
Anne Soupa
La biblista Anne Soupa si è candidata al ruolo di vescovo di Lione, dopo le dimissioni del card. P. Barbarin. La richiesta è formulata in una lettera ricca di motivazioni e in un curriculum vitae in buona e dovuta forma. Ne da notizia La Croix nell’edizione on-line di oggi (25 maggio).
«So bene che questo non si fa, ma vorrei rendere possibile immaginare che una donna possa diventare arcivescovo senza ridurre la cosa a una battuta di spirito». Una provocazione per denunciare «l’invisibilità in cui sono tenute le donne nella Chiesa». «Alcuni diranno che ho la faccia tosta per propormi. D’accordo, ma vorrei chiedere loro, oltre la prima immediata reazione, cosa pensano veramente. E che si possa dire: perché non un laico/a a capo di una diocesi?».
Nata nel 1947, diplomata all’istituto di studi politici di Parigi, con una doppia laurea in diritto e teologia, attiva per decenni nelle edizioni Cerf, non è nuova alle prese diposizioni “scomode”. Assieme a Christine Pedotti ha fondato il Comitato della gonna nel 2008 per lottare contro la discriminazione femminile nella Chiesa e ha creato la Conferenza cattolica dei battezzati/e francofoni per promuovere il laicato. Nel 2009 ha pubblicato Les pieds dans le bénitier (I piedi nell’acquasantiera) che è considerato l’avvio formale della questione femminile nella Chiesa di Francia.
Nel 2012, in una intervista a Témoignage chrétien ha detto: «Si può immaginare un sinodo delle donne, l’idea che propongo alla fine del mio libro. In tale circostanza potrebbero emergere delle mozioni specificatamente femminili e, perché no, dei voti che uniscono uomini e donne». Nel marzo del 2013 ha convocato «in conclave» 72 donne in vista della successione a Benedetto XVI, valutando l’arrivo di papa Francesco con il volume Francesco, una sorpresa divina (2014).
Non era così
La denuncia dell’insufficiente ruolo della donna nella Chiesa nasce da uno studio della Bibbia, «perché non sopporto la manipolazione di cui sono oggetto le Scritture, semplicemente per giustificare scelte culturali che non hanno niente a che vedere con la fede». Gesù ha smantellato i codici culturali della sua epoca, ma, poco alla volta, in particolare con la svolta della riforma gregoriana (X-XI secc.), la donna è finita in un cono d’ombra che la esclude dai ruolo direttivi e impoverisce l’insieme della Chiesa.
«La sfida attuale per la Chiesa è di ritrovare la sua grande tradizione emancipatrice… È una ragione fondamentale per la stessa salute della Chiesa, essa attraversa la piena integrazione delle donne. Non è una concessione di moda, allo spirito del tempo, ma un ritorno coerente al messaggio originale, alla sua tradizione ugualitaria. Contrariamente a quello che spesso si pensa nella Genesi l’uomo non è creato prima della donna. Adam in ebraico non è il maschio, ma piuttosto l’essere umano. Quando Dio lo avvolge in un sonno misterioso è per trarre da esso sia l’uomo (Ish) che la donna (Ishsha). L’uguaglianza delle origini richiede oggi che le donne possano accedere alle stesse responsabilità dei maschi».
«È urgente concedere loro uno spazio maggiore. Questo significa necessariamente l’accesso al sacerdozio e all’episcopato? Il messaggio originale è stato troppo intorbidito da testi come quelli a cui ho alluso per poter concludere quanto va attribuito a una tradizione misogena e quanto a una complementarietà fra uomo e donna».
L’interessata che ha alle spalle una decina di testi teologici e divulgativi pubblicati fra il 1995 e il 2019 sa bene che mentre le parrocchie sono ancora «a concorso», non così l’episcopato. E che a Lione vi è non solo un apprezzato amministratore apostolico, mons. Michel Dubost, ma anche una donna nel ruolo di economo diocesano, Véronique Bouscayrol. Sa anche che le Chiese anglicane e protestanti (con tradizioni sacramentali diverse) conoscono la presenza di “vescove”, mentre le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica sono per il no. Da giornalista maneggia con efficacia la comunicazione pubblica dove il passaggio fra provocazione e profezia viene deciso solo nel tempo, più o meno lungo, della recezione.






Curriculum invidiabile? Ma certo: replichiamo gli stessi errori che facciamo coi maschietti applicandoli pure alla fantascienza ecclesiale! Queste discussioni e provocazioni sono proprio il sale della profezia di una chiesa futuribile, in cui valutazioni di improbabili cambiamenti distolgono da ciò che è necessario (“una sola cosa”, a detta di Qualcuno)… Marta, Marta!
Condivido il pensiero (e il gesto) di questa donna straordinaria. Anch’io vorrei una chiesa che finalmente riconoscesse la piena parità uomo-donna in tutti i ruoli, compreso il sacerdozio: se una donna è intelligente e preparata, come questa signora, è giusto che possa accedervi. Le discriminazioni di qualsiasi tipo sono ingiuste e tutte le società civili e progredite ormai le rifiutano. Io apprezzo quelle realtà ecclesiali in cui, giustamente, anche le donne possono celebrare la messa e diventare a anche vescove. La chiesa cattolica non ha il coraggio di uscire dal suo maschilismo e da posizioni arretrate e ingiuste, perciò io sono felice di non farne parte.
La provocazione è lampante, ma la questione è seria, tuttavia si aggiunge ancora una volta un’ altra provocazione, il clericalismo. Ci si lamenta che non esista un clero femminile ed allo stesso tempo si chiede un passo indietro nel clericalismo.
Le domande sono fondate e lecite ma la forma provocatoria, fa pensare più ad esigenze di potere, di gola, di particolarismi e personalismi, che ad una reale voglia di discusione e crescita. Tuttavia forse anche questa forma un po’ forte serve ad un eventuale approfondimento e ad una crescita futura.
Più che altro, avete visto che Repubblica ha copiato pedissequamente il vostro articolo?
Lo Spirito, speriamo lo si sappia ascoltare, ci farà capire il da farsi.
Saluti
Io posso candidarmi Madre Badessa?