
È stata una sorpresa – inizialmente non proprio gradita – scoprire che il bellissimo polittico di tardo Quattrocento dedicato a San Martino non si trovava più nella chiesa centrale di Treviglio (BG), che porta il nome dello stesso Santo. Ricordavo di averlo ammirato diversi anni fa, seppur a fatica, in una zona un po’ buia della stessa basilica, sulla parete della navata destra. Ora, dal febbraio 2024, si trova in una nuova sede, a seguito di un importante intervento di revisione e manutenzione dell’opera.
La grande macchina d’altare che nel 1958 Roberto Longhi definì “la più lucida struttura spaziale che abbia dato la seconda metà del Quattrocento in Lombardia” è oggi ospitata in uno spazio espositivo affiancato alla basilica, già chiesa dedicata a San Giuseppe, detta “ai Pellegrini” – dove aveva avuto sede la confraternita del Santissimo Sacramento, attiva a Treviglio dal 1539 fino agli anni Ottanta del XX secolo.
Spazio appositamente restaurato e che ricovera altre opere d’arte soprattutto lignee di età moderna provenienti dallo stesso territorio. Per esso è stato scelto un nome che risuona con particolare sintonia in questo anno giubilare: La porta del Cielo (qui).
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La scelta del nome è ispirata a una specifica lettura del polittico, visto come “casa dei santi” che “affacciandosi verso l’osservatore, aprono la porta del Cielo e invitano a entrare nello spazio aureo che simboleggia la luce divina”. Così scrive l’architetto Barbara Oggionni nel bel catalogo[1] che restituisce l’ampio studio dell’opera e dell’intervento di manutenzione eseguito da Roberta Grazioli. Qui è anche presentato il contesto storico in cui nacquero il polittico e le altre opere lignee esposte, ampiamente illustrate in un saggio firmato da Carlo Cairati.
È veramente abbagliante la luce del capolavoro che segna il passaggio dall’arte tardo medioevale a quella rinascimentale lombarda. Oggi può essere ammirato con la dovuta attenzione, anche grazie alla guida di esperti volontari disponibili a illustrarne storia e struttura. Inoltre, moderne installazioni interattive consentono l’ingrandimento di particolari e presentano i materiali usati e individuati dall’attento restauro. La visita è anche l’occasione per riflettere sulla funzione dei musei, soprattutto di arte sacra.
L’opera testimonia la vitalità di una comunità cristiana della seconda metà del ‘400, quando il comune di Treviglio sperimentava la sua autonomia – con proprie leggi e privilegi imperiali risalenti all’XI secolo – nonostante l’alterna sottomissione ai “potenti” del tempo: i ducati di Milano e la Repubblica di Venezia.
Nella poderosa macchina d’altare si avverte un’aria di libertà ricercata e carezzata sia dai cittadini sia dagli artisti chiamati al lavoro. La committenza fu religiosa (la Fabbrica di San Martino) e al tempo stesso civile poiché i rappresentanti della Fabbrica erano una cosa sola con il Comune. Essi vollero qualificare l’altare maggiore della rinnovata chiesa centrale con una grandiosa ancona realizzata da artisti di spiccata personalità: Bernardino Butinone (trevigliese) e Bernardo Zenale per la parte pittorica e i fratelli De Donati – magistri a lignamine – per la parte architettonica.
Il ricco borgo della Gera d’Adda con le sue documentate attività manifatturiere, i commercianti e gli uomini di cultura (tra cui medici, avvocati, notai e letterati) manifestava con tale incarico la propria autonomia culturale e la ricerca di una prestigiosa identificazione. Il lavoro artistico, infatti, compendiò contemporanee novità iconografiche e pittoriche, altamente qualificate durante l’egemonia politica degli Sforza e di altre Signorie del Nord d’Italia di allora.
Infatti, i maestri incaricati – pur invitati espressamente a lavorare in loco – non mancarono di contatti con i protagonisti dei più innovativi interventi artistici e con i cantieri del tempo. È evidente il richiamo alla pala del Mantegna della chiesa di San Zeno a Verona che certamente fu nota a Butinone, di circa dieci anni più anziano del suo collaboratore Zenale. Se la formazione del primo rimanda alle Officine ferraresi, il secondo sospese per un certo periodo il lavoro a Treviglio poiché fu richiamato sia a Milano, per decorare parte del Castello Sforzesco, sia presso la Certosa di Pavia.
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Quindi è chiara una specifica attenzione per un intervento artistico atto a promuovere l’immagine del prosperoso borgo e della sua chiesa. Era un tempo in cui molti cittadini di diversa estrazione socioculturale andavano fieri della propria casa spirituale. E quel polittico, posto sull’altare, ben li rappresentava. Ai piedi della figura di San Pietro, sullo sfondo, emerge il profilo del campanile affiancato alla basilica di San Martino.
La tripartizione in cui è suddivisa a più riprese l’ancona allude certamente al dogma Trinitario. Ci chiediamo se tale configurazione non voglia anche riprendere il nome della città stessa che pare così chiamarsi per la presenza, in età romana, di tre villae ubicate nel centro storico. Dal punto di vista teologico-pastorale è stato notato come l’asse centrale verticale dell’opera riveli il tema del sacrificio: dall’alto della cimasa con il Cristo patiens, passando per la figura di Maria (dove il bimbo Gesù tiene tra le mani la cintola della madre) e quindi al gesto caritatevole di San Martino, per concludersi con la Crocifissione del Cristo nella predella.
A tali eventi assistono i Santi (tutti scelti dalla committenza a partire dalle devozioni locali) inseriti in una disposizione spaziale che richiama un palazzo rinascimentale con architetture e prospettive di sapore bramantesco.
Nel piano inferiore lo sfondo è caratterizzato da una fuga di archi. In quello superiore – dove santi e sante si affacciano dietro a una delicata balaustra – il soffitto a cassettoni, con preziose dorature, si sviluppa in profondità.
I personaggi con i loro richiami simbolici (interessante l’iconografia di Santa Lucia con gli occhi infilati in uno stiletto forse per meglio indicare la sua vigilanza; splendido il giocattolo della ruota in mano a Santa Caterina di Alessandria) compongono una “festosa e affollata sacra conversazione”[2].
Essi indossano abiti eleganti, dalle stoffe pregiate, come se fossero in attesa dello Sposo, e sembrano volgere lo sguardo alla vera porta del cielo, ovvero al Cristo e a chi lo segue nella via della carità.
Interessante l’idea di un commentatore che coglie nella pregiata cornice del polittico l’inquadratura del sacro, il suo ritagliarsi nello spazio venerabile della basilica in cui fu primitivamente collocato [3]. Non facile per i critici l’attribuzione delle singole figure ai noti artisti che, forse insieme ad altre mani, collaborarono tra il 1485 e il 1490.[4]
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Merita, pertanto, una visita questo piccolo museo che – come tutti i musei – vive grazie ai visitatori. Invita inoltre a riflettere sul valore delle opere di arte sacra, sulle loro collocazioni, primitive e attuali. Certamente oggi la basilica di Treviglio manca di un’ancona caratterizzante la sua storia e davanti alla quale per anni è stato celebrato il sacrificio eucaristico.
Il polittico, che da tempo aveva lasciato l’altare maggiore – suo spazio originario – per essere sistemato in altre parti della stessa chiesa, oggi è persino uscito dal tempio occupando una sede dove è decisamente più difficile sostare in preghiera. Sede decisamente funzionale alla visita di persone in parte interessate al messaggio della sacra conversazione e, in parte, alla sola esperienza storico-artistica. Quale allora la scelta migliore per la collocazione di opere d’arte sacra in un’epoca di smarrimento di codici interpretativi e di scarsi approfondimenti storici e culturali? Ai posteri l’ardua sentenzia direbbe un altro noto maestro lombardo.
Tuttavia, crediamo nella necessità dello studio, del recupero e della salvaguardia di tali capolavori. Inoltre, sostare su alcune immagini sacre restaurate e ben illustrate può aiutare anche spiritualmente chi è fagocitato dalle riproduzioni dell’età della tecnica.
Per concludere, ricordiamo che la sede attuale del polittico e del patrimonio di arte sacra lì raccolto era stata un tempo la Casa dei Pellegrini. Ci piace pensare che i (finora numerosi) visitatori si sentano in sintonia con chi un tempo si fermava in quei locali durante un cammino di preghiera e di meditazione. In tal modo oggi l’incontro visivo con santi e le sante – in larga misura restituiti al loro originario disegno e colore – può essere l’occasione per spalancare la propria porta interiore al cielo stellato che sovrasta le strade di tutti.
[1] Stefania Buganza e Carlo Cairati (a cura di) Il polittico di San Martino. L’opera nel suo contesto. Dipinti e sculture a Treviglio tra Medioevo ed età moderna, Scalpendi editore, Milano 2024
[2] Stefania Buganza, Ivi pag. 62
[3]Don Giuseppe Villa, Il Polittico di San Martino, Tipografia PressUp, Roma 2018
[4] Per Stefania Buganza che ha potuto studiare nel dettaglio il polittico smontato nelle fasi di manutenzione “il grosso delle tavole maggiori deve essere restituito a Butinone, che ha disegnato e progressivamente dipinto i quattro pannelli centrali e di destra, lasciando a Zenale i due di sinistra” (catalogo citato, pag. 62). A tale lettura si allinea quasi del tutto l’ultimo contributo dedicato al polittico e firmato da Laura Paola Gnaccolini in occasione della mostra Restituzioni (2011)






e si è un po’ triste non vederla nel luogo per cui è stata fatta, ma tornerà restaurata, non ci resta che aspettare, e nel mentre nuovi studi permetteranno di preservarla