A una prima lettura la riunione (ufficialmente «incontro familiare e fraterno») dei patriarchi ortodossi ad Amman (25-27 febbraio), allo scopo di confrontarsi su dialogo e unità nell’Ortodossia, non sembra aver raggiunto risultati significativi.
Annunciata dal patriarca Teolfilo III di Gerusalemme nel novembre scorso in un viaggio a Mosca e costruita con l’attenzione di non chiamarla «sinassi» o concilio, di non celebrare l’eucaristia per non mettere in difficoltà le Chiese più vicine a Costantinopoli, di concentrarla in poche ore per la scarsità della preparazione, l’occasione si è limitata a temi prevedibili. Con l’evidente dimostrazione di un incontro anti-costantinopolitano e l’attesa che l’evento possa essere l’inizio di confronti successivi tra le Chiese, da tenersi «preferibilmente entro l’anno».
I numeri danno una misura. Delle 14 Chiese ortodosse, 4 hanno partecipato ai massimi livelli: Teofilo III di Gerusalemme, Cirillo di Mosca, Ireneo di Serbia e Rastislav della Cechia-Slovacchia. Due erano le delegazioni presenti con un profilo minore: dalla Polonia e dalla Romania. Le altre 8 Chiese hanno rifiutato di essere presenti.
L’incontro ha previsto una prima assemblea (26 febbraio) presieduta da Teofilo III; il dialogo con il re di Giordania; una seconda assemblea presieduta da Cirillo. Si attendeva un comunicato congiunto, mentre quello finora reso pubblico è in capo al solo patriarcato di Gerusalemme. Dai materiali finora disponibili quattro sembrano essere i temi fondamentali.
Quattro temi
Il primo è relativo all’unità ortodossa. È l’argomento delle due lettere che Teofilo III ha messo in campo nell’annunciare l’iniziativa. Si tratta di «esaminare il metodo da seguire per ottenere l’obiettivo comune del dialogo e della riconciliazione al fine di preservare l’unità dell’ortodossia». Come ha detto il vescovo Ireneo di Bačka (Serbia): «L’intento dei patriarchi è di cercare la via ortodossa di risoluzione cooperativa delle circostanze difficili in atto, cercando di superare costruttivamente le divisioni attraverso una saggia applicazione dei principi canonici e dell’amore pastorale». Il comunicato finale parla di condivisone «dell’angoscia del patriarcato di Gerusalemme per l’imminente pericolo di uno scisma all’interno della nostra comunione ortodossa».
Il secondo tema è quello delle Chiese ortodosse in Ucraina, ancora divise dopo il riconoscimento dell’autocefalia da parte di Bartolomeo di Costantinopoli. Il testo finale sottolinea che i presenti «hanno convenuto che le decisioni di grande rilevanza, compresa la concessione dell’autocefalia a singole Chiese, dovrebbero essere formalizzate in uno spirito di dialogo e di unita panortodossa». Per Hilarion di Volokalamsk, il numero due della gerarchia russa, non si deve dare per risolta la questione ucraina, come sostenuto da Bartolomeo. L’autocefalia «è stata concessa a un gruppo di scismatici, contro la volontà della Chiesa ucraina canonica (filo-russa) che raccoglie 12.000 parrocchie, 250 monasteri e milioni di fedeli. Essa non ha chiesto l’autocefalia, ma gli è stata imposta. Avendo rifiutato, il tomos è stato concesso a un gruppo di scismatici». È il punto più delicato e doloroso che ha portato la Chiesa russa a interrompere la comunione eucaristica con Costantinopoli.
Il terzo e il quarto tema sono legati alla Chiesa serba che è alla prese con la richiesta della Macedonia del Nord di una autonomia piena (e forse di una autocefalia) e con la decisione del potere politico del Montenegro di sfilare i beni (chiese, monasteri ecc.) alla Chiesa filo-serba. Mentre in Macedonia del Nord la parte maggiore delle parrocchie e delle chiese è già in capo a una gerarchia in conflitto con Belgrado, gode dell’appoggio del potere politico locale e di una benevola considerazione di Bartolomeo, in Montenegro il governo è sotto scacco per le manifestazioni di massa e per il consensuale rifiuto di tutta l’ortodossia.
Delegittimare Costantinopoli?
Il risultato di Amman è prigioniero di una tensione irrisolta: da un lato, suona come una smentita del primato di Costantinopoli, unico soggetto abilitato a convocare una sinassi dei patriarchi; dall’altro, la volontà di fare dell’incontro una “prima volta” in attesa di sviluppi successivi.
Come dice il comunicato finale: in un clima di amore reciproco, le «delegazioni hanno convenuto di riunirsi in forma fraterna, preferibilmente entro l’anno, per rafforzare i legami di comunione attraverso la preghiera e il dialogo. I presenti sperano che sua santità il patriarca ecumenico Bartolomeo con il suo primato di onore possa unirsi a questo dialogo insieme ai fratelli patriarchi».