
Questa breve nota vuol essere un primo approccio su una vexata quaestio della Chiesa italiana immediatamente precedente e successiva al Concilio Vaticano II. Si tratta di un sintetico avvio storico-teologico per suscitare un dibattito non irenico, ma che vada al centro della «cosa» in questione. È una presa di posizione franca e ardita; ma, a giudizio di chi scrive, oggi più che mai serve «sterrare le radici», per poi ripiantarle più in alto, dove c’è luce, dove meglio respirano. Senza un cimento impegnativo si rischia di confondere la fedeltà con l’abitudine, la memoria con la nostalgia. E allora la radice, anziché nutrire, soffoca. Tutto è scritto con la convinzione di essere obiettivi e non (troppo) partigiani. Salvo meliori iudicio.
Antefatto
L’intervento finale della presidente del Consiglio al Meeting di Rimini 2025 ha suscitato non poche controversie, in particolare per la conclusione che, con linguaggio a dir poco drastico e inusuale, ha deciso di «prender parte» alle storiche discussioni interne al laicato cattolico italiano. Rivolgendosi al popolo dei presenti, Meloni ha così sostenuto:
«Non vi siete rinchiusi nelle sacrestie nelle quali avrebbero voluto confinarvi, ma vi siete sempre “sporcati le mani”. Declinando nella realtà quella “scelta religiosa” alla quale mezzo secolo fa altri volevano ridurre il mondo cattolico italiano, e che san Giovanni Paolo II ha ribaltato, quando ha descritto la coerenza, nella distinzione degli ambiti, tra fede, cultura e impegno politico».
Naturalmente ha sorpreso non poco che Meloni si lanciasse su un terreno che non è a lei esattamente consueto e congeniale. Qualche osservatore ha poi sostenuto che tale «chiusa» non possa certamente essere «farina del suo sacco» o dei suoi spin-doctors di Fratelli d’Italia… Più ancora, è stato lamentato che si è trattata di una indebita e grave ingerenza fatta dal capo del Governo italiano su questioni ecclesiastiche che non le competono in ragione di un sacrosanto principio di laicità, reclamato dal Concordato oltre che da un sano «buon senso» delle distinzioni di ruolo e di funzione fra Stato e Chiesa. Come reagirebbe la maggioranza politica attualmente al potere se organi autorevoli dell’Episcopato italiano entrassero nel merito dell’organizzazione interna dei partiti?
Risalendo all’indietro…
Nel panorama del cattolicesimo italiano del secondo Novecento, pochi rapporti sono stati tanto intensi, problematici e rivelatori quanto quello tra l’Azione Cattolica Italiana (AC) e Comunione e Liberazione (CL). Due realtà ecclesiali profondamente diffuse e radicate, ma segnate da una tensione costante che nasce da differenze strutturali e visioni divergenti: sulla Chiesa, sulla fede, sulla modalità di intendere e mettere in atto l’impegno nel mondo. Non si tratta di una semplice rivalità associativa, ma dello specchio di due diverse «ecclesiologie vissute», due modi di pensare e testimoniare l’unico rapporto con Gesù Cristo, l’indiscutibile centralità della Parola di Dio e la necessità di esercitare la responsabilità dei cattolici nel mondo contemporaneo.
Diversità di origine e di forma
L’AC nasce già nel XIX secolo nel solco dell’insegnamento dei pontefici e, comunque, sotto la guida diretta dell’episcopato locale. È l’associazione ufficiale dei laici che collaborano con la gerarchia per la missione della Chiesa. È un’esperienza di formazione e impegno diffusa capillarmente sul territorio, contrassegnata – a partire dallo Statuto del 1969 – da una struttura democratica, dalla fedeltà alla Chiesa locale e da una forte attenzione alla corresponsabilità ecclesiale.
CL, fondata da don Luigi Giussani, si presenta con questa sigla per la prima volta nel 1969. Costituisce uno sviluppo di Gioventù Studentesca, nata da una costola dell’AC, ma dal 1954, a Milano, sotto la guida di questo sacerdote va via via modificando il profilo originario, configurandosi come esperienza comunitaria, con incipienti tratti carismatici, modellata su linee ecclesiologiche e pedagogiche avanzate del suo leader. Tutti elementi che troveranno conferma e sviluppo teorico-pratico nel passaggio a CL. Il movimento non nasce «per mandato», ma «per attrazione»: è la proposta di un incontro che cambia la vita, di una «presenza» cristiana che si manifesta attraverso legami personali, testimonianza visibile e giudizio culturale.
Ecclesiologie a confronto
Queste differenze si riflettono in due concezioni ecclesiologiche tra loro differenti. L’AC ha interiorizzato profondamente la visione conciliare della Chiesa come popolo di Dio in cammino, struttura sinodale, comunità plurale. Il suo stile è dialogico, inclusivo, rispettoso dei segni dei tempi e dei cammini di ciascuno. Il laico di AC è chiamato ad assumere un ruolo attivo nella Chiesa locale, in comunione con il vescovo, senza sostituirsi al clero né ad altre presenze.
CL, diversamente, si fonda su un carisma fortemente identitario. A detta del movimento, la Chiesa è da riconoscere, anzitutto, come il luogo dell’incontro con una Presenza viva – il «Cristo» – che si comunica attraverso la comunità. Da qui una visione totalizzante, che tende a privilegiare l’esperienza interna al movimento rispetto al cammino ecclesiale più largo. La tensione tra appartenenza carismatica e comunione ecclesiale si è fatta, in alcuni momenti storici, particolarmente evidente.
Il rapporto con Gesù Cristo
Al cuore di ogni differenza v’è la diversa sensibilità nel vivere l’unica e assoluta relazione con Gesù Cristo.
L’AC propone un cammino formativo lungo, sobrio, scandito dalla meditazione della Parola, dalla vita sacramentale e dalla riflessione personale e comunitaria. Cristo lo si incontra nel sacramento dell’eucaristia, nella Parola condivisa, nella vita della Chiesa, nella carità operosa. Non ci sono «folgorazioni», ma lenti processi di maturazione della coscienza credente.
CL pone l’accento sull’incontro come evento fondante e fondativo: «un fatto che accade», un volto, una parola, una comunità che svela il senso della vita. La categoria chiave è quella dell’«avvenimento cristiano», dove Cristo è riconosciuto nella concretezza della «compagnia». La fede per CL è certezza esistenziale, esperienza totalizzante che cambia il modo di vedere tutto. Questo approccio finirebbe per sfociare – secondo taluni osservatori – in un possibile soggettivismo religioso e in una chiusura identitaria.
La Parola di Dio: scuola e vita
Anche il rapporto con la Parola di Dio manifesta differenze di accento. L’AC ha fatto della centralità della Parola una delle sue direttrici fondamentali, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. La lectio divina, l’approfondimento biblico, la liturgia vissuta sono strumenti ordinari per una fede pensata e interiorizzata. La Parola diventa così criterio di giudizio, luce per il discernimento, fondamento della coscienza.
CL, pur valorizzando anch’essa la Parola, ne offre una lettura marcatamente esistenziale e immediata, legata all’esperienza personale dell’incontro. La Scrittura è vista come conferma e radice dell’esperienza vissuta, non tanto come criterio da assimilare criticamente. È la vita a dare senso alla Parola, più che la Parola a illuminare la vita: una prospettiva affascinante, ma non priva di rischi interpretativi.
Il servizio al mondo: mediazione o presenza?
Infine, la grande differenza si gioca sul modo di concepire l’impegno testimoniale nel mondo.
Per l’AC, il servizio al mondo passa attraverso la formazione alla responsabilità personale e civile. Il laico cristiano è chiamato a «essere nel mondo senza essere del mondo», con uno stile sobrio, dialogico, spesso silenzioso ma profondo. L’impegno è vissuto nella comunità civile e politica, nelle istituzioni, nella cultura, secondo criteri di laicità e discernimento, ma ciascuno assume personalmente la propria responsabilità nell’agire nel mondo, senza coinvolgere l’intera associazione, tantomeno la Chiesa. Questa caratteristica è andata connotandosi come «scelta religiosa», che comportava la fine del collateralismo con il partito dei cattolici e quindi l’assunzione del criterio di laicità dello Stato, dei partiti e della politica. Soprattutto, il faro era costituito dalla recezione della prospettiva di Gaudium et spes 76: «La Chiesa, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico».
CL, invece, ha sempre puntato sulla «presenza»: nelle scuole, nell’università, nelle imprese, nelle cooperative, nei mass media. Il cristiano per CL è chiamato a testimoniare un’appartenenza visibile, forte, provocatoria, alternativa. L’identità cristiana si manifesta pubblicamente, attraverso opere e giudizi, anche a costo di apparire controcorrente. Questo ha dato nel passato frutti notevoli, ma ha anche alimentato critiche di autoreferenzialità e protagonismo ecclesiale. In concreto, CL ha finito compattamente per sostenere partiti e/o candidati politici che garantissero le scelte del movimento stesso: una specie di «do ut des», partendo dalla consapevolezza che il movimento aveva una sua linea politica derivante dal «fatto cristiano». In questo senso, qualche osservatore ha annotato che «si tratta di un atteggiamento preconciliare “alla Gedda”, al fine di incidere più efficacemente sulla società italiana».
Sinteticamente, il nodo cruciale è quello di come recepire l’eredità del concilio Vaticano II sul rapporto della Chiesa con il mondo moderno, onde mettere fine alla stagione dell’intransigente rifiuto della modernità, intesa come ricettacolo di errori e deviazioni.
I sostenitori della scelta religiosa si convinsero della necessità di prendere sul serio il soggettivismo moderno e le derive di una secolarizzazione sempre più invasiva, così da ritenere che la vera sfida di una «nuova evangelizzazione» consistesse nell’interpellare le coscienze in termini sempre più personali, rimarcando la netta distinzione tra l’integrità del messaggio evangelico (da annunciare a tutti) e le forme dell’aggregazione politica degli stessi credenti.
L’altra via si proponeva di affrontare la questione della modernità, immaginando di rafforzare nel clima delle libertà moderne un «soggetto popolare» cristiano, una realtà sociale organizzata (con riflessi anche politici), con l’obiettivo di salvaguardare un riferimento alla tradizione e di sostenere un confronto-scontro con altre ideologie e sensibilità non ispirate al cristianesimo. Di conseguenza, la priorità è stata assegnata alla visibilità della presenza sociale dei cattolici, sfociando nella disponibilità non tanto a dialogare, ma ad allearsi tatticamente con realtà politiche di matrice liberale e conservatrice, purché non pregiudizialmente ostili alla identità cristiana.
Due approcci differenti
Nel modello del c.d. discernimento (mediazione) l’impegno del mondo è individuale, nascosto, plurale; viceversa, nel c.d. modello deduttivo (presenza) la «compagnia» che deriva dall’incontro con Cristo è socialmente univoca, compatta, diretta e visibile. Le icone evangeliche – da salvaguardare entrambe – sarebbero quella della città sul monte e quella del lievito e del sale nella pasta.
CL si potrebbe dire con linguaggio teologico professa una cristologia «alessandrina» al limite dell’assorbimento dell’umano nel divino (per praticare poi un un umano che scivola in una logica di presa/gestione del potere e di affarismo). L’assorbimento dell’umano nel divino lo immunizza da ogni verifica critica, esponendo a far passare questa «forma umana» (opere della compagnia) semplicemente come cristiana (compagnia delle opere).
Il rischio in cui potrebbe ricadere una posizione di verso opposto potrebbe essere quella di una «cristologia antiochena», al limite del discioglimento del divino nell’umano, col rischio di perdere in identità e rilevanza, senza verifica autocritica della «forma umana» (plurale e frammentata), quasi nel timore di ogni forma associata nello scenario pubblico. Per altro, a un tale esito non sono certa approdati personaggi quali Vittorio Bachelet e Giuseppe Lazzati, che hanno vissuto e pagato con un diverso prezzo la fedeltà alla «città dell’uomo». Nondimeno da tale esito occorre guardarsi, perché l’appello a una testimonianza soltanto individuale potrebbe approdare all’incapacità di ricercare reti capaci di creare consenso e alleanze comuni a difesa dei valori professati.
Il caso AC e CL è riconducibile al dualismo istituzione-carisma?
Nel tentativo di spiegare le differenze tra AC e CL, alcuni osservatori hanno ricondotto queste due realtà ecclesiali a una presunta opposizione tra istituzione e carisma: da un lato, l’AC sembra a tutta prima incarnare il modello della «istituzione», connotandosi come espressione «ufficiale» della Chiesa gerarchica, regolata e radicata nel sistema ecclesiastico; dall’altro CL si configurerebbe come realtà «carismatica», nata dal basso, animata da una spinta profetica e creativa.
Tuttavia, questa lettura dicotomica si rivela assai riduttiva, se non addirittura fuorviante, alla luce della lezione (già precedente all’ultimo Concilio) del grande teologo Karl Rahner. Questi ha mostrato con lucidità che «istituzione» e «carisma» non sono due poli opposti o alternativi, ma due dimensioni inscindibili della vita della Chiesa. Non esiste istituzione ecclesiale che non sia fondata e vivificata da un carisma originario; allo stesso tempo, ogni carisma autentico, se vuole durare e servire il corpo ecclesiale, deve assumere forme istituzionali, norme, relazioni stabili. In altre parole, non c’è carisma senza istituzione, né istituzione senza carisma. Rahner insegna che la Chiesa è sempre insieme istituzione e mistero, struttura e grazia, norma e profezia. Solo tenendo insieme queste dimensioni si cammina nella verità.
Applicando questa visione al caso di AC e CL, si comprende come entrambe le realtà partecipino di entrambe le dimensioni, seppure in modalità differenti.
L’AC, spesso considerata solo «istituzionale», possiede in realtà una chiara soggettività e un forte carisma: quello del credente che vive la propria fede dentro la Chiesa locale, in corresponsabilità con il vescovo, con uno stile sobrio, formativo e comunitario. È un carisma ecclesiale di lunga durata, che ha originato generazioni di cristiani consapevoli e impegnati, spesso in modo silenzioso ma profondo. La sua istituzionalità non è mera burocrazia, ma forma visibile di una vocazione.
CL è nata come realtà carismatica, ma progressivamente (e inevitabilmente) non ha potuto non assumere una fisionomia istituzionale: con proprie strutture, regole, responsabilità, riconoscimento canonico. Il suo carisma – l’annuncio di Cristo presente «qui e ora» nella compagnia dei credenti – si è dovuto incarnare in modalità operative, relazioni interne, rapporti con la gerarchia. Anche CL ha pertanto un volto istituzionale e un inflessibile controllo sociale del movimento sui suoi adepti.
La contrapposizione rigida tra «istituzione e carisma», riferita a un macro-modello sociologico (weberiano), non aiuta pertanto a comprendere la ricchezza e la complessità delle forme associative ecclesiali. Piuttosto che accentuare le differenze in modo ideologico, è più utile cogliere come AC e CL siano due risposte a una stessa chiamata: vivere e testimoniare Cristo nel tempo presente.
Nel tempo della sinodalità e della corresponsabilità, la vera sfida non è contrapporre carismi e istituzioni, ma riconoscere in ogni esperienza cristiana autentica il soffio dello Spirito e il bisogno di incarnazione storica. La Chiesa è sempre insieme istituzione e mistero, struttura e grazia, norma e profezia. E solo tenendo insieme queste dimensioni si può cercare di camminare nella verità.






Credo che i commenti relativi all’interessante articolo di Vergottini confermino l’esistenza delle due anime: una che, in concreto, rimpiange la Chiesa preconciliare ed una che, invece, è figlia del Concilio. Che dire? È inutile negare le differenze, ci sono e forse è pure normale che ci siano. Una cosa però sarebbe auspicabile: evitare di lanciare anatemi: forse per il Signore l’ammissione al Suo Regno non dipenderà tanto dall’essere stati “clerico fascisti” o “modernisti” o “catto comunisti” quanto dai comportamenti avuti su questa terra: “avevo fame, avevo sete…”
Direi che, citando Luigi Gedda, l’ autore dell’ articolo ha dimenticato di dire che l’ illustre gemellologo aveva fondato la “Società Operaia”, ossia una sorta di AC di categoria molto alta, spiritualmente parlando ( basti dire che si tratta di spiritualità getsemanica…). Ma presto AC preferì volare basso e perse progressivamente forza spirituale. CL ebbe un’ esperienza simile quando iniziò a mandare i suoi a Medjugorje, salvo poi pentirsene improvvisamente. Insomma: le esigenze di una spiritualità alta hanno fatto paura ai dirigenti di AC e CL. L’ esito è quello che iggi conosciamo…
L’intervento di Angela mi ha fatto pensare a quella che è stata anche una mia personale esperienza di prete che ha lavorato nel campo del sociale per trent’anni, anche fondando alcune cooperative sociali. Nello spazio pubblico e progettuale, nei tavoli di lavoro e di programmazione, queste cooperative (che definiamo di ispirazione cristiana) si sono trovate a confrontarsi con altre cooperative di matrice ciellina. Qui mi sembra di aver toccato con mano la fragilità e una certa evanescenza di presenza non solo dell’Azione Cattolica , ma anche dell’associazionismo parrocchiale che fuori dai confini ecclesiali, ha il fiato grosso. Voglio dire che va bene la formazione, la testimonianza personale – ce ne sono di eroiche – ma poi quando ti metti dentro la storia della società che è la storia anche delle istituzioni e quando con loro devi lavorare per avere e dare una vison sul futuro dei paesi e dei quartieri, ad esempio dei servizi alla persona, non basta e non è sufficiente essere “bravi ragazzi di parrocchia”. C’è bisogni di un pensiero, di strumenti condivisi e di capacità progettuale. Insomma ancora molto lavoro da fare.
L’articolo a me è risultato chiaro e argomentato, e l’Autore ha agito da studioso competente ed ha cercato di essere obiettivo.
Altro problema è il giudizio o le preferenze che ciascuno di noi può avere su quello che è avvenuto e che continua ad avvenire sotto i nostri occhi; quello che vorrei dire, cerco di rappresentarlo con un interrogativo: se i laici cattolici che si impegnarono nel confronto politico negli anni della Costituente non fossero stati “alla Gedda”, avremmo avuto i principi politici democratici che hanno fatto da fondamento alla Carta costotuzionale? Perciò, personalmente penso che l’impegno dei laici cattolici nella società dovrebbe essere costante anche oggi!
E se i due modi di essere chiesa si fondessero? Totalmente sale nell’incontro con la società civile e corpo di Cristo nel rapporto tra cristiani. Eviteremmo tutti i pericoli delle singole correnti. È una ecclesiologia che richiede un approfondimento dell modo di esercitare il potere,
Era l’idea di Ruini negli anni 90. Fu un disastro. Non si può fare finta che non esistano le differenze che a volte sono sostanziali. Come in tutte le famiglie occorre provare ad andare d’accordo nonostante le differenza e qualche criticità.
Al netto che pur facendo parte da una vita di AC e avendo al contrario un cugino di CL sul piano pratico alla fine non è che ci fossero tutte queste gran differenze (forse giusto che CL ha trovato più sponda nel centrodestra e AC nel centrosinistra) a me pare che gli ultimi Meeteng abbiano svolto un ruolo che (quando ero ragazza almeno) svolgevano molti incontri in Azione Cattolica. Riflessioni sulla vita, sulla società, sul futuro. Da quel punto di vista AC si è proprio ritirata, o per lo meno a livello diocesano si limita alla catechesi dei ragazzi e fine.
Poi che Meloni abbia cercato di metterci su la faccia è un discorso secondario, poteva tranquillamente mettercela un altro politico, oppure non mettercela sarebbe in ogni caso rimasto un occasione di incontro e riflessione.
Lo dico perchè mi spiace vedere che l’azione cattolica si sta ritirando, è sempre più marginale nella società (e non parlo della politica, parlo proprio dell’essere presente.)
Mia madre, ora 86enne, era tesserata dell’Azione Cattolica dall’anno del Signore 1954, come ho testimoniato nella mia Comunità Neocatecumenale ricevendo come risposta con sarcasmo, arroganza e superbia da parte dei miei confratelli, consorelle, preti e catechisti:” ora a tua madre la fanno santa”, ed in ogni modo come se non fosse servito a niente ed in più ho ricevuto calunnie, critiche e maledizioni da parte dei catechisti, tipo:” diventerai matto” e” non andare avanti nel cammino neocatecumenale che corrisponde al viaggio di pellegrinaggio a Gerusalemme deridendomi e beffandosi di me e mia madre; ma a me non me ne frega niente dato che ho la stessa croce o castigo divino di Mosé che non gli è stato concesso da Dio di entrare nella Terra Santa o Promessa o di Canaan, e mi piace, e voglio assomigliare al Santo Profeta Mosé, a Gesù Cristo, a Sant’Agostino, in c in cui le mamme hanno in comune che li hanno adottati , cresciuti ed educati ad adempiere ad ogni giustizia, come Mosé dalla sorella del Faraone come Gesù dalla Madonna e come Sant’Agostino da Santa Monica ed io così dalla Madonna che nell’intimo mi sta dando la Sapienza che ho cuore sincero e da bambino come San Carlo Acutis e San Pier Giorgio Frassati che la Madonna mi sta facendo prendere come esempio dei Santi di questi tempi come lei ci ha consigliato in uno dei suoi messaggi di Medjugorje, e per San Carlo Acusti e per San Pier Giorgio Frassati e per Padre Pio ho allontanato, o gettato nella spazzatura tutti i miei libri tranne la Bibbia, Breviario e Santo Rosario come rito, Santo Rosario liberatorio e di felicità per me, per quanti leggeranno questo mio commento, per la conversione e salvezza delle anime dei poveri peccatori dell’Inferno, Purgatorio come ci ha esortato la Madonna da Fatima dal 1917, con le preghiere di Comunione Spirituale e unendomi alla Stessa Vergine Maria e a tante anime da salvare in un cammino di p preghiera e occulto martirio come quello di Padre Pio che si è ingebato con le sue preghiere a fare il missionario pur stando fermo nello stesso posto o paese come San Giovanni Rotondo ed io a Crotone a casa mia, con la mia doppia pensione d’invalidità e la pensione di reversibilità della buon’anima di papà; meglio così che per me tutto il mondo è paese come Crotone=San Giovanni Rotondo anche perché è meglio servire come schiavo occulto la Madonna per la mia croce col Santo Rosario piuttosto che farlo in una grande città dove la gente pur essendo capace di crearsi un posto di lavoro in questo Mondo mondo non è capace di crearselo nell’altro come me che ho un bel posto in Paradiso dove spero di andarci come o con la figlia di Iefte, nel libro dei Giudici della Bibbia, che fu offerta in sacrificio a Dio dalli stemanuaci del sessosso Iefte dopo che ella(e spero spero pure io sottoscritto) uscì di casa con danze e tamburelli e con tante anime che la Madonna le salvi, specialmente le lussuriose, perché grazie a lei non sono mai caduto neanche nella tentazione di essere un accanito ⚧️👠📿💡🪔🕯️🤳💘
CL sarà anche nata e cresciuta come movimento ecclesiale, ma i suoi frutti umani tangibili sono: business, affari, clientele, potere, maneggio dei soldi, carriere politiche., etc. Lombardia e Formigoni docent
Quando Formigoni confesserà dove e a chi sono andati a finire i soldi per cui è stato condannato e quando Prodi confesserà da chi ha saputo di via Gradoli e i presidenti sedicenti cattolici Mattarella (l’ alchimista dei trucchi elettorali per impedire la generazione di nuovi partiti e non solo la distruzione programmata dai poteri forti del partito dell’ unico vero santo della politica cattolica italiana) allora questi discorsi accademici diventeranno più interessanti e utili. Ma ci penserà la Madonna a Medugorje a realizzare il Concilio..
Non appena capiremo se i veggenti l’hanno vista davvero ovviamente… Meglio diffidare di tutto e di tutto mi dia retta.
In realtà i due movimenti sono entrambi in crisi. Uno per l’ormai consolidata crisi delle associazioni religiose e non e CL per gli scandali politici dei suoi rappresentanti politici.
Il quadro alla fine da qualunque parti lo si guardi appare stanco e parziale.
1-1 palla al centro; il compianto Pizzul avrebbe detto: “salomonico pareggio”.
Mi è piaciuto l’articolo perché esiste la chiara volontà di superare schemi conflittivi preferendo sottolineare la ricchezza delle differenze come figlie di uno spirito molteplice
Non ho capito bene se siete cattocomunisti, modernisti,oppure non ci avete capito molto.
Secondo me tutte e tre le cose
Saluti
Argomentazione arguta e puntuale!
Non sono né confuso né modernista, e sono anche abbastanza intelligente. Seguo le direttive di santa Romana Chiesa.
Il punto è che se io sono cattocomunista voi siete chiaramente, deliberatamente clericofascisti, quelli appunto che consideravano il “duce” una benedizione per i cattolici e la santa chiesa.
Peccato per voi e anche per l’Italia tutta, che la storia ha dimostrato che così non è stato. Indietro non si torna. Fortunatamente il Tevere è diventato molto più largo. Diamo a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare.
Saluti democratici
Due anime? Fossero solo due… oppure bisogna dire: viva il pluralismo? Ci sta, ma almeno in certibus unitas! E nel resto, magari, più coerenza, meno arbitrio