Costa Rica, la fine di un “piccolo paradiso”

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Per decenni, le metafore si sono sprecate sulla Costa Rica, piccolo Paese dell’America Centrale. Pur essendo uno Stato continentale, è stato definito «isola felice», pur essendo coperto da lussureggianti foreste è stato definito un’oasi. Un’eccezione clamorosa, insomma, nel panorama centroamericano, caratterizzato perlopiù da bande criminali, insicurezza diffusa, attentati al creato, corruzione sistemica.

La Costa Rica, invece, è sempre stata considerata un «piccolo paradiso», un Paese sicuro, addirittura privo di un esercito, un luogo dove andare in luna di miele, grazie alle splendide spiagge, o dove condurre approfonditi tour forestali, grazie alla natura lussureggiante.

Da tempo, ormai, non è più così

Il «piccolo paradiso» è diventato Paese di passaggio della cocaina e di altre droghe. Gruppi criminali e gli stessi «cartelli» messicani si contendono il territorio, gli omicidi sono cresciuti in modo esponenziale. Rischia di diventare, insomma, il «paradiso dei narcos».

Già nel 2020, la Costa Rica, secondo il Dipartimento di Stato USA, ha superato il Messico come primo punto di smistamento della droga verso gli Stati Uniti e l’Europa e, da quel momento, ogni anno le contende il primato. A favorire questa situazione sono la geografia del piccolo Paese e, paradossalmente, la sua «relativa» tranquillità.

La coca arriva dalla Colombia attraverso i sottomarini che percorrono il Pacifico e viene trasportata attraverso la foresta e la fitta rete di canali fino all’Atlantico, in particolare al porto di Limón, che riceve sostanze stupefacenti anche dalla Giamaica. Come sta accadendo in tutto il continente latinoamericano, il passaggio del narcotraffico porta con sé altri giri illegali, guerre tra cartelli e bande, e un crescente numero di omicidi.

Infatti, dal 2020 al 2023 gli omicidi in Costa Rica sono aumentati del 53%. La vera impennata si è avuta nel 2023, con 907 omicidi e un tasso di 17,2 ogni 100 mila abitanti, non lontano da quello di Messico e Colombia. Nel 2024, secondo i dati ufficiali, c’è stato un minimo assestamento, con 880 omicidi. Nella provincia di Limón, il tasso supera il 30% e si attesta su livelli messicani.

L’appello del presidente dei vescovi

Nelle scorse settimane, ha suscitato forte impressione l’uccisione del vice capo dell’Organismo di investigazione giudiziaria (in pratica, un pubblico ministero) a Pococí, sempre nella provincia di Limón. La Conferenza episcopale costaricana (CECOR) ha espresso «dolore e sgomento per le tante morti violente nel nostro Paese». Queste, «non solo recano lutto alle loro famiglie, ma sfidano anche noi come società, chiamandoci a riflettere sulla violenza che continua a gettare un’ombra sul nostro Paese».

Proprio da Limón, risponde al SIR il vescovo e presidente della Conferenza episcopale, mons. Javier Román Arias, che non nasconde la sua preoccupazione per la situazione sociale della sua diocesi e di tutto il Paese.

«Non posso affermare – premette – che nel territorio ci sia una situazione diffusa di insicurezza. Le persone vanno tranquillamente in spiaggia o in montagna. Purtroppo, però, in alcuni luoghi e momenti si concentra l’azione del narcotraffico e gli omicidi sono la conseguenza più vistosa. Assistiamo a guerre tra bande, nelle quali vengono reclutati anche i nostri giovani appartenenti agli strati più poveri della società, a regolamenti di conti. La nostra zona è ormai uno snodo del narcotraffico».

Di fronte al dilagare della criminalità, si sconta la scarsità numerica delle forze di polizia, ma, secondo il vescovo, anche «una mancanza di convinzione, di forza, nella ricerca dei delinquenti, nella repressione di queste situazioni». Soprattutto, però, l’appello alle istituzioni è che operino in modo corale e compatto, poiché «queste bande prendono forza attraverso il metodo del “divide et impera”».

Si legge, infatti, nella nota della CECOR: «Queste tragedie ci ricordano l’urgenza di lavorare insieme per la pace, la giustizia e la riconciliazione. Non possiamo permettere che la paura, l’indifferenza o l’impunità mettano radici nei nostri cuori. Come ci insegna il Vangelo, siamo chiamati a essere operatori di pace, a promuovere il dialogo e a cercare soluzioni che rafforzino il tessuto sociale della nostra nazione».

I vescovi chiedono, inoltre, alle autorità di «raddoppiare gli sforzi per sradicare questo flagello e di attuare politiche pubbliche che affrontino le radici della violenza. La pace non si costruisce solo con misure di sicurezza, ma anche con l’educazione, le opportunità e una cultura dell’incontro che valorizzi la vita sopra ogni cosa».

La Chiesa accanto ai giovani

Andare alla radice della questione significa anche comprendere il motivo per il quale le bande trovano terreno fertile nei giovani. Ci aiuta a capirlo padre Manuel Zamora Salazar, responsabile della Pastorale sociale della diocesi di Limón.

«Questo Paese – spiega – si è sviluppato in maniera diseguale. Le fasce più basse della popolazione sono diventate sempre più povere, soprattutto nelle zone costiere, che sono state dimenticate dalle istituzioni. Le famiglie ricche mandano i propri figli in istituti privati, per gli altri l’istruzione è stata poca e scadente. Così, molti giovani hanno poche risorse e sono poco istruiti».

Facile, per loro, entrare nel giro delle bande, «anche perché – continua il sacerdote – anche in Costa Rica impazzano le serie TV che possiamo chiamare “narco-novelas”, nelle quali il capo dei narcotrafficanti viene visto come un grande personaggio». In questo contesto, «il governo non dà strumenti e non mette risorse, specie nelle zone più dimenticate. Anzi, possiamo dire che il potere del narcotraffico è penetrato dentro le istituzioni».

La Chiesa fa il possibile: «Ora, a Limón, si apre la Casa della gioventù, una struttura importante anche a livello simbolico, oltre che per fare accompagnamento alle nuove generazioni. Dobbiamo ammettere, però, che anche le nostre risorse sono limitate».

  • Agenzia SIR, 22 febbraio 2025
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