
Lo scorso 16 dicembre, nell’Aula Magna del Seminario vescovile di Pistoia si è tenuta la cerimonia di assegnazione della Terza edizione del Premio nazionale di Teologia «Mons. Giordano Frosini» (cf. qui su SettimanaNews). La terza edizione ha premiato il lavoro di Stefano Fenaroli, La teologia della deep incarnation. Indagine, dialogo e prospettive (Queriniana, Brescia 2024). Riprendiamo di seguito il discorso di Fenaroli per l’accettazione del premio
La teologia dell’incarnazione profonda (o della deep incarnation) è una sensibilità, una corrente, una prospettiva teologica nata agli inizi del Duemila grazie alla riflessione di Niels Gregersen, teologo danese luterano, e che progressivamente ha interessato il lavoro di numerosi teologi e teologhe in tutto il mondo e che oggi sta cercando di farsi strada anche nel panorama italiano (e questo mio lavoro è uno dei primi passi per provare a illustrare e fare sintesi in maniera sistematica di questa proposta).
Parlo di «sensibilità» e non di scuola in quanto non c’è un maestro cui poi si affiliano diversi «discepoli» che bene o male ripetono gli stessi concetti, ma c’è un’intuizione di fondo, originaria, che viene poi declinata, sviluppata e portata avanti in maniera singolare e personale nella riflessione dei diversi studiosi e studiose.
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Gregersen, dunque, è il primo che ha utilizzato questa espressione (deep incarnation) per sottolineare il totale coinvolgimento di Dio e della creazione nell’evento dell’incarnazione del Figlio in Gesù. Infatti, dice Gregersen, facendosi carne (sarx) in Gesù, il Logos non ha assunto solo questo singolo individuo di Nazaret (aner), non ha assunto solo il nostro essere-umano (anthropos), ma proprio nel suo divenire un essere-umano ha assunto la matrice stessa di tutto ciò che è creato, ovvero la nostra creaturalità.
In questo senso, facendosi carne, il Logos assume e fa proprio il cuore, l’essenza, la realtà più propria del nostro stesso esistere così come dell’esistere di ogni creatura, umana e non umana. Pensiamo a quanto già affermava Paolo in Rm 8,20-22:
«La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi».
C’è dunque un coinvolgimento nell’evento dell’incarnazione di tutta la creazione, e non solo dell’umanità o, peggio, dell’umanità peccatrice bisognosa di redenzione. Si supera quella prospettiva che legava l’incarnazione al peccato dell’uomo per ricollocarla all’interno di un disegno salvifico più ampio.
E d’altra parte, questa è solo una «prima» assunzione, che dev’essere riletta – dice Gregersen – alla luce della «seconda» assunzione, ovvero la risurrezione e ascensione al cielo. Con la risurrezione, infatti, tutto ciò che siamo, tutto ciò che ci appartiene in quanto creature e che il Verbo ha assunto in Gesù facendosi carne, già ora è presente in Dio, è a sua volta assunto nell’abbraccio trinitario e, come dice Gesù in Giovanni, «ci prepara il posto»: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (14,3-4).
Una duplice assunzione, dunque, che nella singolarità di Gesù riconosce il darsi di un evento teologico in cui tutta la creazione è coinvolta e da cui tutta la creazione riceve la salvezza e una promessa di vita eterna.
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Trovo questa prospettiva di estremo interesse, principalmente per due motivi.
Innanzitutto perché, lungi dal volersi presentare come la novità dirompente e inedita che stravolge ogni discorso teologico, l’incarnazione profonda si riconosce come radicata e impegnata a riscoprire una tradizione teologica che risale fino alle lettere paoline (cf. l’inno di Col 1,15-20), ai Padri apostolici niceni e pre-niceni (Ireneo, Atanasio) e che dopo Calcedonia è stata ripresa da Massimo il Confessore e dalla tradizione francescana (Bonaventura).
Una tradizione che rilegge l’incarnazione nel suo autentico contesto economico-salvifico, quale culmine di un disegno d’amore che parte dalla creazione, in quanto il Verbo incarnato è lo stesso Verbo creatore di cui ci parla sempre il Prologo di Giovanni (Gv 1) e, prima ancora, l’Antico Testamento (Pr 8, Sir 24), e arriva fino alla seconda creazione, alla fine dei tempi, quando Dio sarà tutto in tutti.
Un’unica economia della salvezza che rimette al centro l’evento Gesù nel suo contesto prettamente biblico, quale compimento di una storia della salvezza più ampia, superando dunque quelle derive che spesso hanno portato il discorso cristologico a diventare un conflitto terminologico (persona-natura), filosofico-teologico, specialmente attorno al concilio di Calcedonia (tradizione che da Calcedonia tende ad affievolirsi e a rimanere sempre in secondo piano, riemergendo in alcuni specifici punti della storia della teologia).
Il secondo motivo d’interesse, e ritorniamo così al contesto di questo premio, è la volontà dell’incarnazione profonda di fare propria la sensibilità ecologica dei nostri giorni, impegnarsi nel dialogo con essa e offrire un fondamento credibile e autentico all’importanza del discorso ecologico per la fede cristiana. Un fondamento, dice Gregersen, che non si rifaccia solo al primo articolo di fede (Dio Padre creatore) ma al secondo (il Figlio incarnato). Un dialogo che quindi si impegna anche con le scienze, la biologia, la fisica, e con diverse interpretazioni del mondo e del divino (non ultima la prospettiva post-teista o trans-teista. Nel mio lavoro, infatti, un capitolo è dedicato al confronto con la proposta di Paolo Gamberini, una delle principali visioni post-teiste in Italia).
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Una teologia, quella dell’incarnazione profonda, che ci offre un incontro di passato, presente e futuro, che prova ad alimentare con nuova linfa il lavoro teologico, il suo linguaggio, il suo modo di vedere e di raccontare il mondo.
Il mio lavoro è solo un primo passo su questo sentiero di aggiornamento, un sentiero che al momento non sappiamo forse dove potrà arrivare, quali salite o quali ostacoli dovrà affrontare prima di arrivare a un qualche rifugio o quali compagni metterà al nostro fianco. Questo riconoscimento, tuttavia, offre una preziosa boccata d’ossigeno, è già un chiaro segnavia e, per quanto siamo solo all’inizio, lascia presumere che forse siamo sulla strada giusta e che vale la pena percorrerla fino in fondo.






La lettura dell’importante lavoro di Stefano Fenaroli arricchisce l’intelligenza della fede e la nostra capacità di dialogo, dialogo vero non vuote parole su qualcosa di stucchevole. È l’incarnazione, il primo mistero della nostra fede ed è oggi, non ieri o l’altro ieri, che lo crediamo, lo diciamo, lo annunciamo, gli diamo parola, senza tenercelo nella confort zone di ciò che è acquisito e non ci interroga più
Sguardi interessanti e approfondimenti legati e in continuità con quanto espresso nel credo “il suo regno non avrà fine” in risposta a Eutiche sulla dissoluzione della unione ipostatica o quanto sostenuto da Scoto sulla possibilità dell’Incarnazione non necessitata dal peccato, cosiddetta tesi percettiva della creazione. Risale la montagna del pensare la fede, la fatica del fare teologia, accogliendo la Rivelazione, per “entrare” o lasciarsi portare nel mistero.
Curioso che ci sia accorti ora di tutto ciò. Cioè nulla di nuovo per chi conoscesse il potere salvifico del Vangelo. Vabbè meglio riscoprire una sana acqua calda che darsi al post teismo.
Vero, anche a me è piaciuta molto, e permetterebbe pure di superare tutte le distinzioni di Mancuso tra grazia escatologica e ottimismo della ragione. Se l’uomo è in grado di compiere il bene è perché Gesù si è già incarnato..