
Nel diciottesimo anniversario (18 novembre 2007 – 18 novembre 2025) della beatificazione di Antonio Rosmini (1797-1855), proponiamo la disamina di uno dei capisaldi del pensiero filosofico del Roveretano ovvero: L’idea dell’essere.
«Dunque, se c’è l’essere c’è la verità,
se non c’è l’essere non c’è verità»[1].
Secondo Antonio Rosmini, l’insieme delle conoscenze, e – più originariamente – la stessa struttura spirituale del soggetto umano, sono dovuti al possesso originario ed innato dell’intuizione dell’idea dell’essere, o essere ideale. Come ha notato il filosofo, e religioso rosminiano, Emilio Pignoloni, «Idea dell’essere e essere ideale sono espressioni di valore identico per Rosmini, sebbene egli adoperi più frequentemente la prima espressione nel Nuovo Saggio, e nelle opere pre-teosofiche, la seconda principalmente nella Teosofia».[2]
L’idea dell’essere di Rosmini, in analogia con la scienza matematica, è da immaginarsi come la costante di Archimede, il “Pi Greco” che si ripete all’infinito; nella storia delle idee, l’uomo avverte prima (fase anoetica) e poi percepisce distintamente (fase dianoetica) l’esigenza di ricercare nel tempo la costante per antonomasia: l’idea prima, innata e immediata. Dove l’uomo, ogni uomo, certamente sarà diverso, nel senso che abita il mondo secondo l’ordine “naturale”, ma il “cristiano” prende parte anche dell’ordine “soprannaturale”; può parteciparvi, proprio in quanto è investito da quel lume naturale che è l’idea dell’essere.
Occorre quindi prendere atto che gli elementi della conoscenza non possono derivare indistintamente dai sensi o dalle semplici operazioni dello spirito umano: «Di che la ragione è questa: alcuni di essi pensarono che l’elemento ingenito necessario all’intelletto nostro dovesse esser maggiore, quando altri giudicarono bastare che fosse minore».[3]
Ed è interessante constatare come la disamina di Rosmini sull’Idea dell’Essere, – e per usare una espressione calcistica, con un gioco di marcatura a zona – tocca, coinvolge i grandi pensatori, metafisici della storia del pensiero, inevitabilmente Parmenide, Aristotele e Platone in primis. Prospettive metafisiche, quelle dei maestri della filosofia antica, che non passano mai di “moda” perché la loro accortezza e attenzione, riguarda, coinvolge l’uomo di ogni tempo più o meno consapevole di essere creatura perché “creata” e non deduzione solipsistica.
«La filosofia di Aristotele non ha un posto a sé nella classificazione rosminiana delle teorie concernenti l’origine delle idee, ma è esposta insieme con quella di Platone e presentata come una critica, in parte valida e in parte inaccettabile, di quest’ultima. Ciò significa che per Rosmini Aristotele non è né innatista né un sensista, ma si colloca in qualche modo a metà strada tra le due posizioni. L’aspetto più valido, secondo Rosmini, della critica mossa da Aristotele alla dottrina platonica delle idee è l’osservazione che, per spiegare la conoscenza, non è necessario ammettere come già innate tutte le cognizioni, cioè, ammettere come innato nella mente un sapere già in atto, ma è sufficiente ammettere un sapere in potenza»[4].
Ebbene, Rosmini, con la sola forza della ragione (secondo il significato del greco λόγος, lógos, mettere insieme, raccogliere) ci aiuta a “pensare” – quel pensare, che non è ovviamente (come avviene ormai da troppo tempo) fatto di nozioni, opinioni e immagini – e a comprendere con “spirito d’intelligenza” – quindi con tutta l’attività della persona umana – che senza la piena consapevolezza dell’idea dell’essere, l’uomo e l’umanità saranno costretti a cedere alla disastrosa tentazione di scardinamento e peggio ancora di distruzione dell’orizzonte metafisico.
Ora, se Galileo Galilei (1564-1642), quasi diciottenne, osservando nel Duomo di Pisa un lampadario oscillare, concepì la legge dell’isocronismo del pendolo, Rosmini (beatificato nel 2007 a Novara), anch’egli diciottenne, mentre passeggiava per le vie della natia Rovereto (Trento), ebbe l’intuizione dell’idea dell’essere. Raccontò lo stesso Rosmini, nel 1854, durante una passeggiata in compagnia del suo segretario e discepolo Francesco Paoli:
«Giovane sui diciott’anni camminavo un giorno tutto solo e in me raccolto per quella via, e trascorrendo per i diversi oggetti del pensiero […] mi trovai giunto all’idea universalissima dell’essere […] Mi persuasi allora che l’idea dell’essere è la ragione ultima di ogni concetto, il principio di tutte le cognizioni […] l’idea dell’essere è l’idea-madre, quella che contiene nel suo seno tutte le altre».[5]
È infatti l’idea universalissima che resta dopo ogni astrazione possibile: se la si togliesse si toglierebbe ogni realtà e ogni pensare. Il suo ruolo cardinale è conferire oggettività alla conoscenza, in quanto è il lume evidente che non ha bisogno di nessun altro lume per essere accertato e dunque è il principio e il fondamento metafisico della certezza di tutto lo scibile.
«L’idea dell’essere in universale è quell’idea, per la quale noi pensiamo la cosa in sé. Pensare la cosa in sé, è pensarla indipendentemente dal soggetto, dal Noi. Pensar la cosa in quanto è indipendente da noi, è pensarla come avente un modo d’esistere diverso dal nostro (soggettivo). L’idea dell’essere, dunque, è quella che costituisce la possibilità che abbiamo d’uscir di noi, per così dire, cioè di pensare a cose da noi diverse».[6]
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Il Roveretano dà corpo all’intuizione dell’idea dell’essere – fondamento della teoresi rosminiana e del Sistema della Verità – in particolare nella sua prima grande opera filosofica, il Nuovo Saggio sull’origine delle idee – stesura del testo iniziata al Calvario di Domodossola, probabilmente nel marzo 1828 (anno di fondazione dell’Istituto della Carità), e poi continuata e completata a Roma nel 1830 –. E poi la sviluppa e la compie nel 1846, avviando la Teosofia (opera rimasta incompleta), ossia la summa del pensiero rosminiano. Naturalmente, approfondimenti e precisazioni sono rilevabili in molte altre opere rosminiane: Filosofia del diritto, Logica, Antropologia soprannaturale, Del divino nella natura e altre. Ribadiamo che le opere più significative sono le due sopra citate.
Da parecchi secoli la ricerca umana, nel tentativo di assicurare ai saperi “concreti” certezza e universalità, tende a sostituire all’oggettività metafisica un criterio che considera più concreto in quanto fondato sul quantitativo, sul misurabile: senza rendersi conto che niente di tutto ciò è certo utilizzabile, ma, se assolutizzato, è convenzionale e astratto, per cui assumere la realtà in chiave antimetafisica non è nient’altro che sostanzialmente dissolverla. Rosmini configura l’idealità dell’essere nella triplice forma di ideale, reale e morale: vi corrisponde la triadicità del nostro riconoscimento metafisico come carità intellettuale, morale, spirituale.
Procedendo per cenni, va sottolineato l’impegno argomentativo di Rosmini per far fronte all’esigenza culturale del suo tempo (e crediamo di ogni tempo, finché una sola persona si porrà le domande fondamentali della vita). Rosmini comprende che la maggior parte dei pensatori moderni e suoi contemporanei non avrebbe più affrontato in filosofia un discorso filosofico partendo da Dio per poi concludersi nell’uomo. E così anch’egli sceglie di partire dall’uomo per giungere a Dio, in un viaggio percorribile in entrambi i sensi, evitando indubbiamente di confondere fede e ragione, metafisica e rivelazione.
«Rosmini capì che la modernità non avrebbe più accettato in filosofia il sistema medievale delle quaestiones, né tanto meno un discorso filosofico che partisse da Dio per giungere ad una trattazione sull’uomo, così, accettando la sfida del tempo, decise anch’egli di partire dall’uomo e fece, per così dire, il percorso inverso. Partire da Dio per arrivare all’uomo, o partire dall’uomo per arrivare a Dio, in realtà, è un’unica via che deve essere percorsa in entrambi i sensi, senza confondere la ragione con la fede o la metafisica con la Rivelazione, ma considerando, innanzitutto, quell’elemento divino presente nell’uomo che, pur non essendo Dio – altrimenti non si uscirebbe dal panteismo e dall’ontologismo – è quello stesso lumen che strappa l’assenso dell’uomo di fronte alla Verità».[7]
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Abbiamo detto sopra che Rosmini sviluppa il sistema dell’idea dell’essere inizialmente e strutturalmente nel Nuovo Saggio sull’origine delle idee. Va precisato che l’aggettivo “nuovo” nel titolo dell’opera rosminiana non sta a indicare un nuovo lavoro, un altro scritto. Il Saggio sull’intelletto umano lo aveva scritto l’inglese John Locke (1632-1704), e Rosmini, trovandolo incompleto, riesce ad integrarlo, trattando la questione dell’origine delle idee, e cioè come nascono le idee nella mente dell’uomo. Nel Nuovo Saggio, la Sezione V, suddivisa in sei parti, è da Rosmini dedicata interamente alla Teoria dell’origine delle idee.[8]
«Per poco che si consideri questa proposizione, ella si dee trovar evidente da chicchessia; tuttavia, pochi l’anno bene considerata. I moderni filosofi [Locke, Leibnitz, ndr] si occuparono tutti ad analizzare le facoltà dello spirito, e poco si trattennero ad analizzare il prodotto delle medesime, cioè le umane cognizioni. All’incontro l’analisi di queste ultime dee precedere l’analisi delle facoltà: ché queste non si conoscono che dai loro effetti, che sono le cognizioni umane».[9]
Conviene dunque dall’esame delle cognizioni:
«salire all’investigazione delle facoltà; il contrario di quanto fecero il Locke, il Condillac, e in generale tutta quella scuola che mette mano subitamente a ragionare delle facoltà, e da quelle discende alle cognizioni. Questa inversione nel metodo è forse il fonte principale de’ loro errori. Pigliando io adunque il cammino contrario, mossi dagli effetti, e tolsi ad analizzare ciò che si conosce come un fatto, tentando la via di salir da quello alla causa, cioè a fermare le facoltà atte e necessarie a produrre in tutte le sue parti la umana cognizione».[10]
Dopodiché espliciterà ulteriormente la dottrina dell’idea dell’essere nella Teosofia – la summa del pensiero rosminiano –, per la precisione nel libro IV, L’idea, suddiviso in tre parti. «1846, 14 aprile. Cominciai a scrivere la Teosofia e prosegui il lavoro fino alla fine del VI libro, lasciando quest’opera imperfetta nel marzo del 1848».[11] E ancora il Roveretano: «La Teosofia dall’altre scienze si distingua ed abbia suoi certi confini. Sebbene dunque sia vero che non si dà scienza che non riguardi cose che appartengono all’ente, tuttavia altro è trattare d’alcuni enti, e di ciò che loro appartiene, ed altro trattare dell’Ente e dell’Essere come Ente ed Essere: questo fa la Teosofia, quello le altre scienze».[12]
Giunti ora «a quella sommità e quasi direi la punta di questa meravigliosa mole dell’universo, sommità e punta, che a vista dell’occhio mortale si perde nell’infinito e nell’assoluto essere, ivi come nel suo proprio terreno, quasi fortissima radice d’una gran pianta rovescia, penetra, profonda, e tenacemente si tiene e si nasconde».[13]
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È sempre un’idea o l’idea dell’essere, dice Rosmini, il presidium, ciò che regge, tutte le azioni o l’operare quotidiano dell’uomo. Quindi perché il Roveretano è geniale e formidabile? Perché riesce a scoprire l’origine delle idee conciliando le prospettive (appunto secondo il principio della conciliazione delle sentenze) di coloro che sostengono che solo partendo dall’esperienza possiamo determinare e formarci le idee (Illuminismo, Empirismo), e di quelli che sostengono che le idee l’uomo ce le ha già nella mente.
In sintesi, l’idea che l’uomo si trova già a possedere prima di qualunque esperienza sensibile, questa idea è: l’«idea dell’essere», innata, perché eterna, nel senso che non nasce quando nasce la singola persona, o muore quando muore l’uomo, «determinata» in sé e indeterminata rispetto alla molteplicità. Ecco l’èureka di Rosmini.
«L’essere in universale, pensato per natura dall’umana mente, è di così fatta natura, abbiam detto, che da una parte non mostra alcuna sussistenza fuori della mente, e quindi si può denominare essere logico; e dall’altra parte ripugna che sia una modificazione del nostro spirito; […] di più egli è assolutamente immutabile, egli è l’atto conoscibile di tutte le cose, il fonte di tutte le cognizioni: non ha nulla che sia contingente, come noi siamo: è un lume, che noi percepiamo naturalmente, ma che ci signoreggia, ci vince, ci nobilita col sottometterci interamente a sé».[14]
Quando noi tocchiamo in concreto un oggetto materiale, attraverso i cinque organi di senso (occhi e vista, orecchi e udito, bocca e gusto, naso e olfatto, pelle e tatto), questo lo possiamo fare perché sappiamo già prima cosa significa «essere», avendo appunto l’idea dell’essere. Non altro noi facciamo se non applicare questa idea, dicendo che le cose «sono», ics o ipsilon, proprio per il fatto che l’«idea» di «essere» ce l’ho nella mente prima di osservarle de visu.
«La verità dunque, l’essere, la possibilità mi si presenta come una natura eterna, necessaria, tale contro a cui non può alcuna potenza. […] Ma ne sento la forza ineluttabile, l’energia, che manifesta dentro di me, e la mia mente e tutte le menti soggioga, e soavemente domina, come fatto, senza possibilità d’opposizione».[15] (Ibidem).
Ecco dunque, data la circostanza, consapevoli di non doverci addentrare in tutte le disamine che lo stesso Rosmini ha sostenuto a proposito dell’idea dell’essere e sue implicazioni antropologiche, cosmologiche e ontologiche, in tutti i suoi scritti fin dalla gioventù, che ci avviamo ad una conclusione. Rosmini giunge alla conclusione che l’uomo ha l’idea dell’essere e pertanto ha la «cognizione intuitiva della verità»,[16] e qui subentrerebbe il tema precedentemente sviluppato da Rosmini a proposito del «sentimento», altra componente essenziale dell’uomo. Ma in questa sede non ne tratteremo, in quanto ci porterebbe in un’altra direzione tematica.
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Mentre – seppur brevemente – ci sembra opportuno sottolineare come tutta l’argomentazione filosofica sul fondamento, sull’essere e sull’ente di Rosmini, sia stata inevitabilmente anche un confronto con i grandi filosofi e teologi, da Eraclito, Parmenide, Platone, Aristotele, Plotino, ai grandi Padri e Dottori della Chiesa, in primis Agostino e Bonaventura, Tommaso e a pensatori come Cartesio, Malebranche, Berkeley, Kant, Fichte ed Hegel.
Ai giorni nostri, una simile disamina è stata affrontata, anche se con risvolti differenti, dai filosofi del Novecento, a partire da Martin Heidegger (1889-1976), anche se quest’ultimo, nonostante l’importante sforzo di pensiero, non è riuscito a trovare e percepire il medesimo lume, che in Rosmini ha illuminato la realtà degli esseri degli enti.
Per individuare alcuni tra i filosofi e teologi più aderenti e autorevoli alla linea teoretica di Parmenide, Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso e Rosmini, occorre rifarsi a taluni esponenti della filosofia italiana contemporanea, da Bernardino Varisco (1850-1933) a Michele Federico Sciacca (1908-1975), passando per Pantaleo Carabellese (1877-1948), Armando Carlini (1878-1959), Sofia Vanna Rovighi[17] (1908-1990), Teodorico Moretti Costanzi (1912-1995), Enrico Berti (1935-2022), Pier Paolo Ottonello, Luciano Malusa, Paolo De Lucia, Markus Krienke, Paolo Heritier, Fulvio De Giorgi, Fernando Bellelli, Francesco Mercadante e tra gli altri Edoardo Mirri (1930-2017), Marco Moschini, Furia Valori, Jacob Buganza, Elena Margaritou-Andrianessi e poi la schiera dei teologi Antonio Staglianò, Piero Coda, Giuseppe Lorizio, Franco Percivale (1927-2021), Nunzio Galantino, Pierangelo Sequeri, Franco Giulio Brambilla, Alessandro Andreini (più i grandi Padri rosminiani a partire da Giambattista Pagani (1806-1860), Clemente Rebora (1885-1957), Giuseppe Bozzetti (1878-1956), Luigi Lanzoni (1836-1883), Giorgio Versini (1925-2007), Alfeo Valle (1922-2012), Remo Bessero Belti (1915-2004), Clemente Riva (1922-1999), Antonio Riboldi (1923-2017), Umberto Muratore (1942-2022), Vito Nardin).
In cauda, un ruolo importante, nell’indicare Antonio Rosmini, come esempio di vita cristiana da seguire, nel tempo l’hanno avuto proprio i Pontefici di Santa Romana Chiesa. A partire da: Pio VII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, san Giovanni XXIII, san Paolo VI, san Giovanni Paolo I, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco e ora Leone XIV.
Tutti autori, del medesimo avviso, che per conoscere l’essere umano lo strumento efficace è una “scienza rigorosa” (strenge Wissenschaft, titolo del saggio del 1910 di Edmund Husserl, maestro di Edith Stein). Concetto di scienza, che non ha niente a che vedere con le scienze, intese nell’Età Moderna. Tuttavia, ad esse è stata attribuita un’assoluta validità dall’800 in avanti: «da parte del “Positivismo”, Intendendo quest’ultimo la “scienza” per eccellenza quella che si uniforma ai criteri propri delle scienze della natura, per i nostri filosofi la scienza per eccellenza è, piuttosto, l’indagine filosofica – e questo è già un importante tratto che accomuna i due pensatori».[18]
[1] A. Rosmini, Logica, a cura di Vincenzo Sala, libri tre, Roma 1984, n. 1049.
[2] E. Pignoloni, Il reale nei problemi della Teosofia di A. Rosmini, Domodossola-Milano 1955, p. 39, nota 36.
[3] A. Rosmini, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, a cura di Gaetano Messina, tomo II, Roma 2004, p. 16, n. 390.
[4] E. Berti, La metafisica di Platone e di Aristotele nell’interpretazione di A. Rosmini, Città Nuova Editrice, Roma, 1978, pp. 31-32.
[5] Vita di Antonio Rosmini, a cura di Guido Rossi, vol. I, Rovereto 1959, pp. 111-112.
[6] A. Rosmini, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, a cura di Gaetano Messina, tomo III, Roma 2005, p. 47, n. 1081.
[7] L’Osservatore Romano, Cibo solido per palati fini, Anno CLI, N. 251, domenica 30 ottobre 2011, p.4.
[8] A. Rosmini, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, a cura di Gaetano Messina, tomo II, Roma 2004, p. 461.
[9] Ivi, tomo II, p. 26, n. 410.
[10] Ivi, tomo II, p. 26, n. 410.
[11] A. Rosmini, Teosofia, tomo I, a cura di Maria Adelaide Raschini e Pier Paolo Ottonello, Roma 1998, p. 11.
[12] Ivi, p. 51.
[13] A. Rosmini, Del divino nella natura, a cura di Pier Paolo Ottonello, Roma 1991, pp. 24-25.
[14] A. Rosmini, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, a cura di Gaetano Messina, tomo III, Roma 2005, p. 315, n. 1458.
[15] Ivi, p. 315, n. 1458.
[16] «Charitas», Anno LXX, n. 12, dicembre 1996, pp. 331-335.
[17] cf. Avvenire, Tutto Rosmini finalmente in libreria, giovedì 23 febbraio 2023, p. 20.
[18] Angela Ales Bello, Ontologia si dice in molti modi: Husserl, Stein, Rosmini a confronto. Relazione al XXII Corso dei Simposi Rosminiani, 23-26 agosto 2022.





