
Per capire quanto Jorge Mario Bergoglio sia stato un gigante del nostro tempo, basta vedere chi gli ha detto addio con il cuore in mano dopo la sua morte.
E così, ecco che incontriamo un cartonero di Buenos Aires che davanti alla bara del papa lo ha ringraziato per il suo impegno instancabile in favore di un «lavoro dignitoso»; un rifugiato di guerra a cui Francesco, qualche anno fa, ha pagato di tasca sua il viaggio a Roma con la sua famiglia in un corridoio umanitario sicuro e concordato con il Governo italiano; un senzatetto che ogni sera trova un «ospedale da campo» presso la grande «parrocchia» che è San Pietro; un detenuto la cui dolorosa storia era ben nota al pontefice argentino; un giovane evangelico ucraino che ha potuto incontrarlo decine di volte a casa Santa Marta per portargli brandelli dell’anima insanguinata del suo Paese; i bambini di Gaza che Francesco chiamava ogni giorno per informarsi su che cosa fossero riusciti a mangiare in mezzo a tanta devastazione; una anziana signora che ogni giorno del suo ultimo ricovero all’ospedale Gemelli gli portava rose gialle e che il papa riconosceva personalmente.
Ecco chi sono coloro che sono rimasti incantati da un uomo affascinante. Una persona che comunicava un amore appassionato per Gesù di Nazareth e che si impegnava con tutte le forze affinché gli altri potessero condividere lo stesso dono di vita. Una persona che, con le sue parole e i suoi gesti, era credibile. Che lo si accetti o meno, questa è la ragione del grande vuoto che respiriamo nella Chiesa, una comunità umana in cui cardinali, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e laici spesso chiudono gli occhi davanti al dolore degli altri. Se non fosse così, il mondo non sarebbe piombato in questa notte buia verso la quale corriamo ciechi e senza speranza.
Papa Francesco è stato un parroco del mondo che ha conferito maggiore credibilità al suo modo di avvicinare Dio all’uomo. Com’era già successo nelle baraccopoli di Buenos Aires, anche a Roma si è abbassato per abbracciare «tutti, tutti, tutti» nelle loro ferite dell’anima. Se gli parlavano dei malati di AIDS, non si accontentava di tenerli presenti, ma si presentava davanti ad alcuni di loro per consolarli. Se gli scriveva un bambino che aveva perso il padre e, essendo questo ateo, gli chiedeva «se sarebbe andato in paradiso», si assicurava di dargli la risposta più bella di tutti i tempi… e di abbracciarlo forte.
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È morto un padre per tutta l’umanità. Ci ha lasciato la voce potente che denunciava la struttura ingiusta che porta alla guerra e arricchisce i produttori di armi e i governi corrotti. Abbiamo detto addio a colui che, per la prima volta nella storia della Chiesa, ha cambiato il Catechismo affinché la condanna della pena di morte fosse categorica e senza margini di dubbio. È scomparso il pastore che, oltre a gridare contro l’ingiustizia climatica e a esortarci a essere fedeli custodi del Creato, guardava con stupore a chi incarnava nel modo più alto tale nobile missione: i popoli indigeni dell’Amazzonia, il cui essere più intimo è in profonda armonia con la terra dei loro antenati.
È morto un pontefice che ci ha avvicinato ai fratelli ortodossi e il cui appello per la celebrazione congiunta della Pasqua risuona ancora nelle nostre orecchie. È morto un sincero compagno di cammino dei fedeli delle chiese evangeliche, davanti ai cui pastori, a Buenos Aires, si inginocchiava per ricevere la benedizione. È morto il grande promotore del Documento sulla Fraternità Umana, il passo più grande e più audace per abbracciare chi crede in altre religioni. Perché sono nostri fratelli, senza dubbio.
Fa davvero male dire addio a un tale spirito libero e genuino, al punto che era emozionante sentirlo raccontare come molte delle misure che proponeva per la Chiesa e per il mondo le «sognava». E il suo non era un modo di dire, perché si alzava alle quattro del mattino per lavorare senza sosta e senza mai concedersi una vacanza. Infatti, in quel poco di tempo che passava a dormire, sognava il solco che si doveva tracciare… Perché sentiva davvero che Dio lo guidava.
Questo potrà sembrare assurdo a molti, ma non a chi ha fede in Dio e nella resurrezione della carne dopo la morte eterna. Questo «scandalo», che tanto colpisce un uomo sensibile come lo scrittore Javier Cercas nel suo libro Il pazzo di Dio alla fine del mondo, era un fatto del tutto naturale per Bergoglio. Perché, in definitiva, viveva ciò che era sempre stato: un missionario.
Un’ultima nota: so per certo che questo poeta libero e autentico si imponeva dei limiti. C’erano gesti profetici che sognava di realizzare e che, con umiltà, ha messo da parte, li ha archiviati in un baule dei ricordi per non provocare infarti alla curia. Speriamo che il suo successore li possa concretizzare. Francesco II?
Francisco, un testigo creíble
Para hacerse una idea de hasta qué punto Jorge Mario Bergoglio ha sido el gran gigante de nuestro tiempo, basta fijarse en quiénes le han dicho adiós con el corazón en la mano tras su muerte.
Así, nos encontramos con un cartonero de Buenos Aires que agradeció ante su ataúd su inquebrantable compromiso con el “trabajo digno”; un refugiado de guerra al que Francisco le pagó de su bolsillo hace unos años el viaje hasta Roma con su familia, en un corredor humanitario seguro y pactado con el Gobierno de Italia; una persona sin hogar que encuentra cada atardecer un “hospital de campaña” en la gran “parroquia” que puede ser San Pedro; un preso cuya dolorosa historia vital conocía perfectamente el pontífice argentino; un joven evangélico ucraniano que llegó a poder verse decenas de veces con él en Santa Marta para llevarle jirones del alma ensangrentada de su país; los niños de Gaza a quienes llamaba cada día y a los que preguntaba qué habían podido comer entre tanta devastación; una anciana que, cada jornada de su ingreso en el hospital Gemelli, le llevaba rosas amarillas y a la que el Papa reconocía individualmente…
Esos son los fascinados por un hombre fascinante. Alguien que transmitía una pasión enamorada por Jesús de Nazaret y que hacía todo lo que estaba en su mano para que los demás compartieran ese regalo de vida. Alguien que, con sus palabras y gestos, era creíble. Y es que esa es, aceptémoslo o no, la gran carencia en nuestra Iglesia, una comunidad humana en la que cardenales, obispos, sacerdotes, diáconos, religiosos y laicos, muchas veces, miramos para otro lado ante el dolor ajeno. Porque, si no fuera así, es imposible que el mundo se abocara a esta noche oscura hacia la que corremos ciegos y sin remedio.
El papa Francisco ha sido un párroco del mundo que ha aportado un plus de credibilidad en su modo de llevar a Dios al hombre. Como hiciera en las villas miseria de Buenos Aires, en Roma también se abajó para abrazar a “todos, todos, todos” en sus heridas del alma. Si le hablaban de los enfermos de sida, no se conformaba con tenerlos presentes, sino que se presentaba ante algunos de ellos para consolarles. Si le escribía un niño que había perdido a su padre y, al ser este ateo, le preguntaba “si iría al cielo”, se aseguraba de darle la respuesta más maravillosa de todos los tiempos… y abrazarle fuerte.
Ha muerto un padre para toda la humanidad. Ha dicho adiós la voz atronadora que denunció la estructura injusta que abocaba a la guerra y enriquecía a los fabricantes de armas y a los gobiernos corruptos. Ha dicho adiós quien, por primera vez en la historia de la Iglesia, cambió el Catecismo para que la condena de la pena de muerte fuera tajante y sin resquicios para la duda. Ha dicho adiós el pastor que, además de clamar contra la injusticia climática y por la necesidad de que seamos fieles custodios de la Creación, también se maravillaba ante quienes mejor encarnaban esa bella misión: los golpeados pueblos indígenas amazónicos, cuyo ser más íntimo vive en completa armonía con la tierra de sus ancestros.
Ha muerto un pontífice que nos ha acercado a los hermanos ortodoxos y cuyo clamor por la celebración conjunta de la Pascua aún resuena en nuestros oídos. Ha muerto un sincero compañero de camino de los fieles de las iglesias evangélicas, ante cuyos pastores, en Buenos Aires, se arrodillaba para que lo bendijesen. Ha muerto el gran impulsor del Documento de la Fraternidad Humana, el mayor y más audaz paso para abrazarnos a quienes creen en otras religiones. Y es que son hermanos nuestros, sin duda.
Duele infinitamente despedir a un espíritu libre y genuino, hasta el punto de que estremecía escucharle contar cómo muchas de las medidas que proponía para la Iglesia y el mundo las “soñaba”. Y no es una forma de habar en este hombre que se levantaba a las cuatro de la mañana para trabajar sin fin y sin concederse jamás unas vacaciones. Porque, en el poco tiempo que dormía, soñaba el surco que debía labrar… Porque, realmente, sentía que Dios le guiaba.
Esto puede resultar chocante a muchos, pero no a quienes se dicen creyentes en Dios y en la resurrección de la carne tras morir para siempre. Este “escándalo”, que tanto impacta a un hombre sensible como el escritor Javier Cercas en su libro ‘El loco de Dios en el fin del mundo’, es algo que vivía con total naturalidad Bergoglio. Porque, en definitiva, vivía como lo que siempre fue: un misionero.
Un último apunte: me consta que este poeta libre y auténtico se ponía límites. Hubo gestos proféticos que soñaba concretar y que, con humildad, dejó aparcados en un baúl de los recuerdos para no generar infartos en la Curia. Ojalá los encarne su sucesor. ¿Francisco II?





