
Domenica 26 ottobre verrà solennemente inaugurata la «cattedrale della Salvezza della nazione» a Bucarest. È considerata la più grande chiesa dell’Ortodossia mondiale «simbolo dell’unità e dell’anima della nazione», come la definì ancora nel 1920 uno degli ideatori, il re Ferdinando di Hohenzollern (1865-1927). Giudizio confermato dall’attuale Patriarca Daniele (Ciobotea) convinto assertore della centralità della Chiesa ortodossa nella salvaguardia e nella promozione dell’identità rumena.
120 metri di altezza, una iconostasi di 406 metri quadrati, 25.000 metri quadrati di mosaici, 392 vetrate, 28 porte di bronzo, 6 campane (la più grande pesa 25 tonnellate) capace di ospitare 5.000 fedeli. L’edificio completo prevede una biblioteca, la residenza del patriarca, gli uffici amministrativi e spazi per l’ospitalità: è il più grande cantiere immobiliare della nazione nell’ultimo secolo.
A inaugurarla oltre alle massime autorità dello stato e della Chiesa, anche il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo. Un progetto gigantesco coltivato all’indomani della prima guerra mondiale dalla casa reale e dal patriarca Miron (Cristea).
L’apertura rappresenterà il momento di massima esposizione delle memorie celebrate quest’anno: il 4 febbraio (un secolo di patriarcato), 25 aprile (140 anni di autocefalia), 13-17 maggio (simposio teologico per i 1.700 anni del concilio di Nicea) e il 26 ottobre l’avvio del culto in cattedrale (cf. qui su SettimanaNews).
Impresa epocale
Il primo riferimento della travagliata storia della basilica risale a una legge del 1884, ma solo nel 1925 il patriarca Miron apre un cantiere, subito chiuso per la crisi economica mondiale, poi per la seconda guerra mondiale e, infine, per il nuovo potere comunista.
Il patriarca Teoctist (1915-2007) rilancia il progetto dopo il crollo del regime in un sito che poi viene cambiato dal successore, Daniele, che avvia i lavori nel 2007.
Il parlamento approva una legge al riguardo nello stesso anno, ma il cantiere vero e proprio inizia i lavori nel 2010. Il possente edificio cresce rapidamente e, nel 2018, si può inaugurare l’altare e aprire temporaneamente il cantiere alla visita di 150.000 fedeli. Si dedica la cattedrale a sant’Andrea. Due anni dopo papa Francesco visita la costruzione.
Progressivamente l’enorme flusso di denaro richiesto e la complessità dell’opera suggeriscono di spostare la gestione a una grande azienda internazionale che si giova di migliaia di aziende locali.
Il cantiere, dal 2024, è attivo giorno e notte ed è scandito dall’intonacatura, dal rivestimento dei pilastri, dall’avvio dei mosaici, dalla costruzione della grande guglia centrale sormontata da una possente croce, l’istallazione delle vetrate e il completamento degli impianti. Di particolare difficoltà quello audio, elettrico e antincendio, come del resto anche il sistema antisismico.
L’enorme opera musiva vede il lavoro contemporaneo di 220 mosaisti che lavorano secondo la tradizione artistica bizantina, ma attingendo anche a fonti greche, slave e latine.
Il progetto iconografico prevede, nella cupola centrale, il Cristo pantocrator, sull’abside l’immagine della Vergine e, nell’iconostasi, racconti dell’Antico e Nuovo Testamento. Nei quattro registri appaiono gli apostoli e – in particolare – i santi rumeni, fino a quelli canonizzati di recente. I nomi di 350.000 eroi del paese sono raccolti in una pergamena collocata sotto l’altare.
La corruzione del denaro
L’aspetto più discusso è quello finanziario. In principio, lo stato e il comune concedevano il terreno ma la costruzione doveva essere a carico della Chiesa. Progressivamente, attraverso successive decisioni politiche o governative, il grosso dell’investimento si è spostato a carico dello stato, del comune e delle amministrazioni locali.
Come hanno illustrato siti e media (Să fie lumina, Recorder, Vice Romania), il costo dell’impresa è sempre più pubblico, mentre la gestione è in capo al patriarcato che si serve di imprese collegate o di sua fiducia. Oltre al terreno (180 milioni di euro), le amministrazioni pubbliche sarebbero intervenute per 120 milioni. Per i critici, che parlano di «cattedrale del saccheggio», il cantiere avrebbe permesso alla Chiesa ortodossa di captare enormi fondi, di poterli ridistribuire ai suoi e accrescere una rete di influenza capillare con il conseguente pericolo della corruzione (cf. qui su SettimanaNews). Un processo che si accompagna alla crescita dei proventi della dirigenza ecclesiastica che, da sei milioni di euro nel 2007, sono lievitati a 22 nel 2020.
Il 66% dei fondi statali per il restauro degli edifici sacri è stato destinato alla cattedrale. Ricordo, in aggiunta, che, fra il 1990 e il 2004, sono sorti in Romani 2.000 nuovi luoghi di culto.
Cemento e vuoti di memoria
Il consenso pubblico non è venuto meno, ma sono emerse altre criticità.
C’è chi ha visto nell’impresa un riflesso dello stesso spirito megalomane che ha ispirato l’ex dittatore comunista Ceausescu nella costruzione dell’enorme edificio speculare alla basilica, oggi adibito a parlamento.
Altri sottolineano come la colata di cemento sembra tombare i ricordi ecclesiali scomodi del fiancheggiamento alle forze fasciste attive fra le due guerre e all’incapacità di fare i conti con la lunga stagione dei compromessi con il potere comunista (oltre alle persecuzioni).
C’è chi ricorda il silenzio del patriarca Miron, quando venne annullata la cittadinanza a 225.000 ebrei negli anni Trenta con l’attuale riemersione dell’antisemitismo e i compromessi personali di alcuni dei “nuovi martiri” sia con i legionari fascisti della «guardia di ferro» sia con i burocrati comunisti.
L’osservazione più condivisa è la piegatura nazionalistica della Chiesa e la sua «internità» al populismo. Risposta retoricamente efficace alla globalizzazione, ma poco coerente con l’universalismo del Vangelo e la responsabilità storica per istituzioni di affidabile libertà.
Mega-chiese a Mosca, Belgrado e Tbilisi
Una suggestione che alimenta la spinta di molte Chiese ortodosse alla costruzione di chiese e di cattedrali monumentali.
È il caso della Georgia e della cattedrale di Tbilisi, dedicata alla Trinità, ma anche della mastodontica chiesa di San Sava a Belgrado. Essa riprende lo stile bizantino secondo il piano originale di Santa Sofia a Costantinopoli. I lavori avviati nel 1939, sospesi nel 1941 e ripresi nel 1984, hanno visto negli ultimi anni un potente intervento dell’azienda russa Gazprom per finanziare i 4.000 metri quadri di mosaici.
A Mosca, la cattedrale di Cristo Salvatore, distrutta da Stalin nel 1931, è stata ricostruita identica fra il 1995 e il 2000, ma grandi cattedrali sono sorte a Kharbarovsk (della Trasfigurazione), a Voronej (dell’Annunciazione) e nei pressi di Mosca la cattedrale delle forze armate russe con una spesa di 77 milioni di euro (cf. qui su SettimanaNews).
C’è stato un intervento massiccio dello stato russo e della Chiesa per la costruzione di edifici sacri dopo i decenni di distruzione e di desertificazione del potere comunista. Dal 2009, quando entra in carica Cirillo, al 2024 sono sorte 11.880 nuove chiese. Il fenomeno diventa uno delle motivazioni forti del patriarca per dimostrare la crescita spirituale della Russia e denunciare il fallimento dell’Occidente.
Sul sito del patriarcato le celebrazioni per l’inaugurazione delle chiese con la presenza di Cirillo sono sempre sottolineate. Ad esempio: il 21 settembre 2025 la chiesa dedicata ai santi Pietro e Fevronia a Maryino, il 22 giugno il restauro della chiesa dedicata a san Biagio a Mosca, il 21 marzo l’inaugurazione del luogo del culto a Zyuzino. Per l’occasione ha detto:
«È stata eretta non per abbondanza di risorse o di opportunismo, non per abbellire il paesaggio urbano, ma perché la gente aveva bisogno di una chiesa di Dio. E questo sta accadendo nella santa Rus’, mentre le chiese chiudono nei paesi illuminati d’Europa – ne ho ripetutamente parlato. Nella migliore delle ipotesi le chiese vengono trasformate in moschee, nella peggiore in luoghi di intrattenimento o ristoranti […]. Ma è il nostro paese a risorgere, a rivivere spiritualmente, e oggi assistiamo a un fenomeno davvero unico nella vita dell’umanità moderna e civilizzata. Assistiamo non solo alla rinascita della fede, ma ad una combinazione di questa fede con la conoscenza moderna, con le conquiste della scienza e dell’arte».
Nella narrazione ufficiale si tace su significativi episodi di malcontento popolare come ha ricordato G. Parravicini su Nuova Europa (maggio 2019).
Vangelo o etno-nazionalismo?
La costruzione di luoghi di culto è un punto nevralgico per tutte le Chiese e le religioni. Non si può ignorare che le Chiese ortodosse, che hanno vissuto decenni di persecuzione comunista e migliaia di martiri, abbiano cura di far risorgere le chiese e le istituzioni ecclesiali. Del resto, là dove manca la libertà di fede e di religione uno dei segnali più evidenti è la distruzione dei luoghi di culto.
Detto questo, non si può ignorare la questione sottesa alla costruzione di edifici di proporzioni mastodontiche e al significato di religione civile e di supporto al nazionalismo che sono chiamati a onorare. Segnale di una deriva non sempre apprezzabile. Come ha scritto uno dei massimi esperti di sociologia religiosa nell’Europa orientale e balcanica, Jean-Arnault Dérens in Géopolitique de l’Orthodoxie (Tallandier, Paris 2025):
«L’ortodossia soffre drammaticamente da più di due secoli del legame con le nazioni e i nazionalismi. I tre decenni del post-comunismo, le guerre nell’ex Jugoslavia come in quella dell’Ucraina e il relativo fallimento del concilio di Creta del 2016 confermano una cosa precisa: l’ortodossia ha bisogno di rompere con tutte le forme di collusione fra la Chiesa e il potere, tra la fede e i nazionalismi» (p. 324).






Complimenti all’ortodossia! Mi pare un fenomeno presente anche nella parte occidentale dell’Europa: costruire edifici materiali anziché spirituali è molto più facile che educare le coscienze ed è anche più illusorio e appariscente. Certamente il cristianesimo è concretezza e se le chiese erano state chiuse o abbattute dai regimi atei, è doveroso ridare al popolo di Dio i luoghi per ritrovarsi e celebrare il culto divino.
Con tutto questo permane la domanda: c’era proprio bisogno di costruire un mastodonte di questo tipo?
Ritengo che la chiesa ortodossa abbia un rapporto più naturale e schietto con Dio rispetto al celebrale cattolicesimo ma della chiesa cattolica preferisco la sua universalità che la rende meno schiava dei nazionalismi.