promuovere, evitando dunque di ripetere alla lettera ciò che porta con sé anche tratti culturali di quel tempo. Il contributo fornito dalle scienze umane, assieme alla riflessione di teologi e moralisti, sarà indispensabile per un’adeguata esposizione della problematica, solo abbozzata in questo Documento. Inoltre, sarà richiesta un’attenzione pastorale, in particolare nei confronti delle singole persone, per attuare quel servizio di bene che la Chiesa ha da assumere nella sua missione per gli uomini» (n. 195).

La messa in guardia da interpretazioni letteraliste delle Scritture sante, che possono facilmente sfociare nel fondamentalismo, è d’obbligo soprattutto in relazione a situazioni come quelle sopra indicate.

La Bibbia, infatti, non ci consegna un’antropologia compiuta, bensì offre elementi di una visione dell’uomo, spesso in sintonia col proprio orizzonte spazio-temporale, che va articolata e disegnata teologicamente, anche in relazione alle diverse culture chiamate a ricevere il messaggio del Vangelo.

Proprio in vista di tale obiettivo va accolto con convinzione l’invito, sia della Pontificia commissione biblica, ma anche dei vescovi africani, a proseguire nella ricerca e nella riflessione in modo da giungere ad una più profonda comprensione di quanto il Signore chiede alla sua Chiesa.

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14 Commenti

  1. Federico 18 gennaio 2024
    • Gian Piero 18 gennaio 2024
  2. Giovanni Di Simone 17 gennaio 2024
    • Pietro 17 gennaio 2024
      • Giovanni Di Simone 17 gennaio 2024
    • anima errante 17 gennaio 2024
  3. Adelmo li Cauzi 16 gennaio 2024
    • Pietro 16 gennaio 2024
      • Angela 17 gennaio 2024
        • pietro 17 gennaio 2024
  4. Lorenzo M. 16 gennaio 2024
    • Pietro 16 gennaio 2024
    • Tobia 17 gennaio 2024
  5. Pietro 16 gennaio 2024

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