
Un beduino all’esterno del Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai (Photo by Andre Durand / AFP)
La complessa vicenda che interessa il monastero ortodosso sul monte Sinai (Egitto) si avvia (forse) a soluzione (cf. qui su SettimanaNews).
Dopo il paventato pericolo della chiusura per farne area turistica, si è ora in attesa dell’elezione del nuovo igumeno (superiore) e di una sistemazione istituzionale meno precaria. Oltre alla comunità monastica e al suo attuale igumeno, il vescovo Damiano del Sinai (al secolo Samardzis, nato nel 1935), la vicenda ha coinvolto la Chiesa greca e il patriarcato di Costantinopoli, il patriarcato ortodosso di Gerusalemme e la sua giurisdizione sul convento, i governi egiziano e greco. Sullo sfondo resta anche la divisione dell’ortodossia fra radice ellenica e slava.
Costruito sul luogo che la tradizione cristiana riconosce come il sito dove Dio si è manifestato a Mosè e dove di custodiscono le spoglie di santa Caterina è un riferimento per molti dei pellegrini di Terra Santa. La cronistoria può essere di aiuto.
28 maggio 2025
Una sentenza della corte di appello del Cairo stabilisce l’appartenenza dell’area allo stato egiziano e sembra porre in questione la sopravvivenza del monastero. I monaci chiudono le porte a tutti. La Chiesa greco-costantinopolitana che, assieme allo stato greco, ha funzione di tutoraggio sull’istituzione monastica si ribella.
Convulse relazioni fra i due governi (greco e cairota) chiariscono: non si tratta affatto di un sequestro, che riguarda semmai aree lontane, quanto di una riformulazione giuridica per una presenza monastica che rimonta all’imperatore Giustiniano (546), alla garanzia del profeta Maometto (623), del sultano Selim (1517) e di tutti i successivi potentati fino ad oggi.
Pare perdere forza l’accordo verbale fra i due presidenti (Kyriakos Mitsotakis e Abdel Fattah al-Sisi) raggiunto nel dicembre 2024 ad Atene e il contratto extra-giudiziario abbozzato e non pubblico fra il monastero e lo stato egiziano.
30 luglio 2025
La comunità monastica (una ventina di monaci di varie provenienze, nessuno con cittadinanza egiziana eccetto l’igumeno) si autoconvoca senza la presenza del vescovo Damiano e ne decreta le dimissioni dopo 52 anni di presidenza.
In una lettera (con 15 firme) i monaci invocano l’intervento del patriarca di Gerusalemme, Teofilo III, per la verifica della decisione e l’avvio della successione. Egli si intesta l’operazione e, dopo una lettera di mons Damiano che sembra consentire, avvia una visitazione al monastero e a mons. Damiano (in Grecia).
1° agosto 2025
Il parlamento greco, in seduta comune, decreta praticamente all’unanimità il riconoscimento di persona giuridica al monastero. Va ricordato che non si tratta solo dell’area monastica sinaitica, ma anche di altre 30 sedi e possedimenti in Egitto, Libano, Cipro e Costantinopoli e, in particolare, in Grecia.
Oltre ai monaci, sono circa 900 le persone coinvolte nell’insieme delle presenze legate alla sede sinaitica. Il monastero gode di una autonomia-autocefalia garantita dal patriarcato di Costantinopoli nel 1575 e confermata nel 1782, anche se la Chiesa madre è quella di Gerusalemme a cui sembra spettare la nomina del superiore.
6-8 agosto 2025
La delegazione del patriarcato di Gerusalemme incontra in Grecia i rappresentanti di mons. Damiano dopo tre giorni di attesa.
Il dialogo in vista di una soluzione concordata è reso difficile da una lettera del vescovo che nega la pertinenza del patriarca di Gerusalemme nella vicenda e ne denuncia la vicinanza ai monaci contestatori. Afferma di non aver mai fatto appello al patriarca. Non essendo protocollata, la lettera viene ignorata dalla delegazione senza però ottenere il via libera alla prosecuzione dei contatti.
L’igumeno chiede ai suoi contestatori di motivare la loro richiesta per le sue dimissioni accusandoli di usurpazione, faziosità e illegalità. Negli stessi giorni i due ministri degli esteri (Badr Abdelatty e Gerge Garapetritis) convergono nell’assicurare la continuità del culto, l’identità greco-ortodossa della fondazione e la ricerca dello status giuridico. Annunciano un prossimo accordo fra l’Egitto e il monastero.
27-29 agosto 2025
Il vescovo Damiano si reca al monastero trovando resistenze e conflitti. Torna poi, spalleggiato dalla polizia egiziana, e fa espellere dodici dei monaci, impedendo l’autoconvocazione dell’assemblea monastica e nominando il nuovo gruppo dirigente.
Viene pubblicata una lettera di fuoco dei dissidenti che accusano mons. Damiano di vivere in prevalenza fuori del monastero, di non convocare le riunioni previste dagli statuti, di ripetuti abusi finanziari ed economici, di contratti dannosi con istituzioni universitarie straniere, di aver favorito la legge greca sulla personalità politica del monastero senza l’approvazione della comunità, di convivere more uxorio con una collaboratrice che gli è sempre accanto.
La riposta di mons. Damiano accusa i monaci di “guerra civile” e di “colpo di stato”, ironizzando sulle accuse circa i suoi comportamenti morali (cosa avrebbero sospettato se ad accompagnarlo fosse un giovane maschio?).
Nel frattempo, il patriarcato ecumenico di Costantinopoli riconosce come legittimo e canonicamente valido il servizio da igumeno di mons. Damiano.
4-8 settembre 2025
In una dichiarazione pubblica il vescovo Damiano annuncia le sue dimissioni: «È arrivato il momento di assumere le mie responsabilità e di garantire le procedure per la mia successione che cominciano da adesso e devono essere portate a termine rapidamente nella maniera conforme ai canoni, affinché la santa comunità sinaitica di nuovo unita si concentri sulla soluzione del problema».
Ricorda il giudizio negativo comune sulla sentenza della corte di appello del Cairo e le domande condivise circa il futuro: il riconoscimento della personalità giuridica nel contesto legislativo egiziano, l’attribuzione della cittadinanza egiziana al nuovo superiore, il permesso di soggiorno speciale per i monaci di altra provenienza, la protezione del patrimonio dei manoscritti (4.500 volumi antichi) e delle icone (2.000), il carattere sacro e il valore artistico del monastero riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Afferma risolutamente la validità della legge greca approvata a garanzia dell’istituzione, la necessità di nuove entrate nel monastero e la riaffermata identità canonica (autonomia, autocefalia, libertà, inviolabilità, non sottomissione ad alcun patriarcato).
Ricorda, inoltre, lo strano silenzio di molte delle Chiese ortodosse nella vicenda drammatica in corso e la pretesa del patriarcato di Gerusalemme di «trasformare il santo monastero del Sinai in semplice monastero sottomesso» alla sua autorità. «Per questa situazione di discordia e di divisione nel mondo ortodosso la responsabilità incombe esclusivamente sul patriarcato di Mosca e tutta l’ortodossia ne paga le conseguenze».
In un momento di enorme difficoltà per tutte le presenze cristiane dell’area, l’intervento dello stato greco si è rivelato necessario. Accusa il patriarca di Gerusalemme di avere frainteso la sua prima lettera informativa e di volere ridurre il monastero ad una appendice del patriarcato. Trova irritante che il sinodo di Gerusalemme abbia annunciato l’8 settembre le sue dimissioni come fossero in capo all’organismo e non a lui stesso, fissando la data del 12 settembre per la scadenza ufficiale.
Una storia complessa e dolorosa, che non ha ancora un punto finale e sembra poter trovare un esito grazie al ruolo mediatore dei governi di Egitto e di Grecia.
14 settembre 2025
La comunità monastica del Sinai elegge il nuovo igumeno con 19 voti su 20. È l’archimandrita Simeon Papadopoulos, finora attivo nel monastero di Alepochori in Grecia, ma nel passato bibliotecario nel monastero del Sinai. Si attende ora la consacrazione a vescovo da parte del patriarca di Gerusalemme, Teofilo, che non ha mancato di irritare le comunità elleniche. Nel viaggio a Istanbul (14 settembre) non ha visitato il patriarca Bartolomeo com’è nella tradizione. (Aggiunta del 16 settembre).






Il mondo monastico è in fermento un po’ ovunque: il bello è che non lo fa per il Vangelo, ma per motivi di potere e politici. Senza dubbio tutte queste rivendicazioni non fanno bene alla vita ecclesiale, perché portano in essa le contestazioni e gli scontri che appartengono al mondo esterno. La via del Vangelo è quella dell’amore e della pace, della rinuncia a sé e al proprio modo di vedere. La vita fraterna è gravemente danneggiata e non è più segno di comunione con Dio e con il prossimo.