La formazione dei giovani, tra Scilla e Cariddi

di:

geografo

È questa l’essenza dell’università: trovare la nostra vocazione grazie a un maestro, che ci indica sia che la vita finisce (è limitata) sia che è un miracolo inesauribile (ci chiama), con lacrime rispettivamente di dolore e di gioia.

L’università salva se mi aiuta a diventare me stessa, se è una comunità di ricerca di adulti e giovani, se mi rende soggetto di possibilità e non oggetto di aspettative. La politica salva se facilita l’azione personale e sociale, altrimenti è solo gestione del potere e controllo burocratico. Un telefono salva se mi unisce al mondo non peggiorando la mia salute; se mi rende più autonoma, non dipendente; se facilita il sapere e non mi sfrutta a mia insaputa. Dove prevale la disintegrazione non c’è salvezza ma repressione.

Questo oggi succede anche al corpo, non vissuto come «casa» (sono un corpo) ma come mezzo (ho un corpo) da rendere il più performante possibile (doping fisico e psichico) fino a bruciarsi (burn-out) o a crollare (depressione). Non si torna più a casa (dal corpo individuale a quello sociale), perché non si appartiene a niente e nessuno, come invece fa chi si lega ad altri per scalare senza sentirsi privato della libertà. Non si torna ma ci si intrattiene, cioè si è «trattenuti», ognuno da solo col suo zaino sedici e più volte grande del necessario. Allo stesso modo si smette di andare all’università: un sistema basato su precariato e burocrazia mortifica la relazione tra docenti e studenti e non serve certo a trovare se stessi incontrando il mondo.

Chi scrive deve sempre passare tra Scilla e Cariddi: da un lato il rischio di occuparsi troppo dell’io dimenticando il mondo e dall’altro quello di occuparsi troppo del mondo dimenticando l’io. Solo la relazione e tensione tra io e mondo aiuta a conoscere e amare di più la realtà, e rende un’esperienza, anche minuta, universale, cioè capace di unire cose e persone.

È questo il senso dell’università: scoprire ciò che ci rende vivi incontrando quello che nel mondo desta stupore, ci tocca, ci ispira. Quando un ragazzo ha 8 in fisica e 4 in latino gli serve un insegnante privato di scienze non di latino, perché è in quell’ambito che creerà e quindi crescerà, non a caso crescere e creare hanno la stessa radice linguistica.

Nel Geografo di Vermeerdipinto tra il 1668 e il 1669, anni in cui Amsterdam è il centro del mondo e lo sviluppo della cartografia il segno della sua vivacità culturale e commerciale, c’è un uomo chino su una carta: la sua mano destra, sospesa a mezz’aria, tiene un compasso, mentre la sinistra, contratta su un libro, regge il peso del corpo. Una luce magica attraversa la finestra e investe il volto dell’uomo che, sorpreso, rimane sospeso nel tempo e nello spazio, fuori dal tempo e dallo spazio. Il quadro è infatti una specie di annunciazione profana, cioè quando l’angelo della realtà ci rivela la nostra vocazione e unicità.

Il geografo sta cercando di «afferrare» il mondo con i suoi mezzi (la carta, il compasso e il libro), ma il mondo resta inafferrabile e, con la sua luce inesauribile e sorprendente, torna a stupirci, chiamandoci a una conoscenza che dipende dall’amore e non dal potere. Non c’è infatti duraturo aumento di conoscenza di un pezzo di mondo che non sia preceduto da un aumento di amore per quel pezzo di mondo, e quell’amore è causato sempre dallo stupore. L’amore non acceca, quella è la passione o l’innamoramento, l’amore invece ci vede benissimo; infatti, solo chi ama riconosce (conosce sempre di nuovo) chi e cosa ama. Lo stupore genera amore e amore conoscenza, e la conoscenza nuovo stupore: il circolo virtuoso e gioioso dell’esistenza (stupore-amore-conoscenza).

Viviamo tempi taglienti, e a farne le spese sono spesso i più fragili, vittime sacrificali di Paura e Rabbia (di esistere senza un perché e un per chi), due sentimenti che, in giovani incapaci di maneggiarli e disattivarli, producono un feroce Risentimento contro la vita stessa. Schiere di risentiti non possono che affilare le lame.

Vediamo costantemente questo risentimento nei ragazzi. La rabbia e la paura non accolte dagli adulti, fanno scivolare i ragazzi nell’odio contro una vita in cui non ci si sente amati e chiamati, ma stretti e costretti. Non abbiamo tempo e strumenti per ascoltare e disattivare il risentimento, e tagliamo corto sulle questioni di fondo, non abbiamo quasi nulla da dire sul perché valga la pena essere qui che non sia, di fatto, godere a spese degli altri e del mondo. Non c’è gioia, non c’è tenerezza, tutto è orrendo e pauroso. Di fronte all’indifferenza, all’ipocrisia e al moralismo degli adulti, la rabbia e la paura crescono, ed esplodono in risentimento.

Come disarmare il risentimento? «Affilando» il pensiero, e il pensiero si affila solo sulla mola del cuore, cioè quando pensare è «farsi carico», come quando diciamo «ti penso». Pensare viene infatti dal latino «pesare»: pensare è soppesare, cioè sollevare ciò che pesa sull’altro fino a schiacciarlo. E sull’altro pesano domande inespresse o inascoltate, rabbia e paura. «Nessuno mi ascolta», «Ho questa rabbia che mi divora», «Ho questa paura che mi paralizza» sento dire spesso ai ragazzi. Frasi che traduco così: «Tu, adulto, non mi pensi. Non ami le mie ombre e io non riesco a vedere la luce che le ha proiettate e che tu forse vedi».

Il risentimento, non riconciliato, fa da coltello più o meno mortale (senso di colpa, sarcasmo, invidia, violenza), ma accolto, fa da aratro (apre un solco fecondo, diventa richiesta d’amore). Solo chi impara a perdonare la vita, per come è, può amarla. E l’amore permette a chi si sente impotente di non scegliere la violenza come via per potere qualcosa sulla vita, come accade a Raskol’nikov, il protagonista di Delitto e castigo, il cui nome significa appunto «tagliato», «diviso», «separato». Il risentimento lo porta ad «accettare» (scure non amore) due donne, giustificando con lucidità il delitto. Ma proprio quel delitto lo costringerà a fare i conti con ciò che non ha mai voluto affrontare: la sua divisione interna. Abbiamo noi oggi la cultura per curare queste scissioni interiori?

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Un commento

  1. Maria Laura Innocenti 1 gennaio 2025

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