Francia-preti: fra serenità e possibile riscatto

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È sempre alta l’attenzione dei vescovi francesi sul problema abusi. L’ultima questione riguarda la possibile riammissione al ministero degli abusanti.

Un’indagine e un indirizzo si sono concentrati sui preti francesi.

La prima, realizzata dall’Ifop (Institut français d’opinion publique) e sponsorizzata dall’Observatoire français du catholicisme, ha riguardato il vissuto e l’autovalutazione di 766 preti.

Il secondo è l’impegno enunciato dal presidente della conferenza episcopale (Jean-Marc Aveline) e condiviso dai vescovi per una valutazione sulle possibilità, modalità e criteri per riammettere nel servizio ecclesiale i “predatori”, gli attori degli abusi, dopo un adeguato percorso rieducativo.

Un ministero fecondo

L’80% dei preti si dichiarano soddisfatti del loro ministero nonostante la riduzione del numero e la secolarizzazione. Il 45% si ritengono fedeli, sereni e determinati, il 35% realisti ma pacificati, il 15% affaticati ma tranquilli. Il 5% si dichiara in difficoltà (cf. La Croix, 6 novembre).

Le ragioni della diffusa serenità sono legate alla convinzione di essere testimoni privilegiati dell’azione di Dio, di sentirsi al proprio posto lavorando al servizio del Signore, con la possibilità di relazioni con le persone più diverse. Sono colpiti dalla crescita dei catecumeni, considerata un segno dello Spirito.

Le difficoltà che rilevano sono il non sempre facile rapporto con il vescovo e la gerarchia ecclesiastica, la constatazione dello spegnersi della fede in molti e la progressiva fragilità dell’istituzione ecclesiale.

Per il 15% fa problema il celibato e per il 14% la mancanza di fraternità sacerdotale. Una richiesta largamente condivisa – considerato che il 40% sono responsabili di 5 o più parrocchie – è quella di lavorare con gruppi di laici maturi e affidabili.

Cosa fanno per distendersi? Scelgono attività sportive, intellettuali e culturali. Condividono con molti una certa dipendenza da telefonini, video e computer. Oltre la metà (52%) vi passano dalle due alle quattro ore, ammettendo una qualche difficoltà di gestirsi. Usano i social per il 43%.

Interrogati sulle priorità per il loro avvenire, i preti rispondono riaffermando il loro compito di celebrare, governare e insegnare e poi di promuovere la dottrina e di sostenere la scelta dei poveri.

Per la loro vecchiaia sono relativamente sereni, ma per il 34% con qualche timore. Il 10% si dichiara pessimista. Sale al 57% la percentuale di chi ritiene importante resistere alla solitudine, alla precarietà e allo sfinimento.

Queste ultime annotazioni rimandano ai risultati di un’inchiesta più ampia patrocinata dai vescovi nel 2020 in cui emergevano note preoccupanti sul sovraccarico di lavoro (47%), sulla vita in solitudine (54%), sulla domanda di accompagnamento e di sostegno (66%) e su forme depressive e di burnout. Quest’ultime voci vedevano le cifre del 18% e del 2% (cf. qui). I segnali degli stati depressivi e di precarietà psichica raggiungevano 4 presbiteri su 10, esprimendosi anche nel sovrappeso, nell’obesità e nel consumo di alcol. I preti avvertivano con forza l’invito ad ascoltare il linguaggio del proprio corpo e i suoi segnali di disagio.

Elementi ripresi recentemente dal vescovo di Pontoise, Benoȋt Bertrand: un prete «che non sta bene nella sua vita personale, spirituale, fisica o psicologica non può essere felice nemmeno nel suo ministero». L’invito è quello di non trascurare il riposo, le visite mediche e le relazioni amicali e familiari. «Anche i sacerdoti devono saper esprimere le proprie debolezze, sofferenze e difficoltà ed essere disposti a condividerle».

Un problema, quello del burnout dei preti, assai diffuso. Sul fronte spagnolo Mariabel Rodriguez Fernandez, psichiatra e docente, denuncia: «Penso che ci siano ancora molta repressione e pregiudizi negli ambienti religiosi riguardo all’assistenza sanitaria mentale […] (sussiste) un certo narcisismo che ci impedisce di esprimere la vulnerabilità perché viene imposta un’immagine che paradossalmente la alimenta».

E il sacerdote psicologo Damian Picornell indica così le conseguenze nel vissuto del prete: indebolimento della fede, deterioramento dell’esperienza spirituale, rottura della comunione, difficoltà per il celibato, stili incoerenti, ministero indebolito (cf. Religion digital).

Giustizia e misericordia

Nella sua prima relazione ai vescovi in veste di presidente, il card. Jean-Marc Aveline, vescovo di Marsiglia, ha affrontato anche il tema degli abusi e del possibile riscatto degli abusanti.

In piena continuità con il suo predecessore, mons. Eric de Moulins Beaufort, conferma la scelta della Chiesa francese di continuare «coraggiosamente il cammino di verità nella dolorosa questione degli abusi di tutti i generi commessi al suo interno. Poco a poco, come vescovi di Francia abbiamo imparato a guardare ai fatti a partire dal punto di vista delle vittime che hanno subito le conseguenze lungo la loro vita. Questa dislocazione di prospettiva, l’ascolto sconvolgente della loro sofferenza e del loro dolore, l’accoglienza del loro invito a proseguire umilmente con loro un cammino di verità, hanno avviato per la nostra istituzione ecclesiale un lungo ed esigente lavoro di conversione che dobbiamo proseguire insieme, con le vittime e con il popolo di Dio […] Senza di loro non andremo lontano, ne sono certo. Parlando con alcune delle vittime mi sono convinto della necessità di approfondire la portata teologica di questa crisi che permette di chiarire le falle delle nostre ecclesiologie e quanto essa invita a correggere nella nostra teologia e nell’organizzazione della nostra vita ecclesiale […] Ci vorrà coraggio per osare riconoscere le conseguenze drammatiche del disprezzo delle persone, minori o maggiorenni vulnerabili, da parte del clero e dei laici, troppo sicuri dell’illusoria impunità conferita in base all’ordinazione o al ruolo. E non è impossibile che tale coraggio sia fecondo per un’intelligenza rinnovata del mistero della Chiesa».

Una posizione che conferma quanto il predecessore racconta in una lunga intervista su Études (ottobre 2025) circa il momento più intenso del suo servizio, quando ci fu la presentazione del rapporto della Commissione indipendente sugli abusi (Ciase) nell’ottobre del 2021: «Fu un giorno che non dimenticherò mai. Ma più forte ancora per me fu un giorno di novembre 2021, quando in piena assemblea plenaria della conferenza episcopale, ho annunciato ai giornalisti che i vescovi avevano votato il riconoscimento di responsabilità istituzionale della Chiesa» (p. 71).

Alla conferma del cammino percorso, Aveline aggiunge – anche in seguito alla discussa vicenda di don Spina, condannato in passato per abusi, nominato cancelliere e poi dimessosi – l’opportunità di affrontare il destino degli abusanti che adempiono il percorso di recupero (cf. qui). «Se la Chiesa ha progredito nell’ordine della giustizia, e certo le resta ancora molto cammino da fare, lo sappiamo, è necessario anche avanzare nell’ordine della misericordia, perché il messaggio evangelico su cui è fondata mette in relazione l’uno con l’altro. È importante che, in assemblea, possiamo approfondire serenamente queste difficili questioni», prevedendo di risolvere il problema in tappe successive.

Un’idea della delicatezza del tema l’offre la serie di domande espresse dal vescovo Hervé Giraud (Viviers): «Anzitutto, che cosa dobbiamo ancora capire del traumatismo subito dalle vittime? E poi la questione della ricezione della decisione è fondamentale (quella di ricollocare nel ministero i preti abusanti, ndr) –. È necessario chiedersi se questo può essere accettato dalle vittime, dai fedeli, ma anche di chi è fuori dalla Chiesa».

A chi affidare il cammino di recupero? Chi è in grado di verificarne il risultato? Quali servizi affidare loro? È possibile prevedere una recidiva? Domande complesse che chiedono risposte sapienti e ispirate al vangelo.

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2 Commenti

  1. Marco 18 novembre 2025
  2. Giuseppe 17 novembre 2025

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