IRC: cauto ottimismo

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Insegnamento della religione cattolica

Lo stato di salute dell’IRC (Insegnamento della religione cattolica)? Meglio del previsto, stando ad una ricerca presentata a Roma, in Vicariato, martedì 17 gennaio.

La ricerca di settore ha riguardato un campione rappresentativo di circa 3.000 insegnanti di religione e di oltre 20.000 studenti di ogni ordine e grado di scuola. Lo studio, promosso dall’Istituto di sociologia dell’Università Salesiana e da alcuni uffici della CEI (Servizio nazionale per l’IRC; Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università; Centro studi per la scuola cattolica), va in libreria, edito da Elledici, con il titolo Una disciplina alla prova. Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione nella scuola italiana a trent’anni dalla revisione del Concordato, a cura di Sergio Cicatelli e Guglielmo Malizia.

Nonostante il calo della frequenza all’“ora di religione”, verificatosi negli anni e puntualmente registrato dai mass media a volte con titoli fuorvianti, i dati studiati dai ricercatori giustificano che si possa parlare di «calo contenuto» e peraltro con situazioni molto differenziate sul territorio nazionale: a fronte di un Sud che in vent’anni è rimasto stabilmente intorno al 98%, c’è un Nord sceso ultimamente fino all’82%; inoltre, mentre le scuole dell’infanzia e del primo ciclo si mantengono ancora intorno al 90% di adesioni, le scuole secondarie di 2° grado scendono sotto l’82%.

A questi dati si aggiungono gli aspetti qualitativi che la ricerca mette in evidenza: le condizioni dell’IRC attraverso le risposte fornite dagli insegnanti; la verifica delle conoscenze religiose acquisite dagli studenti in cinque diversi momenti della loro carriera scolastica (quarta primaria, prima secondaria di 1° grado, prima, terza e quinta secondaria di 2° grado).

Tra i punti di forza dell’IRC gli insegnanti di scuola statale individuano soprattutto la capacità di rispondere alle domande di senso degli studenti (67,4%), i rapporti che si creano tra insegnante e studenti (62,0%), la possibilità di affrontare problematiche morali ed esistenziali (61,5%), la promozione del dialogo interreligioso e del confronto interculturale (57,3%).

Punti di debolezza

I punti di debolezza sono individuati dagli insegnanti soprattutto nella poca incidenza della valutazione (59,1%), nello scarso numero di ore (49%) e nella persistente confusione con la catechesi (46,3%). Ma è interessante notare che gli studenti smentiscono clamorosamente quest’ultima valutazione dei loro docenti, dato che in tutti i campioni solo percentuali tra il 4 e il 6% nel primo ciclo ritengono che a scuola si faccia catechismo come in parrocchia, mentre tra i diciottenni la stessa valutazione è condivisa addirittura da meno dell’1% degli intervistati.

Interessante notare come l’IRC non sia “l’ora dei cattolici”. Gli studenti dichiarano di essere nella grande maggioranza dei casi cattolici, con percentuali che superano il 90% nella primaria ma scendono a circa il 75% nelle scuole superiori, dove percentuali oscillanti tra il 15 e il 30% dichiarano di non appartenere a nessuna religione (anche nelle scuole cattoliche di Roma!). Piuttosto stabile negli anni la quota di studenti di altra religione (tra il 2 e il 6%) che si avvalgono regolarmente dell’IRC.

Per quanto riguarda il sapere religioso degli studenti, il sapere biblico è quello che ha dato i migliori risultati, pur alternando buone conoscenze a lacune talora gravi. L’informazione sui racconti fondamentali della storia biblica appare piuttosto altalenante.

Percentuali oscillanti tra l’80 e il 90% nei diversi campioni degli alunni di quarta primaria sanno che è stato Mosè a guidare gli ebrei nell’uscita dall’Egitto o danno il giusto significato ai racconti della creazione, sanno chi ha battezzato Gesù e che il principale contenuto della sua predicazione era il regno di Dio, conoscono il contenuto della parabola del Padre misericordioso e sanno riconoscere i nomi degli evangelisti. Ancora in prima media circa l’80% sa cosa vuol dire essere profeta e pochi di meno conoscono i motivi della condanna di Gesù. Meno della metà, però, in prima media e prima superiore sanno quali sono i vangeli sinottici e, in prima superiore, conoscono l’esistenza di fonti extrabibliche su Gesù. In terza superiore tre quarti conoscono il contenuto del primo comandamento, ma meno della metà sanno cos’è la Torah. Nell’anno della maturità, dove peraltro la conoscenza della Bibbia è poco richiesta dalle Indicazioni, circa il 70% ricorda il contenuto della parabola del buon Samaritano, ma solo poco più di un quarto sa che l’espressione “Vanità delle vanità, tutto è vanità” si trova nel libro di Qohelet.

Più deludenti sono i risultati in campo teologico-dottrinale. L’unica domanda presente in tutti i questionari chiedeva quale fosse il nucleo centrale della fede cristiana: potendo scegliere tra la resurrezione di Gesù, il messaggio della fraternità, i miracoli e la Chiesa, solo una maggioranza relativa che poche volte supera la metà si è orientata sulla risurrezione, risultando spesso attratta soprattutto dal valore della fraternità. Il risultato in sé può essere indicativo delle convinzioni diffuse più che delle conoscenze, ma c’è da riflettere sulla solidità di alcuni principi teologici.

Sempre sullo stesso tema, agli studenti del terzo anno superiore è stato chiesto su cosa si fondi la speranza cristiana della vita dopo la morte e la maggioranza relativa si è orientata sull’immortalità dell’anima, riservando alla risurrezione di Gesù percentuali oscillanti tra il 25 e il 40%.

Piuttosto deludenti anche le competenze storiche, un risultato che dovrebbe preoccupare anche e soprattutto i docenti di storia, dato che più del 60% degli studenti di terza superiore ritiene erroneamente che sia stato l’editto di Costantino a rendere il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, mentre l’editto di Teodosio è riconosciuto correttamente da meno di un quarto delle risposte.

Gli stessi studenti sanno, però, nella misura di circa tre quarti, in cosa consista lo Scisma d’Oriente. In prima superiore solo due studenti su cinque sanno indicare correttamente i risultati del Concilio di Trento, mentre uno su cinque ritiene che sia servito ad accogliere le idee di Lutero.

E ancora, forse traditi da un confuso ricordo del suo processo, solo poco più del 40% degli studenti dell’ultimo anno sa che Galilei era cattolico, mentre un quarto circa lo reputa ateo; e solo la metà, sempre nell’ultimo anno quando è oggetto di studio anche nelle lezioni di storia, sa dire che la Rerum novarum è stata la prima enciclica sociale della Chiesa. In compenso, percentuali crescenti negli anni (fino a superare il 70% in terza superiore) sanno che Gesù è riconosciuto come profeta dai musulmani e quasi tre quarti degli studenti di maturità conoscono i cinque pilastri dell’islam.

Sempre nell’ultimo anno quasi tre quarti degli studenti sanno che il dialogo interreligioso serve a promuovere rispetto e collaborazione tra tutti i credenti, mentre solo poco più del 10% ritiene che ciò voglia dire che tutte le religioni sono uguali.

Un cauto ottimismo

«L’insieme dei risultati – notano i promotori della ricerca – deve indurre ad un cauto ottimismo. Il sapere religioso degli studenti che frequentano l’IRC è ancora modesto, ma i risultati possono essere letti come eccezionali se si pensa che la disciplina non ha una valutazione ordinaria. Del resto, tra le fonti del sapere religioso non c’è solo la scuola ma anche altre agenzie educative: gli insegnanti ritengono che sulle conoscenze degli alunni incida soprattutto l’IRC, immediatamente seguito dalla famiglia; anche gli studenti tendono a privilegiale l’IRC come origine del loro sapere religioso, ma ad esso aggiungono subito dopo la frequentazione della parrocchia, lasciando più distante la famiglia. Scarsamente significativi per gli studenti e soprattutto per gli insegnanti i media vecchi e nuovi o il gruppo dei pari».

La ricerca – ha commentato mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI, intervenuto alla presentazione – interpella la Chiesa, per la parte che le compete, e tutto il mondo della scuola a guardare con un occhio più attento all’IRC, possibilmente andando oltre endiadi ingessate quali alunni credenti e non credenti, talora impropriamente identificati con gli avvalentisi e non avvalentisi.

Penso che l’apprezzamento che circonda l’IRC sia legato e sarà sempre più legato alla capacità di tener fede al dettato concordatario e all’esigenza di rispettare le finalità proprie della scuola.

Un gruppo di esperti tedeschi del settore ha redatto un testo propositivo teso a delineare alcuni capisaldi per un insegnamento della religione nella scuola pubblica all’altezza delle sfide dell’ora presente e capace di prospettive future. Qui la traduzione italiana pubblicata da SettimanaNews.

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