Le due anime del cattolicesimo italiano nel secondo Novecento

di:

giussani

Questa breve nota vuol essere un primo approccio su una vexata quaestio della Chiesa italiana immediatamente precedente e successiva al Concilio Vaticano II. Si tratta di un sintetico avvio storico-teologico per suscitare un dibattito non irenico, ma che vada al centro della «cosa» in questione.  È una presa di posizione franca e ardita; ma, a giudizio di chi scrive, oggi più che mai serve «sterrare le radici», per poi ripiantarle più in alto, dove c’è luce, dove meglio respirano. Senza un cimento impegnativo si rischia di confondere la fedeltà con l’abitudine, la memoria con la nostalgia. E allora la radice, anziché nutrire, soffoca. Tutto è scritto con la convinzione di essere obiettivi e non (troppo) partigiani. Salvo meliori iudicio.

Antefatto

L’intervento finale della presidente del Consiglio al Meeting di Rimini 2025 ha suscitato non poche controversie, in particolare per la conclusione che, con linguaggio a dir poco drastico e inusuale, ha deciso di «prender parte» alle storiche discussioni interne al laicato cattolico italiano. Rivolgendosi al popolo dei presenti, Meloni ha così sostenuto:

«Non vi siete rinchiusi nelle sacrestie nelle quali avrebbero voluto confinarvi, ma vi siete sempre “sporcati le mani”. Declinando nella realtà quella “scelta religiosa” alla quale mezzo secolo fa altri volevano ridurre il mondo cattolico italiano, e che san Giovanni Paolo II ha ribaltato, quando ha descritto la coerenza, nella distinzione degli ambiti, tra fede, cultura e impegno politico».

Naturalmente ha sorpreso non poco che Meloni si lanciasse su un terreno che non è a lei esattamente consueto e congeniale. Qualche osservatore ha poi sostenuto che tale «chiusa» non possa certamente essere «farina del suo sacco» o dei suoi spin-doctors di Fratelli d’Italia… Più ancora, è stato lamentato che si è trattata di una indebita e grave ingerenza fatta dal capo del Governo italiano su questioni ecclesiastiche che non le competono in ragione di un sacrosanto principio di laicità, reclamato dal Concordato oltre che da un sano «buon senso» delle distinzioni di ruolo e di funzione fra Stato e Chiesa. Come reagirebbe la maggioranza politica attualmente al potere se organi autorevoli dell’Episcopato italiano entrassero nel merito dell’organizzazione interna dei partiti?

Risalendo all’indietro…

Nel panorama del cattolicesimo italiano del secondo Novecento, pochi rapporti sono stati tanto intensi, problematici e rivelatori quanto quello tra l’Azione Cattolica Italiana (AC) e Comunione e Liberazione (CL). Due realtà ecclesiali profondamente diffuse e radicate, ma segnate da una tensione costante che nasce da differenze strutturali e visioni divergenti: sulla Chiesa, sulla fede, sulla modalità di intendere e mettere in atto l’impegno nel mondo. Non si tratta di una semplice rivalità associativa, ma dello specchio di due diverse «ecclesiologie vissute», due modi di pensare e testimoniare l’unico rapporto con Gesù Cristo, l’indiscutibile centralità della Parola di Dio e la necessità di esercitare la responsabilità dei cattolici nel mondo contemporaneo.

Diversità di origine e di forma

L’AC nasce già nel XIX secolo nel solco dell’insegnamento dei pontefici e, comunque, sotto la guida diretta dell’episcopato locale. È l’associazione ufficiale dei laici che collaborano con la gerarchia per la missione della Chiesa. È un’esperienza di formazione e impegno diffusa capillarmente sul territorio, contrassegnata – a partire dallo Statuto del 1969 – da una struttura democratica, dalla fedeltà alla Chiesa locale e da una forte attenzione alla corresponsabilità ecclesiale.

CL, fondata da don Luigi Giussani, si presenta con questa sigla per la prima volta nel 1969. Costituisce uno sviluppo di Gioventù Studentesca, nata da una costola dell’AC, ma dal 1954, a Milano, sotto la guida di questo sacerdote va via via modificando il profilo originario, configurandosi come esperienza comunitaria, con incipienti tratti carismatici, modellata su linee ecclesiologiche e pedagogiche avanzate del suo leader. Tutti elementi che troveranno conferma e sviluppo teorico-pratico nel passaggio a CL. Il movimento non nasce «per mandato», ma «per attrazione»: è la proposta di un incontro che cambia la vita, di una «presenza» cristiana che si manifesta attraverso legami personali, testimonianza visibile e giudizio culturale.

Ecclesiologie a confronto

Queste differenze si riflettono in due concezioni ecclesiologiche tra loro differenti. L’AC ha interiorizzato profondamente la visione conciliare della Chiesa come popolo di Dio in cammino, struttura sinodale, comunità plurale. Il suo stile è dialogico, inclusivo, rispettoso dei segni dei tempi e dei cammini di ciascuno. Il laico di AC è chiamato ad assumere un ruolo attivo nella Chiesa locale, in comunione con il vescovo, senza sostituirsi al clero né ad altre presenze.

CL, diversamente, si fonda su un carisma fortemente identitario. A detta del movimento, la Chiesa è da riconoscere, anzitutto, come il luogo dell’incontro con una Presenza viva – il «Cristo» – che si comunica attraverso la comunità. Da qui una visione totalizzante, che tende a privilegiare l’esperienza interna al movimento rispetto al cammino ecclesiale più largo. La tensione tra appartenenza carismatica e comunione ecclesiale si è fatta, in alcuni momenti storici, particolarmente evidente.

Il rapporto con Gesù Cristo

Al cuore di ogni differenza v’è la diversa sensibilità nel vivere l’unica e assoluta relazione con Gesù Cristo.

L’AC propone un cammino formativo lungo, sobrio, scandito dalla meditazione della Parola, dalla vita sacramentale e dalla riflessione personale e comunitaria. Cristo lo si incontra nel sacramento dell’eucaristia, nella Parola condivisa, nella vita della Chiesa, nella carità operosa. Non ci sono «folgorazioni», ma lenti processi di maturazione della coscienza credente.

CL pone l’accento sull’incontro come evento fondante e fondativo: «un fatto che accade», un volto, una parola, una comunità che svela il senso della vita. La categoria chiave è quella dell’«avvenimento cristiano», dove Cristo è riconosciuto nella concretezza della «compagnia». La fede per CL è certezza esistenziale, esperienza totalizzante che cambia il modo di vedere tutto. Questo approccio finirebbe per sfociare – secondo taluni osservatori – in un possibile soggettivismo religioso e in una chiusura identitaria.

La Parola di Dio: scuola e vita

Anche il rapporto con la Parola di Dio manifesta differenze di accento. L’AC ha fatto della centralità della Parola una delle sue direttrici fondamentali, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. La lectio divina, l’approfondimento biblico, la liturgia vissuta sono strumenti ordinari per una fede pensata e interiorizzata. La Parola diventa così criterio di giudizio, luce per il discernimento, fondamento della coscienza.

CL, pur valorizzando anch’essa la Parola, ne offre una lettura marcatamente esistenziale e immediata, legata all’esperienza personale dell’incontro. La Scrittura è vista come conferma e radice dell’esperienza vissuta, non tanto come criterio da assimilare criticamente. È la vita a dare senso alla Parola, più che la Parola a illuminare la vita: una prospettiva affascinante, ma non priva di rischi interpretativi.

Il servizio al mondo: mediazione o presenza? 

Infine, la grande differenza si gioca sul modo di concepire l’impegno testimoniale nel mondo.

Per l’AC, il servizio al mondo passa attraverso la formazione alla responsabilità personale e civile. Il laico cristiano è chiamato a «essere nel mondo senza essere del mondo», con uno stile sobrio, dialogico, spesso silenzioso ma profondo. L’impegno è vissuto nella comunità civile e politica, nelle istituzioni, nella cultura, secondo criteri di laicità e discernimento, ma ciascuno assume personalmente la propria responsabilità nell’agire nel mondo, senza coinvolgere l’intera associazione, tantomeno la Chiesa. Questa caratteristica è andata connotandosi come «scelta religiosa», che comportava la fine del collateralismo con il partito dei cattolici e quindi l’assunzione del criterio di laicità dello Stato, dei partiti e della politica. Soprattutto, il faro era costituito dalla recezione della prospettiva di Gaudium et spes 76: «La Chiesa, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico».

CL, invece, ha sempre puntato sulla «presenza»: nelle scuole, nell’università, nelle imprese, nelle cooperative, nei mass media. Il cristiano per CL è chiamato a testimoniare un’appartenenza visibile, forte, provocatoria, alternativa. L’identità cristiana si manifesta pubblicamente, attraverso opere e giudizi, anche a costo di apparire controcorrente. Questo ha dato nel passato frutti notevoli, ma ha anche alimentato critiche di autoreferenzialità e protagonismo ecclesiale. In concreto, CL ha finito compattamente per sostenere partiti e/o candidati politici che garantissero le scelte del movimento stesso: una specie di «do ut des», partendo dalla consapevolezza che il movimento aveva una sua linea politica derivante dal «fatto cristiano». In questo senso, qualche osservatore ha annotato che «si tratta di un atteggiamento preconciliare “alla Gedda”, al fine di incidere più efficacemente sulla società italiana».

Sinteticamente, il nodo cruciale è quello di come recepire l’eredità del concilio Vaticano II sul rapporto della Chiesa con il mondo moderno, onde mettere fine alla stagione dell’intransigente rifiuto della modernità, intesa come ricettacolo di errori e deviazioni.

I sostenitori della scelta religiosa si convinsero della necessità di prendere sul serio il soggettivismo moderno e le derive di una secolarizzazione sempre più invasiva, così da ritenere che la vera sfida di una «nuova evangelizzazione» consistesse nell’interpellare le coscienze in termini sempre più personali, rimarcando la netta distinzione tra l’integrità del messaggio evangelico (da annunciare a tutti) e le forme dell’aggregazione politica degli stessi credenti.

L’altra via si proponeva di affrontare la questione della modernità, immaginando di rafforzare nel clima delle libertà moderne un «soggetto popolare» cristiano, una realtà sociale organizzata (con riflessi anche politici), con l’obiettivo di salvaguardare un riferimento alla tradizione e di sostenere un confronto-scontro con altre ideologie e sensibilità non ispirate al cristianesimo. Di conseguenza, la priorità è stata assegnata alla visibilità della presenza sociale dei cattolici, sfociando nella disponibilità non tanto a dialogare, ma ad allearsi tatticamente con realtà politiche di matrice liberale e conservatrice, purché non pregiudizialmente ostili alla identità cristiana.

Due approcci differenti

Nel modello del c.d. discernimento (mediazione) l’impegno del mondo è individuale, nascosto, plurale; viceversa, nel c.d. modello deduttivo (presenza) la «compagnia» che deriva dall’incontro con Cristo è socialmente univoca, compatta, diretta e visibile. Le icone evangeliche – da salvaguardare entrambe – sarebbero quella della città sul monte e quella del lievito e del sale nella pasta.

CL si potrebbe dire con linguaggio teologico professa una cristologia «alessandrina» al limite dell’assorbimento dell’umano nel divino (per praticare poi un un umano che scivola in una logica di presa/gestione del potere e di affarismo). L’assorbimento dell’umano nel divino lo immunizza da ogni verifica critica, esponendo a far passare questa «forma umana» (opere della compagnia) semplicemente come cristiana (compagnia delle opere).

Il rischio in cui potrebbe ricadere una posizione di verso opposto potrebbe essere quella di una «cristologia antiochena», al limite del discioglimento del divino nell’umano, col rischio di perdere in identità e rilevanza, senza verifica autocritica della «forma umana» (plurale e frammentata), quasi nel timore di ogni forma associata nello scenario pubblico. Per altro, a un tale esito non sono certa approdati personaggi quali Vittorio Bachelet e Giuseppe Lazzati, che hanno vissuto e pagato con un diverso prezzo la fedeltà alla «città dell’uomo». Nondimeno da tale esito occorre guardarsi, perché l’appello a una testimonianza soltanto individuale potrebbe approdare all’incapacità di ricercare reti capaci di creare consenso e alleanze comuni a difesa dei valori professati.

Il caso AC e CL è riconducibile al dualismo istituzione-carisma?

Nel tentativo di spiegare le differenze tra AC e CL, alcuni osservatori hanno ricondotto queste due realtà ecclesiali a una presunta opposizione tra istituzione e carisma: da un lato, l’AC sembra a tutta prima incarnare il modello della «istituzione», connotandosi come espressione «ufficiale» della Chiesa gerarchica, regolata e radicata nel sistema ecclesiastico; dall’altro CL si configurerebbe come realtà «carismatica», nata dal basso, animata da una spinta profetica e creativa.

Tuttavia, questa lettura dicotomica si rivela assai riduttiva, se non addirittura fuorviante, alla luce della lezione (già precedente all’ultimo Concilio) del grande teologo Karl Rahner. Questi ha mostrato con lucidità che «istituzione» e «carisma» non sono due poli opposti o alternativi, ma due dimensioni inscindibili della vita della Chiesa. Non esiste istituzione ecclesiale che non sia fondata e vivificata da un carisma originario; allo stesso tempo, ogni carisma autentico, se vuole durare e servire il corpo ecclesiale, deve assumere forme istituzionali, norme, relazioni stabili. In altre parole, non c’è carisma senza istituzione, né istituzione senza carisma. Rahner insegna che la Chiesa è sempre insieme istituzione e mistero, struttura e grazia, norma e profezia. Solo tenendo insieme queste dimensioni si cammina nella verità.

Applicando questa visione al caso di AC e CL, si comprende come entrambe le realtà partecipino di entrambe le dimensioni, seppure in modalità differenti.

L’AC, spesso considerata solo «istituzionale», possiede in realtà una chiara soggettività e un forte carisma: quello del credente che vive la propria fede dentro la Chiesa locale, in corresponsabilità con il vescovo, con uno stile sobrio, formativo e comunitario. È un carisma ecclesiale di lunga durata, che ha originato generazioni di cristiani consapevoli e impegnati, spesso in modo silenzioso ma profondo. La sua istituzionalità non è mera burocrazia, ma forma visibile di una vocazione.

CL è nata come realtà carismatica, ma progressivamente (e inevitabilmente) non ha potuto non assumere una fisionomia istituzionale: con proprie strutture, regole, responsabilità, riconoscimento canonico. Il suo carisma – l’annuncio di Cristo presente «qui e ora» nella compagnia dei credenti – si è dovuto incarnare in modalità operative, relazioni interne, rapporti con la gerarchia. Anche CL ha pertanto un volto istituzionale e un inflessibile controllo sociale del movimento sui suoi adepti.

La contrapposizione rigida tra «istituzione e carisma», riferita a un macro-modello sociologico (weberiano), non aiuta pertanto a comprendere la ricchezza e la complessità delle forme associative ecclesiali. Piuttosto che accentuare le differenze in modo ideologico, è più utile cogliere come AC e CL siano due risposte a una stessa chiamata: vivere e testimoniare Cristo nel tempo presente.

Nel tempo della sinodalità e della corresponsabilità, la vera sfida non è contrapporre carismi e istituzioni, ma riconoscere in ogni esperienza cristiana autentica il soffio dello Spirito e il bisogno di incarnazione storica. La Chiesa è sempre insieme istituzione e mistero, struttura e grazia, norma e profezia. E solo tenendo insieme queste dimensioni si può cercare di camminare nella verità.

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18 Commenti

  1. Lucio Croce 18 settembre 2025
  2. Don Paolo Andrea Natta 16 settembre 2025
  3. Marino 16 settembre 2025
  4. Paolo 15 settembre 2025
  5. Samuele 15 settembre 2025
    • Pietro 15 settembre 2025
  6. Angela 14 settembre 2025
  7. Aldo 14 settembre 2025
  8. Gustavino 14 settembre 2025
    • Gianpietro Contarin 14 settembre 2025
      • Pietro 16 settembre 2025
    • Pietro 15 settembre 2025
  9. Alberto Farina 14 settembre 2025
  10. Vito 14 settembre 2025
  11. Ricciardi Roberto 14 settembre 2025
    • Paolo 16 settembre 2025
    • Gustavino 16 settembre 2025
  12. 68ina felice 14 settembre 2025

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