Tra realtà virtuale, IA e risurrezione della carne

di:
cyborg

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Era il 1998 quando, obbediente a un programma di lavoro espresso con lungimirante chiarezza dai padri conciliari nella Costituzione Gaudium et spes (n. 62), il «Progetto culturale» della Conferenza episcopale italiana definiva in un suo documento fondativo[1] alcune proposte di ricerca di interesse privilegiato e tra queste indicava la «ricerca scientifica». Erano gli anni della pubblicazione dell’enciclica Fides e ratio, nella quale la fede e la ragione erano descritte «come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (1998).

In cerca di dialogo e comprensione reciproca

In un simile, fecondo contesto ecclesiale, presso la Pontificia università lateranense, prendeva avvio nel 1998 – per impulso soprattutto di mons. Piero Coda, coadiuvato da alcuni colleghi filosofi e teologi come Saturnino Muratore, Giuseppe Lorizio e Giuseppe Tanzella-Nitti – l’area di ricerca internazionale «Scienza E Fede per l’Interpretazione del Reale» (SEFIR), che già nell’aprile del 1999 organizzava il suo primo seminario di studi dal titolo: «Interpretazioni del reale: teologia, filosofia e scienze in dialogo» (i cui Atti inaugurarono la collana «Quaderni di SEFIR»).

Dieci anni prima, nel settembre del 1987, l’Osservatorio astronomico vaticano, allora guidato da p. George Coyne, organizzava a Roma – insieme al Center for Theology and the Natural Sciences di Berkeley – un confronto internazionale tra teologi, filosofi e scienziati i cui atti sono pubblicati nel volume Physics, Philosophy, and Theology: a quest for common understanding (1988) e da cui prese origine un programma di ricerca interdisciplinare sulla comprensione dell’agire di Dio nel creato alla luce dei risultati di alcuni ambiti rilevanti della ricerca scientifica contemporanea, come la meccanica quantistica, le teorie della complessità e le neuroscienze.[2]

Pochi anni dopo l’avvio di SEFIR, nel 2003, sulla scia della Commissione di studio del Caso Galilei istituita da Giovanni Paolo II e dopo la celebrazione del Giubileo degli scienziati (2000), nasceva sempre a Roma – con la partecipazione di tre università pontificie (Lateranense, Gregoriana e Regina Apostolorum) – il progetto «Science, Theology and the Ontological Quest» (STOQ). L’iniziativa si proponeva di promuovere «il dialogo tra la teologia, la filosofia e le scienze naturali attraverso iniziative di studio, di ricerca e di divulgazione culturale, nelle università romane» e ha conosciuto nel corso degli anni quattro edizioni (l’ultima nel 2010).

In questa panoramica va menzionato anche il Centro di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede (DISF), fondato e diretto da Giuseppe Tanzella-Nitti presso la Pontificia Università della Santa Croce in seguito alla pubblicazione, nel 2002, del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (Città Nuova). Il Centro – che cura il portale disf.org – dichiara come sua «principale finalità accrescere la formazione filosofico-umanistica di coloro che operano nel settore della ricerca scientifica», in particolare giovani ricercatori e studiosi, per favorire in generale «una sintesi più matura fra fede e ragione in tutti coloro che svolgono un’attività intellettuale e di ricerca».

La persona «resiste»

Per festeggiare i 25 anni di attività (1998-2023), L’Associazione Nuovo SEFIR (che dal 2019 ha raccolto l’eredità della precedente area di ricerca) ha organizzato un seminario di studi a Roma, dedicato al tema: «Realtà virtuale e corpi di carne» (2-3 febbraio).[3]

La storia di SEFIR e le sue finalità sono state richiamate in apertura dei lavori dal direttore scientifico, Giandomenico Boffi, e da mons. Antonio Staglianò, che al tempo della fondazione dell’area di ricerca al Laterano era incaricato per il Progetto culturale della CEI proprio dell’ambito «interpretazione del reale». Sergio Rondinara, membro storico dell’associazione, ha fatto memoria del primo seminario organizzato da SEFIR (quello del 1999).

«Realtà virtuale e corpi di carne», il tema del seminario, si è fatto apprezzare per la sua attualità, imposta dalle preoccupazioni crescenti suscitate dal rapido sviluppo delle intelligenze artificiali (si era nei giorni dell’annuncio del primo impianto cerebrale), ma anche per le sue rilevanti ricadute sulla riflessione antropologica e teologica.

I relatori hanno offerto sul tema diversi spunti interessanti e il quadro dei lavori è apparso alla fine svilupparsi in modo coerente. Si è partiti dalle numerose linee guida già pubblicate in materia di intelligenza artificiale a livello mondiale per rilevare la loro convergenza intorno ad alcune questioni. Tra queste, il tema «equità e inclusione» (pregiudizi e discriminazioni non vengono esclusi dal ricorso agli algoritmi); la «riservatezza» dei dati e la richiesta di «riconoscibilità», secondo la quale l’utente deve essere avvertito nel caso stia interagendo con una macchina.

Inevitabile l’attraversamento di alcune delle questioni etiche maggiori che sorgono dalla penetrazione sempre maggiore delle intelligenze artificiali nella vita di tutti i giorni. Una fra tutte, l’attribuzione di responsabilità per decisioni «automatiche» (in ambito giuridico, lavorativo ma anche militare). Si è posta qui la domanda se la custodia dell’umano possa limitarsi alla definizione di «confini etici» (ad esempio, uno sviluppo «etico» degli algoritmi), o non richieda previamente l’impegno di ridefinire un orizzonte antropologico (dove anche la teologia è convocata) che metta a tema cosa è propriamente «umano» e cosa ne caratterizza l’intelligenza e la creatività.

Il concetto di persona umana proprio della teologia cristiana, radicato nella teologia trinitaria e indicante la qualità relazionale propria del divino e dell’essere umano in quanto «immagine» del suo Creatore, è stato giustamente evidenziato nella sua capacità di resistere ai tentativi di riduzione dell’uomo a semplice «insieme di dati» (immateriale) e della sua intelligenza a una serie di operazioni sintattiche (senza relazioni di «significato»).

Tecnognosi

Il dato della corporeità – o più propriamente della «carne», termine presente intenzionalmente nel titolo del seminario – ha assunto un rilievo particolare nel corso dei lavori. Anzitutto, partendo dai risultati della filosofia e della scienza cognitiva che consentono oggi di parlare di «cognizione incorporata», e più in generale di «mente incorporata», mostrando la stretta interdipendenza tra le competenze linguistiche e semantiche (ovvero, il pensiero concettuale) e quelle motorie e ridefinendo radicalmente il rapporto tra mentale e corporeo nell’umano.

È parsa così aprirsi una via per superare concezioni diffuse e resistenti del cosiddetto mind-body problem, come il paradigma della separazione (il dualismo classico di Platone e Descartes), che ha finito per concentrare la soggettività umana nel mentale e per svalutare la corporeità (ridotta a supporto meccanico), e quello della riduzione del mentale al biologico, un programma di ricerca (sviluppato soprattutto in ambito neuroscientifico), che si è proposto di eliminare − nella sua forma più radicale − «idee» come spirito, anima o coscienza.

La riflessione fenomenologica ha introdotto la distinzione – più volte richiamata durante i lavori – tra «corpo fisico-materiale» (Körper) – il corpo-macchina, che si può pensare riparabile senza limiti attraverso la tecnica – e «corpo vivo» (Leib), «nella sua peculiarità unica», il corpo che vive in un mondo di significati e di atmosfere emotive che lasciano una traccia su di esso, che consente l’emergere della coscienza dell’esperienza del mondo come propria. Il corpo vivo che ha struttura necessariamente e originariamente relazionale. Non lontano dal concetto di persona.

La teologia, chiamata in causa, si rivolge al cuore della fede cristiana che confessa la realtà corporea del Verbo fatto carne e la sua resurrezione dalla morte. Proprio questo dato consente di rilevare le differenze sostanziali che sono in gioco. Le idee di immortalità o metempsicosi digitale fanno riferimento a narrazioni che prospettano la sopravvivenza dell’essere umano come vero e proprio oltrepassamento della condizione corporea culminante nel travaso della mente umana in un dispositivo informatico. Come scrive Marcello Tarì, non si tratta di questioni irrilevanti o «di sottobosco», «poiché a capo di queste vere e proprie sette transumaniste vi sono scienziati e informatici che sono stati o sono tuttora responsabili della ricerca nei laboratori delle maggiori industrie tecnologiche. L’inventore del singolarismo, una sorta di gnosi tecnologica che predica l’immortalità cibernetica, è Raymond Kurzweil, esperto di IA e ingegnere di Google, autore di libri come L’era delle macchine spirituali o dell’escatologico La singolarità è vicina. [Egli appare] in quasi tutti i libri che trattano di IA e macchine intelligenti».

La visione escatologica cristiana, invece, include la materialità del mondo e il suo limite costitutivo come elementi positivi, che Dio assume nella sua incarnazione e che – nella risurrezione del Figlio fatto carne – accoglie e destina alla sua eternità. Riconoscendo l’indole tecnica come carattere proprio dell’essere umano e la sua vocazione alla trasformazione del reale (tecnica e creatività) come responsabilità storica verso il creato, chiamato a partecipare alla risurrezione del Cristo, la riflessione teologica recupera la creaturalità (e il limite) come benedizione, arginando la possibile deriva della tecnologia in tecnocrazia (una automazione che tracima in autonomia della tecnica, non più a servizio dell’umano e della sua vocazione a custodire il creato ma trasformata in forza disumanizzante).

Si è concluso, citando Giovanni Amendola, che non si tratta tanto di temere una macchina pensante ma piuttosto che l’umano si concepisca come «nient’altro che una macchina calcolante», pago di costruire macchine calcolatrici sempre più performanti presumendo che esauriscano ogni possibile somiglianza con lui. Lo «spettro» evocato ha le sembianze di una tentazione antica e proteiforme, con la quale non si smette mai di fare i conti: immaginare la dimensione materiale (corporea) come ostacolo alla piena realizzazione dell’umano e progettarne il superamento come condizione escatologica. Operazione che la fede nel Logos incarnato non consente, rimandando al confronto impegnativo con la realtà del corpo di carne, che resiste al fascino anche delle tentazioni tecnognostiche.

Le relazioni saranno a breve pubblicate come Studio del mese della rivista Il Regno.


[1] Progetto culturale della Chiesa italiana, «Tre proposte di ricerca».

[2] Il progetto era denominato «Scientific Perspectives on Divine Action». I risultati di questa importante ricerca sono attestati in cinque volumi editi dal CTNS in collaborazione con la Specola vaticana.

[3] I relatori del seminario sono stati: Andrea Carobene (Chief Technology Officer di Business AI Agency), «La realtà virtuale: attualità e prospettive»; Antonio Staglianò (Presidente Pontificia Accademia di Teologia), «Considerazioni antropologiche sulla realtà virtuale»; Silvano Zipoli-Caiani (Università di Firenze); «La coscienza umana è incarnata»; Massimo Naro (Facoltà teologica di Sicilia), «La risurrezione della carne nel tempo della IA».

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