Meglio senza barare

di:

dottrina sociale

Viviamo in un mondo accelerato in cui siamo spinti a produrre e consumare, una corsa che sembra dover culminare in una sorta di Operación Triunfo [un talent show della TV spagnola – ndr] con un «successo» che non ci allarga affatto l’anima. In questa folle corsa verso il nulla, a volte (o sempre?) smettiamo di guardarci intorno e di verificare la situazione di chi ci circonda.

Se facessimo questo semplice esercizio di osservazione, verificheremmo qualcosa di evidente: non tutti partiamo da zero. Quando il fischio annuncia l’inizio della gara, ci sono molti (troppi) che iniziano la corsa da molto più indietro della immaginaria linea di partenza. Vivono in case fatiscenti, non hanno la più pallida speranza di trovare un lavoro o di accedere all’assistenza sanitaria e all’istruzione, a causa della mancanza di documenti «in regola».

Molti di loro sono stati costretti a lasciare la propria casa, la propria famiglia, la propria patria. Sono immigrati in terra straniera, tagliati fuori da quasi tutto. E se sono arrivati fin qui è perché la loro vita era appesa a un filo: vivevano in condizioni di estrema povertà (anche peggiore di quella presente in Europa) e subivano persecuzioni a causa delle loro idee politiche, della loro fede religiosa o del loro orientamento sessuale; oppure, cosa che a volte viene dimenticata, erano vittime dell’ingiustizia climatica. O della «colpa ecologica», come scrive papa Francesco.

Succede quando le nostre multinazionali (americane, canadesi, cinesi, europee, spagnole…) operano in polmoni verdi come l’Amazzonia o il Congo e devastano completamente i territori e i loro abitanti, molti dei quali popolavano quelle vaste regioni da tempo immemorabile. Non è solo che inquiniamo i loro fiumi e le loro terre, che ci coalizziamo con governi locali corrotti perché girino lo sguardo o perseguitiamo e persino uccidiamo i leader di quei popoli che osano alzare la voce. È che, direttamente, soffochiamo al punto da costringere all’estinzione i popoli indigeni la cui identità unica non potrà più contribuire all’umana armonia.

Una risposta essenziale sarebbe far approvare dai nostri rappresentanti nazionali e continentali leggi di due diligence in base alle quali le nostre aziende possano essere giudicate con la severità della nostra legge se violano i diritti umani in altri territori stranieri. Sarebbe il primo passo per far sì che in questa folle corsa prevalgano norme eque. Sarebbe scommettere sulla giustizia sociale. Ciò significherebbe smettere di barare, poiché non tutti partiamo da zero. Ma sappiamo bene che non accadrà.


Mejor sin trampas

Vivimos en un mundo acelerado en el que somos aguijoneados a base de impactos para producir y consumir, hasta culminar esa hipotética Operación Triunfo con un “éxito” que en nada nos ensancha el alma. En esa alocada carrera hacia la nada, a veces (¿todas?) dejamos de mirar a nuestro alrededor para comprobar cuál es la situación de los que nos rodean.

Si lleváramos a cabo este simple ejercicio de observación, comprobaríamos algo evidente: no todos partimos de cero. Cuando el silbato indica el inicio de la carrera, hay muchos (demasiados) que inician la zancada desde mucho más atrás de la aparente línea de salida. Viven en casas deterioradas, carecen de la simple esperanza de acceder a un trabajo o su acceso a la sanidad y a la educación se ve comprometido por la ausencia de una documentación “en regla”.

Bastantes de ellos han tenido que verse obligados a dejar su hogar, su familia, su patria. Son inmigrantes en tierra extraña, desconectados de casi todo. Y, si están aquí, es porque su contexto vital pendía de un hilo: sufrían pobreza extrema (incluso más que aquí); padecían persecución por sus ideas políticas, por su fe religiosa o por su orientación sexual; o, en un caso a veces olvidado, eran víctimas de la injusticia climática. O del “pecado ecológico”, como lo llama el papa Francisco.

Esto se produce cuando nuestras multinacionales (estadounidenses, canadienses, chinas, europeas…, españolas…) operan en pulmones verdes como la Amazonía o el Congo y devastan por completo sus territorios y a sus habitantes, que en gran parte poblaban esas vastas regiones desde tiempos ancestrales. No es solo que contaminemos sus ríos y tierras, nos coaliguemos con gobiernos locales corruptos para que miren a otro lado o persigamos y hasta asesinemos a los líderes de esos pueblos que osan levantar la voz. Es que, directamente, ahogamos hasta forzar su extinción a pueblo indígenas cuya identidad única dejará de contribuir su aporte a la armonía humana.

Una respuesta esencial es que nuestros representantes nacionales y continentales aprobaran leyes de debida diligencia, por las que se juzgara con la severidad de nuestra ley a empresas nuestras que puedan vulnerar derechos humanos en otros territorios extranjeros. Sería el primer paso para que, en esa alocada carrera, rigiera un reglamento equitativo. Sería apostar por la justicia social. Sería dejar de hacer trampas, ya que no partimos de cero. Pero todos sabemos que no ocurrirá.

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3 Commenti

  1. Maria Laura Innocenti 2 aprile 2025
  2. Don Paolo Andrea Natta 1 aprile 2025
  3. Aldo Ciaralli 1 aprile 2025

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