
I momenti drammatici che l’umanità sta vivendo, e in particolare i cambiamenti repentini e imprevedibili degli equilibri tra le nazioni più potenti del mondo, suscitano nell’animo di molte persone un profondo senso di inquietudine per il futuro stesso del genere umano.
Anche i cristiani, ovviamente, portano il peso e la responsabilità della situazione presente motivati particolarmente dalle teologie politiche e della liberazione che, negli ultimi cinquant’anni, hanno impresso una svolta importante nell’autocoscienza della Chiesa. Queste teologie hanno sostenuto la necessità che l’istituzione ecclesiale in quanto tale prenda posizione nelle grandi dispute che toccano il bene comune al fine di promuovere la pace, la giustizia e lo sviluppo paritario dell’intera umanità.
Non solo pace, giustizia e tutela dell’ambiente
Dunque, a fronte di nazionalismi esasperati, i pastori stessi non possono esimersi dal ricordare che le nazioni possono realmente progredire solo insieme, in una logica di solidarietà reciproca e non di contrapposizione.
Talora, però, nell’ambito pastorale la responsabilità sociale della Chiesa cattolica viene fatta passare – almeno implicitamente – come l’essenza del cristianesimo, come se la fede in Cristo si sostanziasse solamente nell’operare per la pace, la giustizia e la tutela dell’ambiente.
Questi orientamenti sono sovrapponibili a quelli che presentano la persona di Gesù semplicemente come colui che ci aiuta a trovare la nostra peculiarità e unicità, e a perseguire la via della nostra realizzazione nel quadro di relazioni personali profonde e autentiche.
Il problema di questi due approcci, l’uno più giocato sul piano politico e l’altro più su quello individuale e interpersonale, è che, pur sottolineando alcune caratteristiche effettive dell’esperienza cristiana, decostruiscono la sua nozione di salvezza riducendola ad una forma di umanizzazione.
Riguardo a questa problematica, scrive il padre J.-M R. Tillard:
«La salvezza non si riduce a delle categorie puramente individuali. E, quando viene definita in termini di riconciliazione, è impossibile pensare solo alla riconciliazione della persona con Dio e con il suo ambiente immediato. Questo dono personale di grazia è intrinsecamente legato all’economia totale della “ricapitolazione” (l’anakephaláiosis) nella quale i brandelli dell’umanità lacerata saranno rimessi insieme, riconciliazione con Dio e riconciliazione universale che rappresentano le due facce di una indivisibile economia di grazia. […] Il Cristo è il solo che apporti all’umanità una salvezza che coincide con la nascita del Regno. Certo, altri eroi hanno dato alla loro comunità gioia, pace, libertà, prosperità. Ma essi non le hanno procurato una salvezza piena, quella che è radicata nella remissione dei peccati e viene dalla riconciliazione con Dio» (J.-M.R. Tillard, Chiesa di Chiese. L’ecclesiologia di comunione, Queriniana, Brescia 1989, 173-174).
Cristo e «gli altri eroi»
Secondo il domenicano canadese, si deve anzitutto escludere una visione individualistica della salvezza, che intende l’esperienza cristiana come estranea alle vicende dell’umanità. In realtà, il disegno salvifico di Dio ha come obiettivo la riconciliazione e la riunificazione del genere umano in Cristo, e dunque quando i cristiani – come pure ogni altra persona – opera in questa direzione, collabora alla costruzione del regno di Dio.
Nello stesso tempo, però, Tillard sottolinea la differenza fra Cristo e «gli altri eroi». Tante persone «altre» rispetto al Messia hanno dato alle loro comunità gioia, pace e libertà, segno del fatto che questi valori, pur essendo sintonici con il disegno divino, possono essere perseguiti a prescindere da qualsiasi riferimento esplicito al Signore. Anzi, tale operosità non può che essere frutto della sua grazia, che agisce anche nell’animo di chi non è cristiano ma è misteriosamente aperto alla sua azione.
Nello stesso tempo, Tillard sottolinea che la salvezza donata da Cristo e testimoniata dalla Chiesa non si riduce alla promozione di questi valori, ma ha come obiettivo ultimo la riconciliazione con Dio, il che comporta la remissione dei peccati. Questa è la «salvezza piena» che la tradizione teologica orientale ha definito non come umanizzazione ma come divinizzazione, in modo ben più esaustivo di quella occidentale.
Dunque, la sfida per ogni comunità ecclesiale è quella di evitare che l’esperienza cristiana sia intesa come qualcosa di meramente individualistico, come se il Vangelo non orienti in una direzione precisa il pensiero e la prassi dei cristiani nell’ambito pubblico, ma pure di impedire che la salvezza che ci è donata in Cristo sia ridotta alla promozione della riconciliazione e della pace.
La vita cristiana non è semplicemente un mezzo per rendere la propria vita migliore e il mondo un posto più umano – per questo non c’è bisogno né del cristianesimo né della Chiesa –, ma per crescere nella comunione con Gesù e con il Padre in virtù dello Spirito, divenendo collaboratori operosi del loro disegno di riconciliazione dell’umanità nell’amore.
Come ha fatto Gesù
Ambedue queste dimensioni dell’esperienza cristiana possono trovare resistenze proprio all’interno delle comunità ecclesiali.
Il primo aspetto potrà essere rifiutato da chi si professa cattolico devoto, ma vuole avere la libertà di portare avanti progetti sociali e politici antitetici a qualsiasi forma di solidarietà e di collateralismo.
Il secondo trova resistenza in coloro che per varie ragioni hanno finito per identificare l’esperienza cristiana con la sua etica sociale.
Come sempre, la soluzione è quella di ripartire dalla prassi di Gesù, per il quale l’alternativa in esame non esiste. Egli ha annunciato e donato una salvezza escatologica, la vita eterna, dando ai suoi discepoli e discepole la possibilità di sperimentarla anticipatamente grazie alla remissione dei peccati e alla sequela della sua persona, ma ha pure mostrato la verità della presenza del regno nella storia guarendo innumerevoli malati e indemoniati.
La Chiesa deve semplicemente fare lo stesso.






Purtroppo proprio l’esaltazione del mistero dell’Incarnazione e l’aspetto comunitario, dal sessantotto in poi, hanno legato la visione cristiana ad aspetti unicamente intramondani.