
Discorso impegnativo e rilevante quello pronunciato da papa Leone XIV davanti ai partecipanti al giubileo delle Chiese orientali (cf. qui).
Si tratta di numerose Chiese che troviamo in parti diverse del mondo, come attesta la gran folla di partecipanti, segnata dalla presenza di tanti ucraini, indiani e molti altri.
La fede e il potere politico
Tra queste Chiese, soprattutto in alcune aree, è diffusa una cultura, una tradizione, una storia diversa dalla nostra, che sovente esse hanno contribuito a fare anche di queste Chiese degli “interlocutori” del potere politico nazionale influenzato da una idea, quella della sinfonia tra potere politico e spirituale, che le ha sovente “nazionalizzate”, pur essendo quelle cattoliche parte della Chiese universale.
Questa storia ha posto in forme diverse anche il problema di essere distinte, diverse dal potere politico nazionale, anche nell’ambito cattolico.
Così mi appare molto rilevante che la parte iniziale del discorso abbia sottolineato la loro valenza e rilevanza spirituale, ecclesiale, liturgica, messa in risalto dall’iniziale citazione di Francesco: «Sono Chiese che vanno amate: custodiscono tradizioni spirituali e sapienziali uniche, e hanno tanto da dirci sulla vita cristiana, sulla sinodalità e sulla liturgia; pensiamo ai padri antichi, ai Concili, al monachesimo: tesori inestimabili per la Chiesa».
Chiese orientali e migrazioni: un patrimonio da custodire
Di qui, avvalendosi di un’altra citazione, di Leone XIII, il papa ha aggiunto la conseguente preoccupazione: «La sua preoccupazione di allora è molto attuale, perché ai nostri giorni tanti fratelli e sorelle orientali, tra cui diversi di voi, costretti a fuggire dai loro territori di origine a causa di guerra e persecuzioni, di instabilità e povertà, rischiano, arrivando in Occidente, di perdere, oltre alla patria, anche la propria identità religiosa. E così, con il passare delle generazioni, si smarrisce il patrimonio inestimabile delle Chiese Orientali».
Qui si pone un problema evidente: come conservare nella Chiesa universale questo patrimonio? Leone XIII, ha ricordato Leone XIV, arrivò a indicare che chi avesse attirato verso la Chiesa latina qualche orientale fosse destituito dal suo ufficio.
Dunque si tratta di un patrimonio da difendere non solo nelle sue diverse terre, ma anche qui nella loro diaspora: «In questo senso chiedo al Dicastero per le Chiese Orientali, che ringrazio per il suo lavoro, di aiutarmi a definire principi, norme, linee guida attraverso cui i Pastori latini possano concretamente sostenere i cattolici orientali della diaspora e a preservare le loro tradizioni viventi e ad arricchire con la loro specificità il contesto in cui vivono».
Leggendo mi sembra almeno probabile che non si tratti di quella giurisdizione universale sui loro fedeli che si dice sarebbe stata richiesta da alcuni patriarchi anni fa e che sembrerebbe mettere in dubbio l’universalità stessa della Chiesa, ricordando la strana prassi acquisita in tempi recenti dalla Chiesa ortodossa russa.
Piuttosto qui il papa chiede, dimostrando competenza e conoscenza, di trovare le forme giuste perché i pastori latini aiutino la custodia della ricchezza liturgica orientale, preservando la propria specificità: «Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali. In esse il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti. Abbiamo bisogno di lodare e ringraziare senza fine il Signore per questo».
A me sembra evidente che il discorso si sposti sulla valorizzazione e preservazione di queste ricchezze, passando per la liturgia in particolare, che molto spesso è poco conosciuta.
Leone XIV ha quindi aperto un altro capitolo: perché tanta emigrazione dalle terre d’origine? «Dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza! E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del papa, ma di Cristo, che ripete: “Pace a voi!”».
Diplomazia vaticana a servizio della sofferenza dei popoli
Siamo arrivati alla proposta che ha colpito molti e di cui si darà subito conto, ma va notato che in tutto questo testo il papa non ha mai nominato l’Islam. Non lo ha fatto, coraggiosamente, lasciando almeno in me la sensazione che sia la politica più che la religione sul banco degli imputati (anche per le gravi ricadute che ha avuto sulle religioni).
Le sue parole appena citate indicano chiaramente che a soffrire sono i popoli, e questa sofferenza dovrebbe provocare sdegno per le sue modalità. Questa sofferenza, che altri discorsi riducono o limitano, qui viene presentata in tutta la sua evidenza, senza cenno a riduzioni o compartimentalizzazioni. E cosa ne ha dedotto?
Ne ha dedotto ciò che ha giustamente colpito: «Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo».
Quel “negoziamo” dice chiaramente che la diplomazia vaticana è a disposizione, per negoziare, aggiungendo con acuta precisione: «La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta, cuciono trame di pace; e i cristiani – orientali e latini – che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle. Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. Vi prego, ci si impegni per questo!».
La bussola della pari cittadinanza, la comune e pari cittadinanza, seguita da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco è qui chiaramente confermata.






Le Chiese Orientali esistono prima di Roma (prima, seconda o terza che sia) e soprattutto anche senza di essa, e non hanno bisogno di riconoscimento alcuno essendo apostoliche, patriarcali e autocefale (e senza alcuna concessione verso una qualunque forma arbitraria di episcopato monarchico successivo).
Che sia dunque Roma a mettersi in cerca di ciò che essa stessa ha perduto e abbandonato nei secoli, per ritrovare anzitutto se stessa e solo dopo una presunta “Unità dei Cristiani”, per mille anni presente in Oriente prima della svolta imperiale coraggiosamente condannata da Fozio, che ha portato a uno Scisma che non potrà mai essere ricomposto senza il mea culpa sincero e pentito della Sede romana “prima inter pares” (e null’altro).
Ogni altra forma di colonizzazione teologica sarà solo un residuo della dominazione passata, contro cui si è sempre eretta l’Ortodossia dell’Oriente nella sua difesa della “vera fede” dei Padri: questo io penso e rivendico, senza concessioni bonarie ma al tempo stesso anche senza rancore… e così sia.
Quante rancorose falsità, tutte in una volta… Viva l’ecumenismo!
Ogni tanto qualcuno dice le cose come sono (più o meno, perché la Terza Roma resiste “e non ve ne sarà una Quarta”): l’unica cosa su cui non concordo è l’idea (sottintesa) che le cose non possano cambiare in futuro, ma per il resto l’osservazione è giusta.
Grazie.
In Russia ogni domenica vanno in chiesa meno persone di quante ve vanno in Italia ( 2 milioni verso 3-5).
La Chiesa Russa in Occidente è in crisi profonda (negli USA ha perso metà dei fedeli in 50 anni)
La Chiesa Russa è un morto che cammina che sembra vivo e attivo solo per i soldi che gli dà lo Stato.
Quando finiranno sarà dura
La Chiesa di Roma esiste da 50 d.C. ed è una delle Chiese più antiche
Bellissimo riconoscimento. Si è dono gli uni per gli altri e si mette al centro il Signore datore dei doni attraverso il Suo Spirito