Armenia: l’azzardo di Pashinyan contro la Chiesa

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Il premier armeno Pashinyan e il Catholicos Karekin II

Il  Catholicos Karekin II e il premier armeno Pashinyan

La Repubblica di Armenia è stata recentemente scossa dall’arresto di due vescovi della Chiesa Apostolica Armena che hanno fatto seguito ad alcune accuse pubbliche del premier Nikol Pashinyan al Catholicos Karekin II. Una inedita e dolorosa spaccatura nel cuore della piccola e antica Repubblica della quale abbiamo parlato con Aldo Ferrari, professore ordinario presso il Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

  • Il 25 giugno scorso è stato arrestato mons. Bagrat Galstanyan e una quindicina di sodali: tutti accusati di preparare un colpo di stato per il 21 settembre prossimo (Festa per l’indipendenza). Pochi giorni dopo è stato arrestato un secondo vescovo, Mikavel Ajapahian. Accuse gravi e pratiche poliziesche inconsuete, per quali motivi?

Per rispondere alla domanda serve una premessa. L’arresto dei due vescovi è una novità clamorosa, in particolare in Armenia, un Paese che considera ancora oggi la Chiesa la sua istituzione più rappresentativa, ed è un sentimento che unisce tutti, anche i meno praticanti. Per questo motivo, l’arresto di due vescovi nel contesto dell’Armenia post sovietica è un fatto del tutto inaudito.

Bisogna dire che l’opposizione politica alla leadership di Nikol Pashinyan – che da sette anni ormai governa l’Armenia – sta facendo molta fatica a organizzarsi. Lo scontento diffuso non trova figure capaci di coalizzare consenso su una proposta politica alternativa. L’anno scorso il vescovo Galstanyan è riuscito a raccogliere in piazza molte persone per protestare contro la politica di Pashinyan e in particolare contro la consegna di alcuni villaggi sulla frontiera armeno-azera all’Azerbaigian. È stata la prima prova forte di opposizione in questi anni e da allora – pur non essendo riuscito a diventare una figura di riferimento per tutta l’opposizione – Galstanyan ha continuato ad avere di fatto una posizione politica esposta.

  • L’attuale primo ministro si è schierato apertamente anche contro il Catholikos Karekin II, chiedendo le sue dimissioni per indegnità morale (a fine maggio) e contrasti politici. Quali sono le ragioni?

In effetti, l’arresto ha fatto seguito a un altro fatto clamoroso: le accuse rivolte da Pashinyan al Catholicos della Chiesa Apostolica Armena, Karekin II. Tali accuse pubbliche, insieme all’arresto dei due vescovi, credo consentano di parlare di una svolta autoritaria, illiberale, repressiva di Pashinyan.

Sullo specifico delle accuse mosse a Karekin non ho elementi per sapere se siano fondate o meno. Ma Pashinyan ne sta facendo un uso politico. Se fossero vere riguarderebbero fatti a lui noti da decenni, che però vengono rivelati solo adesso, proprio mentre l’insoddisfazione popolare verso l’attuale leadership è forte e ci si avvicina alle elezioni e la Chiesa sembra essere rimasta l’unico soggetto in grado di aggregare consenso e forze contro il leader, divenendo il suo principale oppositore politico.

  • La sconfitta militare armena davanti all’esercito dell’Azerbaigian, peraltro foraggiato dalla Turchia, con la perdita dell’enclave armena del Nagorno Karabakh (2020-2023) è ancora oggetto di aspro scontro interno. Che ruolo gioca la Chiesa?

La Chiesa, da un lato, ha criticato nella stessa figura del Catholicos Karekin II la leadership di Pashinyan. È stato sotto il governo di Pashinyan che l’Armenia ha perso la guerra del Karabakh e presumibilmente ha perduto per sempre questa regione, dove tutto parla di Armenia, a cominciare dai suoi bellissimi monasteri. La Chiesa ha messo Pashinyan davanti alle sue responsabilità politiche e militari.

Politiche, perché non è riuscito a evitare la guerra pur sapendo che l’Azerbaigian voleva provocarla; ma anche militare, per come poi ha gestito la guerra, non rafforzandosi per affrontare un esercito – quello di Baku – ormai di gran lunga più forte e più moderno. Le critiche della Chiesa hanno riguardato anche le precarie condizioni degli esuli armeni della regione del Karabakh, fuggiti e insediati in Armenia e usciti di fatto dall’interesse del Governo di Pashinyan. Così facendo, la Chiesa armena si è fatta voce dello scontento di tanti.

  • Le è possibile tratteggiare le ragioni, le alleanze interne e i sostegni internazionali che contrappongono le mire politiche di Bagrat Galstanyan e del primo ministro Nikol Pashinyan?

Pashinyan ha chiaramente un progetto politico. È andato al potere in modo che potremmo definire un po’ populista, gridando contro la corruzione diffusa nel Paese. Non saprei dire se ha combattuto la corruzione, ma ha arrestato un po’ di leader delle precedenti amministrazioni che evidentemente avevano rubato. Ma soprattutto, ha voluto allontanare l’Armenia dallo storico legame con Mosca, che creava senza dubbio una dipendenza economicamente e politicamente gravosa, ma che garantiva all’Armenia una protezione sicura. Con la sua politica filo-europea e filo-occidentale, molto popolare tra le giovani generazioni, Pashinyan ha di fatto consegnato il Paese all’aggressione azera del 2020-2023. E questo è senza dubbio motivo di grandi critiche al suo Governo.

galstanyan

L’arcivescovo apostolico armeno Bagrat Galstanyan

L’arcivescovo Galstanyan, così come come Karekin, sono senza dubbio più vicini alla tradizionale posizione che vede nella Russia la principale e l’unica protezione dell’Armenia. L’Armenia si trova geograficamente schiacciata tra due Paesi nemici – la Turchia e l’Azerbaigian –, con la Russia più a Nord. Si colloca dunque in un contesto geopolitico nel quale affidarsi all’Europa e agli USA è quantomeno velleitario. Infatti, nessuno in Occidente si muove per difendere concretamente l’Armenia. È una cosa che mi addolora molto dire, ma l’Armenia è il Paese mondiale a più forte rischio quanto alla sua esistenza geografica … La Turchia è il Paese erede di quello che un secolo fa ha compiuto il genocidio degli armeni, mai riconosciuto; e l’Azerbaigian è un Paese turco e musulmano, enormemente più forte, dove sempre più spesso nel discorso pubblico e ufficiale il territorio dell’attuale Repubblica di Armenia viene definito Western Azerbaigian. Esiste dunque a Baku una pretesa territoriale esplicita sull’intero spazio geopolitico dell’Armenia, la quale è un vaso di coccio tra due Stati ostili e strapotenti.

  • In un intervento in Svizzera nel maggio scorso il Catholicos Karekin ha denunciato come «pulizia etnica» il forzato allontanamento di 100.000 armeni dal Karabakh. Vi è un richiamo all’oltre un milione di vittime del genocidio avvenuto sulla popolazione armena in Turchia all’inizio del Novecento?

Tutti gli armeni, sia in patria sia nella diaspora, hanno sempre in mente l’immane tragedia del genocidio operato dai turchi. Quanto subito di recente nello scontro con l’Azerbaigian è totalmente diverso. C’è stata una guerra per il possesso di un territorio sul quale l’Armenia aveva più ragioni storico-culturali e l’Azerbaigian più ragioni giuridiche e dove ha deciso la forza politica, militare ed economica. Tutti gli armeni del Nagorno-Karabakh sono tecnicamente fuggiti – non sono stati nemmeno sfollati – perché avevano a ragione paura di quanto avrebbero potuto subire. Non si può parlare di genocidio o di massacro e neanche in senso tecnico di espulsione.

Dev’essere chiaro però che sono fuggiti tutti e che non c’era nessuna ragionevole soluzione alternativa. Perché l’Azerbaigian non è uno Stato di diritto, non è un Paese normale. L’Azerbaigian è una dura, brutale dittatura, che sta agli ultimi posti per le libertà politiche e di espressione. La speranza per gli armeni di sopravvivere e vivere in pace in uno stato azero non esisteva. La loro fuga nasce dunque dal timore fondato di un altro genocidio a opera questa volta dei turchi dell’Azerbaigian.

Non vorrei sembrare drammatico, ma non conosco altri Paesi al mondo altrettanto a rischio di esistenza come la Repubblica di Armenia. L’unico caso simile, se vogliamo, è quello di Israele dato che alcuni tra i Paesi vicini esprimono il desiderio della sua eliminazione. Ma con una colossale differenza tra la forza di Israele – che è anche una potenza nucleare – e quella dell’Armenia. Mentre nessuno oggi può realisticamente cancellare Israele, per l’Armenia non si può dire altrettanto. Le pretese territoriali dell’Azerbaigian sul territorio armeno – che sono potenzialmente genocidarie – sono espresse a livello ufficiale, come è possibile verificare sui siti ufficiali del Paese.

  • Quali sono gli interessi russi nella questione? Che ruolo riveste l’oligarca russo-armeno Samvel Karapetyan? La Chiesa ortodossa russa può avere un compito?

Anche in questo caso serve una premessa storica. La piccola Repubblica armena che oggi esiste, e che è solo un decimo della grande Armenia storica pian piano sgretolata da una serie di invasioni straniere, esiste perché l’impero russo ha liberato quei territori dall’impero persiano all’inizio dell’Ottocento. Da allora, fino a Pashinyan, i rapporti tra Armenia e Russia sono stati molto positivi. Si è creato un rapporto fra diseguali, dove il più piccolo è protetto dal più grande ma interagisce bene a livello politico, economico e culturale. Insomma, c’è stata una lunga storia di collaborazione da cui traevano beneficio entrambi. I russi avevano un alleato amico, fedele e laborioso ed economicamente utile, come l’Armenia. E l’Armenia era protetta sul suo territorio dalla forza della Russia.

Con l’ascesa al potere di Pashinyan – evento sgradito a Putin, avendo scacciato un presidente strettamente legato a Mosca – questa storia si è interrotta. La prova della consunzione di questo rapporto la si è avuta nel 2020, quando l’Azerbaigian ha attaccato e rapidamente occupato il Nagorno-Karabakh: non lo avrebbe fatto se non fosse stato in qualche modo rassicurato dalla Russia. Cosa che prima dell’avvento di Pashinyan sarebbe stata del tutto inconcepibile. I rapporti tra Russia e Armenia si sono poi ulteriormente allentati per gravissimi errori politici di Pashinyan, il quale ha fatto scelte che un Paese piccolo come l’Armenia non avrebbe potuto permettersi. Ad esempio, l’adesione alla Corte internazionale dell’Aja (oggi Putin dovrebbe essere arrestato in Armenia…), e un’esercitazione congiunta con l’esercito degli Stati Uniti. Insomma, provocazioni del tutto inaccettabili per Mosca.

Non c’è dubbio che la Russia desidererebbe un cambiamento di rotta da parte dell’Armenia. Ma se la sua unica arma è un appoggio indiretto alla Chiesa o a qualche oligarca arricchito in Russia, significa che l’azione di Mosca non è poi così convinta. Forse è più un auspicio di cambiamento davanti al crollo del consenso di cui gode Pashinyan: nel 2018 era superiore all’80 per cento, oggi è al 20. Chi oggi lo sostiene ancora lo fa soprattutto per timore del ritorno del vecchio personale politico corrotto legato a Mosca.

  • Il ruolo di custode della memoria nazionale della Chiesa armena può essere messo in discussione dall’attuale tensione politica?

Pashinyan sta tentando un’operazione di una gravità enorme: vuole provocare le dimissioni forzate di Karekin per avere un nuovo Catholicos più vicino alle sue posizioni. Sarebbe un’azione di natura «sovietica». È possibile che Karekin si trovi alla fine costretto alle dimissioni e questa per la Chiesa armena sarebbe una sconfitta. Ma lo sarebbe anche per lo Stato armeno, perché ottenuta attraverso un sistema che offende i sentimenti religiosi e la tradizione spirituale della grande maggioranza del popolo. Karekin dovrà in ogni caso rispondere delle accuse che gli sono state mosse. Ma dovrà farlo – dovrebbe farlo – in altra sede.

  • Rispetto all’Armenia e ai suoi 3 milioni di abitanti che peso hanno i 9 milioni di armeni della diaspora nell’attuale conflitto interno?

La diaspora armena ha un grande ruolo nella vita della Repubblica. Tutti gli armeni della diaspora si sentono legati a questo piccolo pezzo di madrepatria ancora esistente. La diaspora ha sostenuto in modo generoso la piccola Repubblica armena, che diversamente non sarebbe in grado di vivere, circondata com’è da nemici, così piccola e senza sbocchi sul mare. Non ha però possibilità di intervenire attivamente nella politica locale, perché non vota. Ciò che la diaspora può fare è molto limitato. Per ora arrivano inviti a ricucire questa spaccatura gravissima che espone la Chiesa al ludibrio e il Paese a una frattura rischiosa. Ma politicamente i giochi si fanno a Erevan.

Purtroppo di tutto questo sui giornali italiani è molto difficile trovare traccia. Benché tra Italia e Armenia ci siano buoni rapporti, perché l’Armenia è terra di grandi pellegrinaggi religiosi e di forte interesse culturale, manca un vero interesse politico e mediatico. Questo non dipende solo dal fatto che l’Armenia è un Paese piccolo e lontano. Dipende soprattutto dal fatto che l’Italia ha fortissimi interessi economici in Azerbaigian, che da anni è il nostro principale fornitore di gas e petrolio. L’Azerbaigian è anche un mercato molto ambito per l’industria del lusso e dunque l’Italia preferisce non parlare della vicenda armena. I nostri politici non ne parlano; alcuni affermano addirittura che la vittoria azera in Nagorno-Karabakh ha restaurato il diritto internazionale. La non volontà politica determina il fatto che i giornali non se ne occupino.

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