
Silvestr (Stojčev), vescovo di Belgorod, vicario della metropolia di Kiev
Il Consiglio ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose che raccoglie le 16 principali comunità di fede (compresi ebrei e musulmani) ha preso una dura posizione contro gli scandali di corruzione che hanno coinvolto alcuni fra i vertici dello stato, anche molto vicini al presidente, Volodymyr Zelensky (16 novembre).
Un duro colpo
Mentre il popolo sta consumando le sue forze per sconfiggere l’aggressione russa «manifestazioni di corruzione senza precedenti non sono solo la prova di un profondo declino morale, ma anche un tradimento della fiducia del popolo e lo stato commesso da coloro che si sono resi colpevoli di questi crimini. La corruzione è sempre particolarmente pericolosa ai massimi livelli del potere e in ruoli chiave che garantiscono la capacità difensiva dello stato, e questo è ancora più vero oggi. Tali azioni di fatto aiutano l’aggressore perché minano la capacità dell’Ucraina di difendersi causando demoralizzazione».
Esse sono un affronto per quanti sono impegnati contro le truppe di invasione russa. Conseguentemente le Chiese chiedono una severa indagine e una giusta punizione per i colpevoli. «Solo una risposta risoluta, onesta e responsabile – sia da parte degli organi e dei funzionari statali sia da parte della società civile nel suo complesso – può contribuire a sanare la ferita inflitta, ripristinare la fiducia e dimostrare che lo stato difende la verità e la giustizia ed è in grado di resistere non solo alle aggressioni esterne, ma anche alle sfide distruttive interne».
Lo scandalo corruttivo di decine di milioni di euro ha coinvolto i responsabili di aree strategiche come l’energia nucleare, le aziende elettriche e del gas. Si sono dimessi i ministri della Giustizia e dell’Energia e otto alti funzionari. È coinvolto anche l’ex-vicepresidente O. Chernishov e l’amico personale del presidente, T. Mindich. Alcuni sono già fuggiti all’estero. Lo scandalo minaccia di far collassare un Paese già stremato da tre anni di guerra.
La sua gravità è legata anche al coinvolgimento diretto della società civile nel conflitto. La sorprendente capacità di resistenza rispetto all’enorme potenza militare russa è motivata dalla inventività e autonomia con cui i cittadini-soldati hanno reagito, inventando forme locali di contenimento e risposta alle truppe straniere, poi assunte dai responsabili militari. In continuità con la partecipazione civile alle «rivoluzioni colorate» dei decenni scorsi.
Uscire dall’impasse
La risoluta e prudente reazione delle Chiese è legata all’annosa questione della corruzione a cui loro stesse non sono estranee, ma soprattutto al «costo» che stanno pagando alla costruzione di un sentimento nazionale di una democrazia compiuta.
La divisione interna alle Chiese ortodosse in ragione dell’autocefalia concessa da Costantinopoli e accolta solo da una parte delle comunità (metropolita Epifanio) si è esasperata per la non chiarita collocazione delle comunità ancora formalmente legate a Mosca (metropolita Onufrio), sottoposte ad una legge che pretende un chiarimento definitivo in merito (cf. qui su SettimanaNews).
Nei loro confronti sono stati avviati in questi tre anni di guerra 78 procedimenti penali, coinvolgendo 27 gerarchi (fra cui metropoliti e arcivescovi. 40 di essi sono già stati condannati, fra cui quattro arcivescovi. 19 alti gerarchi sono stati privati della cittadinanza, fra cui il metropolita Onufrio. Nell’insieme i provvedimenti censori riguardano 208 persone. La pressione amministrativa e legislativa si è fatta pesante. Sono centinaia i processi civili e amministrativi in atto verso monasteri, comunità e singoli consacrati coinvolti nell’accusa di connivenza con il nemico russo.
In tale contesto emergono tentativi, discussioni e ipotesi per superare l’impasse attuale.
Ne registro due. Il primo è in capo al teologo Paul Pavel Liberman che ne ha scritto su Orthodox Times (4 novembre, cf. qui il testo originale). Per evitare che sia la politica a determinare il futuro delle Chiese ucraine e senza violare le indicazioni del tomo di autocefalia già concessa Liberman propone un esarcato «temporaneo» per accogliere quella parte della Chiesa «filo-russa» che desidera recidere definitivamente i legami con Mosca ma rifiuta per ragioni canoniche e teologiche di unirsi alla Chiesa che fa capo a Epifanio.
L’esarcato dovrebbe essere recepito dal patriarca di Costantinopoli in ragione dell’«economia» pastorale e per evitare che sia Mosca o il governo ucraino a gestire il contrasto ecclesiale. Esso «costituirebbe uno spazio di transizione per coloro che sono disposti a ritirarsi volontariamente dal patriarcato di Mosca, coloro che sono pronti a rivedere definitivamente i legami con Mosca ma che per ragioni oggettive personali o storiche non possono riconoscere l’autorità del metropolita Epifanio».
Meno esposta ma non contraddittoria la posizione dell’arcivescovo Silvestro (Stojčev) di Belgorod, rettore dell’accademia di Kiev e vicario della metropolia della capitale. In un podcast messo in rete il 18 settembre il vescovo, appartenente alla Chiesa non autocefala, sostiene l’opportunità di un riconoscimento pieno di autocefalia per la Chiesa di Onufrio da ottenere nel dialogo con Mosca e Costantinopoli. Partendo dalle decisioni radicali approvate dal Concilio di Feofaniya (Kiev), celebrato il 27 maggio del 2022, il presule ritiene che dopo la «svendita» della Chiesa russa a vantaggio di Putin, non ci sia altra strada che proseguire verso una totale autonomia.
La posizione ha scatenato un putiferio e ha fatto emergere quella parte della Chiesa di Onufrio che è ancora schierata a fianco di Cirillo di Mosca, che grida alla persecuzione e che ritiene intollerabile un dialogo con chi sostiene lo scisma provocato da Bartolomeo di Costantinopoli. Una posizione che di fatto ritiene il Concilio irrilevante e delegittima l’esplicita condanna di Onufrio verso l’aggressione russa. Inoltre essa giustifica indirettamente la legge recente e le decisioni canonicamente scorrette prese dal sinodo di Mosca sulle diocesi dei territori occupati, contraddicendo la pratica di Chiese vicine come quelle polacche, serbe, bulgare e georgiane che pur non accettando l’autocefalia di Epifanio nondimeno continuano la piena comunione con Costantinopoli.





